Epatite C e AIDS: per batterle servono sinergia, informazione e costi accessibili

Aumentare la possibilità di trattamento con i farmaci contro l’epatite C, oggi costosissimi, anche per pazienti con basso livello di fibrosi, per non avere tra 20 anni una ricaduta sociale e sanitaria pesantissima. Puntare sulla prevenzione. Migliorare la facilità e l’accesso al test per l’HIV. Collaborare, da medici di famiglia, a un attento monitoraggio delle persone a rischio, puntando anche sulla conoscenza a 360 gradi del paziente e del suo ambiente familiare, su quell’alleanza terapeutica che gli specialisti possono faticare a stabilire. Conoscere le strutture attive sul territorio a cui i pazienti, soprattutto quelli che non hanno un rete sociale e familiare alle spalle, possono rivolgersi in caso di necessità.
Sono queste le principali indicazioni emerse ieri sera, lunedì 11 gennaio, al primo corso di aggiornamento dell’anno organizzato dall’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Venezia sulle nuove acquisizioni e le opportunità in tema di infezioni da HIV e HCV. «Patologie – ha spiegato il presidente Giovanni Leoni – che per le loro conseguenze sono trasversali a tutte le specialità e a tutti i tipi di medico, da chi lavora sul territorio agli specialisti negli ospedali».

Clicca qui per vedere la Gallery

Clicca qui per vedere le Slides

La serata è entrata subito nel vivo: a tracciare un quadro dettagliato delle due infezioni e di come colpiscono i pazienti è stato chiamato Sandro Panese, direttore facente funzioni dell’Unità operativa Malattie Infettive del distretto veneziano dell’Ulss 3 Serenissima. Con l’aiuto di qualche video ha spiegato come si replicano i viurs all’interno del corpo umano, come l’HCV, a differenza degli altri, non replichi mai il suo RNA all’interno del nucleo delle cellule. Ed è proprio grazie a questa scoperta, avvenuta nel ‘94, che si è capito come fermare l’HCV e bloccare l’HIV, infezione da cui ancora non si guarisce, ma che può essere controllata, tanto da far vivere al paziente una vita quasi normale.
«Usiamo – ha detto l’infettivologo – farmaci diversi per bloccare ogni singolo stadio della replicazione, i vari punti della catena di montaggio. Così facendo, per l’AIDS ad esempio, non cancello il virus, non lo eradico, ma almeno lo controllo».
Va meglio nel caso dell’epatite C dove, grazie ai nuovi farmaci, anche combinati tra loro, seguendo la stessa logica, si è arrivati ormai quasi al 100% dei successi terapeutici. Il problema, però, è un altro, l’elevato costo della terapia.
«Per un ciclo di cura che va dalle 12 alle 24 settimane – ha spiegato Panese – si possono spendere dai 18 agli 80mila euro. Cifre poco sostenibili. Così è stata fatta una scelta di politica economica e sanitaria: si curano con farmaci rimborsabili soltanto i pazienti con gravi fibrosi epatica, di grado F3 e F4. L’ideale, invece, sarebbe curare tutti, soprattutto chi è allo stadio iniziale dell’infezione, per non avere tra vent’anni ricadute pesanti in termini sociali e sanitari».
Sì perché, purtroppo, di malati, anche in Italia, ce ne sono ancora tanti. I due percorsi principali per cui si diffonde l’infezione sono l’uso di droghe iniettate e l’omosessualità maschile, «ma – ha spiegato il medico – se si arrivasse a diagnosticare il 90% delle persone infettate, invece del 50% di oggi, allora non ci sarebbe un disastro tra 20 anni. La terapia da HCV, tra l’altro, è molto semplice. Io la definisco “da tabaccaio”. Potrebbe essere svolta senza problemi anche negli ambulatori territoriali, non servono centri specializzati».

Infezione per nulla scomparsa, invece, ma totalmente dimenticata quella dell’HIV: 100mila le persone diagnosticate sieropositive in Italia, 859 quelle in cura negli ospedali veneziani. Cifre, però, sottostimate, dato che solo il 35% delle persone a rischio si sottopone al test. Dal ‘96 si blocca la replicazione del virus con le terapie antiretrovirali, cercando di invertire quella rotta che porta il paziente a perdere un passo alla volta tutte le proprie difese immunitarie.
«Nel 90% dei pazienti – ha spiegato l’infettivologo – il virus è soppresso, non si vede più. Purtroppo, però, c’è ancora: se togliamo i farmaci, ricompare. Il paziente può condurre una vita praticamente normale, accettando, certo, di essere sieropositivo. Cosa non sempre facile da gestire».
Un dibattito etico si è scatenato negli ultimi anni sui tempi di somministrazione delle terapie, visti gli effetti collaterali abbastanza pesanti: vanno date prima, per prevenzione, condannando il paziente a 7/8 anni di effetti collaterali in più o si deve aspettare risparmiandogli questo calvario?
«L’HIV – ha sottolineato ancora il medico – non aumenta, ma neanche diminuisce: a Mestre abbiamo 40 nuovi casi di media all’anno, in Veneto il dato è di 5/6 casi ogni 100mila residenti. Molto potrebbe fare la PreP, la Pre-exposure prophilaxis, cioè la somministrazione dei farmaci a chi ancora non è infettato ma rientra in categorie a rischio. In Italia, però non è usata perché la terapia, che costa circa 300 euro al mese, non è rimborsabile».
Dopo le campagne battenti degli anni Ottanta e Novanta purtroppo di HIV e di AIDS non si parla più: l’argomento è totalmente scomparso dai media nazionali, dai talk show televisivi. «Ci sono adulti di oggi – ha raccontato il dottor Panese – che allora erano bambini e non prestavano ascolto a questi argomenti che di AIDS non hanno neanche mai sentito parlare. La maggior parte dei malati, oltre il 32%, arriva da noi con sintomi di AIDS conclamati, quando ormai è troppo tardi per loro e hanno già provveduto, inconsapevolmente, a diffondere il virus».
Tra le cose da fare subito, allora, rimuovere gli ostacoli che facilitano l’accesso al test HIV, rendendolo semplice, gratuito, anonimo e vincendo le paure e le resistenze con un’adeguata informazione.

