I soccorritori non possono morire

di Giovanni Leoni

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25 GEN - Gentile direttore,

ieri è andato giù un elicottero in Abruzzo, cause in via di accertamento, e sono morti in 6, tra cui il pilota Gianmarco Zavoli di 47 anni, il medico rianimatore Walter Bucci, 57 anni, Davide De Carolis tecnico dell’elisoccorso, Giuseppe Serpetti, infermiere, Mario Matrella, verricellista, lo sciatore a cui era stato prestato soccorso Ettore Palanca 50 anni. Leggo sulla stampa che tra i caduti Bucci e Carolis erano elementi che si erano già distinti a Rigopiano.

Infuriano le polemiche sull’opportunità dell’attivazione del servizio, ma nei casi dubbi o al limite , fatti i relativi ragionamenti e visti i regolamenti, chi ha scelto questo mestiere tende sempre a prendersi qualche responsabilità in più, a darsi per gli altri , fa parte del loro DNA .

Hanno rischiato eccome a Rigopiano a scavare nelle macerie e sotto la neve per salvare gli ospiti dell’albergo ma chi poteva fermarli ? Non la neve da superare a piedi nè quella da togliere a mano, non il buio, non il pensiero di poter essere travolti loro stessi dalle macerie gelate che stavano spostando o di rimanere intrappolati nei cunicoli dove si infilavano.

I soccorritori appartengono alla categoria degli “speciali” quelli che salvano gli altri e nell’immaginario collettivo non possono essere coinvolti loro stessi nel male che sono deputati a curare.

Nell’agosto 2009 vi fu un’analoga tragedia Cortina d’Ampezzo, anche lì un elicottero è caduto sul Monte Cristallo con a bordo un pilota, Dario de Felip di 49 anni, un medico, Fabrizio Spaziani di 46 anni, due i tecnici di soccorso alpino, Marco Zago di 42 anni e Stefano da Forno di 40 anni.

Durante il trasporto da Roma a Cagliari di un cuore da trapiantare nel febbraio 2004 un aereo Cessna precipita : a bordo vi erano il responsabile della divisione di Cardiochirurgia Alessandro Ricchi di 52 anni, il suo assistente Antonio Carta di 38 ed il tecnico perfusionista Gian Marco Pinna. Con loro i due piloti, entrambi austriaci, Helmut Zullner e Thomas Giacomuzzi. La sesta vittima è stato un altro italiano, Daniele Giacobbe, 35 anni, in addestramento.

Nell’ottobre 2001 durante un volo notturno di soccorso un elicottero del 118 si schianta sulle colline di Poggio Ballone, vicino a Grosseto, muoiono in cinque.

Questi incidenti occupano per qualche giorno le prime pagine dei giornali ma subito gli articoli vengono sostituiti da altra cronaca, la vita ed i turni continuano ed altri, con semplicità, prendono il posto dei morti, come in guerra.

Certo la caduta di un aereo o di un elicottero colpiscono di più l’immaginario collettivo di un incidente in cui è coinvolta un autoambulanza, una macchina della polizia o dei carabinieri, solo un po’ più strano magari se ad essere coinvolti sono pure i vigili del fuoco.

La velocità nel soccorso non è un ebbrezza ma una necessità.Volare a volte è l’unico sistema per arrivare in tempo. In urgenza si deve uscire anche con il brutto tempo e di notte, con la nebbia, si corre anche quando le strade sono viscide e scure, fa parte del mestiere .

A bordo non ci sono i reduci da una notte in discoteca, ci sono dei padri di famiglia che vanno in soccorso di feriti e malati.

Nella mia carriera ho fatto il Pronto Soccorso per 2 anni in provincia e sono uscito anche in ambulanza per dei trasporti urgenti. In epoca pre 118 le cose erano un pò diverse.

Mi riferisco ad un’era antecedente al 27 marzo 1992 quando il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga firmò il decreto di istituzione delle centrali operative di allarme sanitario, riproponendo su scala nazionale il modello originale sperimentato a Bologna.

In emergenza bisognava fare un giro di telefonate per mezzi e destinazione ad esempio di un paziente neurochirurgico, per un trasporto medicalizzato si sceglieva fra il medico del pronto soccorso e l’anestesista , non esistevano le èquipe predefinite, se il paziente non era intubato era il medico del PS che usciva per un “cranico” o un “vascolare”, sostituito dal chirurgo di reparto.

Si viveva così .

In autostrada in ambulanza ti passano tutti… Ti prendi la tua rivincita sulle statali e in città.

A bordo fai i tuoi controlli, speri che tutto vada bene, confidi nell’abilità dell’autista mentre la sirena sulla testa ti spacca le orecchie. Pensi raramente a te stesso e a quello che può succedere quando passi col rosso ad un incrocio, sei solo concentrato sul malato e sulla destinazione di arrivo sempre troppo lontana. Ormai da tanto tempo lavoro a Venezia centro storico, qui ci sono le barche, faccio servizio in un reparto, non esco più. Ma penso spesso agli equipaggi delle idroambulanze che partono di notte, con la pioggia, in inverno, a prendere qualcuno nelle isole dell’estuario a Treporti o a Pellestrina.

E’ un tipo di soccorso decisamente singolare, l’opposto di quello alpino. A Venezia le idroambulanze vengono osservate con curiosità dai turisti, si notano eccome di giorno, nel loro colori giallo e rosso , magari in estate col sole. A volte gli equipaggi corrono preceduti dalla sirena facendo lo slalom in Canal Grande fra gondole e vaporetti, a volte vanno piano di ritorno da una dimissione protetta. Un bel lavoro all’aperto si può pensare lavorando all’interno di uffici o ospedali. Ma è brutta la laguna di notte, in inverno, con il vento e la pioggia, pessima con la nebbia anche se hai il radar. Non ci sono luci sui pali che segnano i canali appena fuori dal centro e si corre in planata, se qualcosa va storto sei solo. Di notte, vestito, in mezzo all’acqua, per quanto ce la fai a nuotare ?

Se la radio è fuori uso e sei vivo puoi solo sperare ed aspettare anche tu che qualcuno ti venga a prendere, un altro che abbia il coraggio di uscire per te, quando le persone normali si assicurano di aver chiuso bene tutte le finestre e vanno a letto.

Qualcuno dirà: è il loro mestiere, rischiano ma saranno pagati bene. E’ vero solo che rischiano e sono molto stimati. Elicotteri ed ambulanze, Vigili del fuoco, PS e Carabinieri, Guardia Costiera e Finanzieri, quando sfrecciano coi lampeggianti accesi provo un senso di sicurezza, ma temo per loro e quello che vanno ad affrontare. Questa gente crede nella propria scelta e la vive come una missione ed a volte muore nel tentativo di salvare un altro,

Un’occasione di riflessione spero profonda e produttiva per chi ha responsabilità di governo e la possibilità di stipendiare dignitosamente una classe di lavoratori troppo orgogliosa per lamentarsi di un trattamento indegno di chi rischia per professione nell’aiutare il prossimo.

E noi ogni tanto non perdiamo l’occasione di ringraziali per tutto quello che fanno, da vivi.

Giovanni Leoni,
Presidente OMCeO Provincia di Venezia  

Segreteria OMCeO Ve
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