Cuore aritmico: giovani e famiglie al centro, per una vita a colori

Entrare in contatto diretto con le famiglie e parlare ai giovani con un linguaggio a loro più vicino: sono questi gli obiettivi dell’edizione 2018 del Meeting Giovani e Cuore aritmico, accreditato ECM, in programma sabato 26 maggio all’hotel Laguna Palace di Mestre, organizzato dall’associazione padovana Geca Onlus, con il patrocinio, tra gli altri, dell’OMCeO veneziano che, nell’occasione, sarà rappresentato dal vicepresidente Maurizio Scassola.
«Un ringraziamento particolare – spiega Paola Marcon, presidente della onlus attiva dal 2000 in molte regioni italiane per sostenere le persone affette da cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro e che conta ormai oltre 800 iscritti – va anche a Gabriele Gasparini, consigliere dell’Ordine, che ci ha supportato e accompagnato in questo progetto. Organizziamo periodicamente questa giornata di studi per mettere al centro le famiglie. Queste malattie danno un’alterazione del battito: se non diagnosticate e curate precocemente possono essere causa della morte improvvisa. Per molti di noi che arrivano da questo vissuto il guardare avanti è sempre stato molto difficile».

Quali sono gli obiettivi del Meeting?
Capire la malattia e sapere come vivere è determinante sia per una prevenzione primaria, sia per un supporto personale: bisogna dare a queste persone la fiducia di guardare avanti. Vogliamo dare risposte concrete alla fatica di vivere con queste malattie che sono di origine genetica, insorgono durante l’adolescenza, sono subdole. Alla prima sincope, al primo malore di un ragazzo, spesso una famiglia non sa di avere il problema. Sono necessarie una diagnosi precoce, corretta e appropriata e una terapia adeguata: arrivare quando un ragazzo ha già avuto una sincope significa quasi per certo mettergli un defibrillatore. Se, invece, da un giramento di testa o da un ritmo cardiaco più accelerato si fanno gli esami appropriati, quel ragazzino potrà avere una qualità di vita diversa.

Perché il Meeting è intitolato alla memoria del professor Andrea Nava, scomparso nel marzo scorso?
Perché a lui dobbiamo molto, per non dire tutto. È stato a lui, negli anni Ottanta, che ci siamo rivolti: venivamo da questi lutti di figli o fratelli, morti di cui non sapevamo la causa. E lui, dopo anni di studi e di attesa, è stato il primo a farci la diagnosi e a spiegarci che erano malattie eredo familiari. Nelle nostre famiglie, cioè, potevano esserci altre persone che ne erano colpite. Ci ha insegnato l’importanza dello screening delle famiglie.
Ed è stato sempre lui, da subito, a volere queste giornate informative: ha creato con noi l’associazione per metterci insieme ed avere la forza di chiedere ciò che serve per vivere con questa malattia. Come associazione oggi cerchiamo di dare un punto di riferimento, quelle risposte che noi, allora, non avevamo. Per noi, allora, la paura di non farcela era tanta, ma oggi, con 40 anni di storia, siamo riusciti a diventare grandi, a realizzare i nostri sogni, a diventare genitori e nonni. Questo lo dobbiamo tutto al professor Nava che ci ha trasmesso la possibilità di capire la malattia e, allo stesso tempo, ci ha accompagnato senza accrescere l’angoscia, dandoci fiducia giorno per giorno.

Che tipo di attenzione c’è su queste patologie? Non sembra che se ne parli molto…
Il problema più grande è proprio questo: non se ne parla a sufficienza. La voce si alza quando succedono casi particolari, penso a Morosini o ad altri sportivi, ma poi tutto cade. È fondamentale sostenere la ricerca, che spesso si ferma a causa della mancanza di fondi: oggi molto è cambiato, grazie alla diagnosi genetica si sono fatti tanti passi avanti, ma c’è ancora un gruppo di pazienti che non sa quale gene causi la propria malattia.

Una forte attenzione al Meeting 2018 sarà riservata ai giovani. Cosa avete in serbo per loro?
Il progetto per i giovani rientra nell’obiettivo della nostra associazione di dare risposte concrete ai bisogni, che si realizza, ad esempio, con le consulenze, con un telefono attivo 24 ore su 24, con i corsi di rianimazione per le famiglie, perché in caso di malore ognuno sappia cosa fare.
Parlando con le famiglie è emerso come la fatica più grande per i ragazzi sia vivere ogni giorno, senza poter far sport e con la paura di cosa incombe. I genitori si sentono in colpa, i giovani lo vivono quasi come un handicap. Questo progetto, allora, vuole essere un suggerimento per affrontare in modo diverso le problematiche quotidiane: vogliamo che i nostri ragazzi riescano a vedere la loro vita in un modo colorato, brillante, che va oltre la malattia.
È nato così un libro illustrato ideato dall’artista Stefano Reolon, in collaborazione con la professoressa Barbara Bauce e le dottoresse Viviana Marcon e Fabiana Micheluzzi, che si ispira al mondo dei manga giapponesi ma anche allo slang dei giovani. Il tutto condito da una vena fortemente pop e da colori fluo. Un modo estremamente creativo di comunicare ai giovani ciò di cui a volte si fa fatica a parlare, la malattia, che spesso viene intesa come sinonimo di diversità e isolamento.
Stefano Reolon ha saputo trasformare questi bisogni, trovare una strada nuova di comunicazione: il libro sarà portato nelle scuole sia per una prevenzione primaria, sia per dare un senso di normalità a questi ragazzi, per far vivere loro la malattia come una caratteristica in più che loro hanno. Il progetto parte il 26 maggio, ma si svilupperà poi fino alla fine del 2019: cercheremo di creare dei laboratori all’interno delle scuole per trasformare le immagini del libro in murales che possano decorare la città di Venezia.

Giovani e famiglie, insomma, per una qualità di vita migliore devono capire bene con che cosa hanno a che fare. Geca Onlus si schiera al loro fianco per accompagnarli in questo percorso, perché non si sentano diversi o isolati, perché possano vivere una vita a colori.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

In allegato il programma della giornata con tutte le info

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