Formazione e Precariato

Proposta di Gruppo di Lavoro all'Ordine dei Medici  :   FORMAZIONE e PRECARIATO

di Domenico Montemurro                            Consigliere OMCeO Padova  
                                                               
                                                                  http://www.omco.pd.it/

                                                                 Presidente MESPAD Associazione Medici Specializzandi di Padova

                                                                  http://www.specializzandi.org/padova/

La formazione in Europa non è più un affare privato di ciascun paese aderente, bensì obbliga tutti ad assumere un identico modello, sia pure con le dovute specificazioni legate alle caratteristiche particolari che definiscono le identità nazionali. Per noi assume particolare importanza perché dovrebbe garantire alle popolazioni tutte uno stesso standard di qualità degli operatori della salute.

Pertanto occorrono norme che introducano standard minimi di formazione nonché quote nazionali di accesso ai corsi di Laurea, rispetto ai relativi fabbisogni. Nel nostro paese il numero di studenti da avviare alla formazione nelle professioni sanitarie avviene nel confronto fra quattro soggetti: il Governo centrale (Welfare e MIUR), le Regioni, le Università, le Organizzazioni professionali.

Purtroppo in Italia questo meccanismo non ha raggiunto un livello ottimale di funzionamento essendo ancora distanti i numeri proposti dalle Regioni, dalle Organizzazioni professionali, dalle Università nella loro offerta formativa. Dalle statistiche si evince una progressiva diminuzione delle iscrizioni al Corso di Laurea in Medicina ed un aumento costante nei CdL delle professioni sanitarie, con numeri che sono al disotto del fabbisogno vero in rapporto al turn-over ed alle uscite per altri motivi.

Questo a dimostrazione che per Medicina il numero chiuso forse ha funzionato troppo bene, a fronte anche di pensionamenti fino ad arrivare ad una carenza di circa trenta mila unità di medici nel 2020. Dovremo forse importarli?? Questa carenza comunque si scontra con una politica sanitaria del Governo che mira a ridurre drasticamente la spesa per il SSN e con un taglio indiscriminato dei finanziamenti agli Atenei che se da un lato riducendo i CdL porta ad una migliore qualità, dall’altro ad una riduzione dell’offerta formativa soprattutto per le professioni sanitarie, rispetto al fabbisogno.

Insomma sforniamo meno operatori sanitari e questo per politiche di tagli indiscriminati, per eccessivo utilizzo del numero chiuso. Ma allora perché esiste il precariato se il mercato richiede medici?? Esistono dei problemi a monte ereditati come sistema, in particolare per l’Università: il gigantismo propositivo, insufficienze strutturali ed organizzazione, per le Regioni scarsa o insufficiente attenzione. Pertanto è determinante il fabbisogno formativo: le Regioni e le province autonome rilevano il fabbisogno per il SSR in ordine alle professioni sanitarie e lo comunicano al Ministero della Salute, ai fini della programmazione del MIUR degli accessi ai Corsi di Laurea e Corsi di Laurea specialistica.

Tale fabbisogno costituisce oggetto di un apposito accordo Stato/Regioni. Purtroppo non sempre il numero di posti indicati dalle Regioni viene “ recepito” dagli Atenei. Il male risiede nel fatto che a volte o viene sottostimato il fabbisogno regionale oppure vengono dedicati posti in eccesso. Una maggiore aderenza ai fabbisogni stimati va certamente commisurata alla effettiva capacità formativa e organizzativa.

Per superare queste criticità, centrali appaiono i protocolli d’intesa Regione-Università. Tali protocolli regolamentano le modalità della reciproca collaborazione, la programmazione delle risorse umane, strutturali e finanziarie, stabilisce gli oneri che l’Università e la Regione assumono a proprio carico, individua le sedi formative, stabilisce i profili professionali sanitari da attivare ed il numero di allievi necessario per ogni profilo nel rispetto della programmazione dei fabbisogni previsti dall’amministrazione regionale. Ad essi vanno aggiunti gli Osservatori Regionali delle professioni sanitarie come monitoraggio delle attività formative e del grado di applicazione dei protocolli d’intesa.