Alleati strategici, nel loro ruolo di sentinelle del territorio, degli specialisti che si trovano a combattere tutti i giorni queste infezioni possono essere i medici di medicina generale, come ha spiegato nella sua relazione Emanuela Blundetto, consigliere OMCeO, rappresentante dell’Associazione Italiana Donne Medico, ma anche e soprattutto medico di famiglia del distretto veneziano dell’Ulss 3 Serenissima.
«Tra i punti di forza su cui possiamo contare – ha spiegato – ci sono la comunicazione diretta con il paziente, il rapporto di fiducia stabilito con lui, la conoscenza del suo ambiente familiare e degli eventuali comportamenti a rischio».
Tanti, dunque, i ruoli che in tema di HCV e HIV possono giocare i medici di famiglia: dal favorire la regolarità dei controlli al suggerire stili di vita sani per proteggere se stessi e gli altri, dalla diagnosi e terapia delle patologie legate all’invecchiamento precoce alla segnalazione all’accompagnamento in caso di disagio psichico e sociale.
«Siamo chiamati – ha aggiunto – a mettere insieme i pezzi di un puzzle. Altra cosa a cui dobbiamo stare particolarmente attenti sono le interazioni farmacologiche. I farmaci antiretrovirali attivano o inibiscono il Citocromo P450 CYP3A. Pertanto, i farmaci metabolizzati attraverso tale via possono subire degli aumenti o cali inattesi dei livelli ematici, con conseguente rischio di tossicità o inefficacia. A loro volta, queste molecole possono interferire con l’efficacia dei retrovirali».
La collaborazione, dunque, tra medici di medicina generale e infettivologi può riguardare molti campi: l’aderenza ai controlli e alla terapia specifica, l’adesione alle attività di screening e alle campagne vaccinali, l’intervento sugli stili di vita (fumo, alcol, sedentarietà…), sulla patologia depressiva – psichiatrica, sui rischi cardiovascolari, sulle alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e osseo, sull’ascolto e l’educazione alla sessualità e alla procreazione responsabile, non ultimo sul contatto con i servizi sociali del territorio.

E proprio ai servizi attivi nel veneziano è stata dedicata l’ultima parte dell’incontro con la presentazione delle attività della Cooperativa sociale GEA di Mestre, nata nel ‘93, illustrata dalla presidente Francesca Gambadoro e dalla giornalista Nicoletta Benatelli.
«Sul fronte dell’AIDS – hanno spiegato – abbiamo due servizi grazie al lavoro di una decina di operatori socio-sanitari e di due infermieri: l’assistenza domiciliare, con 4 casi attualmente in carico, e la struttura di accoglienza, Casa Amelia. Sono persone con tessuto sociale e familiare estremamente compromesso, tendenzialmente sieropositivi con quadri anche abbastanza complessi. L’obiettivo dell’assistenza sociale è di favorire la presa in carico delle persone: diventare un supporto e un punto di riferimento non solo a livello terapeutico, ma anche sociale ed affettivo, tentando un recupero della persona non solo sotto il profilo sanitario».
I casi da prendere in carico arrivano attraverso le segnalazioni del SERD, i servizi territoriali che seguono i pazienti con problemi di dipendenza. «A Casa Amelia – hanno spiegato ancora – oggi ci sono 8 persone. La sede è a Marghera, in una zona centrale, e questo permette una maggiore possibilità di inserimento di queste persone nella vita sociale della città. L’età media è di 40/50 anni, sono per lo più tossici e persone con disagio mentale e relazionale che hanno contratto l’infezione negli anni della sua esplosione. La casa è gestita in modo familiare. Per noi è importante che loro tornino a vivere insieme in comunità».
Un lavoro, quello della Cooperativa GEA, che non si ferma praticamente mai perché si segue il paziente in tutte le fasi della malattia. «Anche quando la persona va in ospedale – hanno concluso – non viene abbandonata. È successo anche di recente con una donna ricoverata in terapia intensiva per tre mesi. Gli operatori continuano anche lì il loro lavoro di sostegno».

Chiara Semenzato, collaboratrice giornalistica OMCeO di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
Categoria News: 
Notizie medici
Pagina visitata 2636 volte