Partendo dal presupposto che una cattiva formazione del medico specializzando (cattiva assistenza, ricoveri inappropriati, percorsi diagnostici errati, aumento dei tempi di degenza) porta ad un cattivo specialista e ad un aggravio per la spesa sanitaria che se risparmiata servirebbe ad assumere personale preparato. La ricetta per il medico specializzando (giovane medico) potrebbe essere che già all'interno della rete intraospedaliera, egli stesso fosse assegnato non ad un solo reparto, ma potesse frequentare i differenti contesti utili al miglioramento globale delle sue conoscenze, sempre con l'affiancamento dei tutors necessari. Sarebbe inoltre buono rendere obbligatoria, per periodi di tempo significativi, la frequenza all'interno delle strutture convenzionate della rete formativa periferica, dove sono maggiori le possibilità di raffinare il saper fare. Ugualmente andrebbero incentivate le possibilità di stage nelle ASL, anche nel territorio extraregionale, e le occasioni di permanenza all'estero, snellendo al massimo la burocrazia necessaria.

Sarebbe parimenti importante l'istituzione di un sistema di controllo esterno, gestito sia dal MIUR che dal locale Ordine dei Medici, deputato a valutare gli standard minimi di formazione acquisiti e a intervenire con sollecitudine in quelle realtà in cui non vi sia stato il raggiungimento degli obiettivi, anche favorendo la possibilità di miglioramento della formazione mediante l'istituzione di adeguati percorsi integrativi, in collaborazione con l'Ateneo.

Solo in questo modo il medico potrà trovare soddisfazione nella collocazione in un posto di lavoro e che sfrutti quindi le sue reali potenzialità e professionalità senza dover per sopravvivere tappare buchi.

Parimenti al giovane medico che dopo la specialità o anche prima decide la carriera universitaria, l’Ateneo dovrebbe avviare una serie di procedure di valutazione per quantificare la produzione scientifica e la vitalità delle diverse componenti dell'Università, prime tra tutte le valutazioni dipartimentali. È ora necessario che a queste valutazioni seguano i fatti, nella direzione di utilizzare queste informazioni come dato oggettivo sul quale basare la ripartizione delle risorse dell'Ateneo e la pianificazione delle assunzioni di nuovi posti di ricercatore, non basandosi quindi solamente sugli impegni didattici delle diverse strutture.

Occorre uniformità dell'offerta formativa (per qualità dei corsi e crediti obbligatori) delle Scuole di Dottorato, nel rispetto delle esigenze diverse di aree di ricerca differenti.

Preparazione di un vero e proprio piano di studi per il dottorato, soprattutto per il primo anno in modo da avviare e non ostacolare la ricerca, composto di veri corsi di dottorato e non di una raccolta di seminari. Offerta di corsi su temi più generali e a partecipazione più ampia (Economia e Management della Ricerca, scrittura di articoli scientifici / brevetti, Etica nella Professione e nella Ricerca, ecc…).

Garanzia della mobilità nazionale e internazionale durante i tre anni di Dottorato (compresa la mobilità in entrata, ovvero l'incentivo ad avere studenti stranieri in visita presso le nostre scuole). Internazionalizzazione delle Scuole di Dottorato con scambi e incentivi all'iscrizione di studenti provenienti da paesi europei ed extraeuropei. pieno riconoscimento e regolarizzazione della didattica di supporto (che l'Ateneo richiede che venga retribuita) in tutte le Scuole di Dottorato.

Quindi la figura del medico specializzando e del medico dottorando sono espressione di un continuum che non deve vedere dei gap ma bensì un’armonizzazione di finalità, il cui scopo è condurre ad una competizione “buona” con i colleghi degli altri paesi Europei.


Categoria News: 
Notizie medici
Pagina visitata 1940 volte