Orario di lavoro: non più di 48 ore settimanali

Documento inviato da Salvatore Ramuscello.


Orario di lavoro: non più di 48 ore settimanali  Politica dell’occupazione - 17-12-2008 - 12:37

Il Parlamento si è pronunciato sulla revisione dei requisiti minimi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro. Chiede di limitare a un massimo di 48 ore la durata media settimanale di lavoro in tutti gli Stati membri, respingendo la possibilità di derogarvi (opt-out) sostenuta dal Consiglio.

Propone poi di considerare come orario di lavoro anche i periodi di guardia "inattivi", ammettendo però che siano calcolati in modo specifico ai fini dell'osservanza del massimale settimanale.

La direttiva 2003/88/CE1 stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, tra l'altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro. La stessa direttiva prevede una clausola di revisione cui si è attenuta, nel 2003, la Commissione.

Il Parlamento si è pronunciato in prima lettura nel 2005, ma il Consiglio non è stato in grado di definire una propria posizione in materia fino allo scorso mese di settembre (con il voto contrario di Spagna e Grecia e l'astensione di Belgio, Cipro, Malta, Portogallo e Ungheria). Seguendo la linea suggerita dal relatore, Alejandro CERCAS (PSE, ES), il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una serie di emendamenti (già sostenuti nel corso della prima lettura) che respingono l'impostazione del Consiglio, in particolare, per quanto riguarda la possibilità di derogare al tetto massimo di 48 ore lavorative settimanali e il rifiuto di considerare come lavoro il tempo speso in periodi di guardia. L'esito della votazione è stato salutato da un largo applauso dell'Aula e molti deputati si sono complimentati personalmente con il relatore.

Quest'ultimo ha esortato il Consiglio a considerare questa votazione come «un'opportunità per rendere la nostra agenda simile a quella dei cittadini europei». Dovrà quindi essere convocato il comitato di conciliazione con l'incarico di trovare un accordo tra i due rami legislativi. In precedenza, la proposta della GUE/NGL di respingere la proposta di direttiva è stata bocciata dall'Aula con 118 voti favorevoli, 521 contrari e 27 astensioni.
Non più di 48 ore di lavoro a settimana

A suo tempo il Regno Unito aveva ottenuto l'introduzione di una clausola di opt-out che, a certe condizioni, permette di non rispettare la limitazione di 48 ore lavorative settimanali.

Attualmente sono 15 gli Stati membri che ricorrono a questa possibilità: Bulgaria, Cipro, Estonia, Malta e Regno Unito consentono l'opt-out in tutti i settori, mentre Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Spagna lo consentono solo nei settori in cui vi è un esteso ricorso ai periodi di guardia.

Con l'accordo raggiunto lo scorso settembre, il Consiglio ha confermato questa  possibilità precisando che, in ogni caso, il consenso a lavorare più del massimo consentito non può superare 60 ore come media  trimestrale o 65 ore, sempre come media su tre mesi, in assenza di un contratto collettivo e se "il periodo inattivo del servizio di guardia è considerato orario di lavoro".

Con 544 voti favorevoli, 160 contrari e 12 astensioni, il Parlamento ha respinto la possibilità di ricorrere a questa deroga, considerando che, in media, l'orario massimo di lavoro non deve comunque superare le 48 ore settimanali. Con 421 voti favorevoli, 273 contrari e 11 astensioni, il Parlamento concede tuttavia agli Stati membri un periodo transitorio di 36 mesi durante il quale sarebbe possibile superare questo limite. Questa
facoltà, in ogni caso, resta sottoposta a rigorose condizioni volte a garantire una protezione efficace della salute e della sicurezza del lavoratore.

Prima fra tutte, occorre il consenso del lavoratore stesso che, precisano i deputati, è valido non più di sei mesi,
rinnovabili, contro un anno sostenuto dal Consiglio.

Nessun lavoratore, inoltre, deve subire un danno per il fatto di non essere disposto ad accettare di lavorare più del massimo consentito o per aver revocato la sua disponibilità a farlo. Il consenso dato all'atto della firma del contratto individuale, durante il periodo di prova o entro le prime quattro settimane di lavoro va poi considerato «nullo e non avvenuto».

Le 48 ore di lavoro settimanali sono in principio calcolate su un periodo di riferimento di 4 mesi. I deputati accettano la proposta di poter derogare a tale disposizione imponendo un periodo di riferimento non superiore a 12 mesi mediante un contratto collettivo o un accordo sottoscritto dalla parti sociali o per via legislativa, previa consultazione delle parti sociali. Tuttavia, precisano che la deroga per via legislativa è possibile solo qualora i
lavoratori non siano coperti da contratti collettivi o da altri accordi e purché lo Stato membro adotti le misure necessarie affinché il datore di lavoro informi i suoi dipendenti e provveda a porre rimedio a ogni rischio per la salute e la sicurezza connesso all'organizzazione dell'orario di lavoro proposta.

I periodi di guardia vanno considerati orario di lavoro Nell'attuale direttiva manca una definizione del periodo di servizio di guardia. D'altra parte, diverse sentenze della Corte di giustizia hanno stabilito che il periodo di guardia doveva essere incluso nell'orario di lavoro. I deputati non contestano le definizioni di "servizio di
guardia" e di "periodo inattivo di servizio di guardia" introdotte dal Consiglio nella posizione comune. Il primo è «il periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione sul proprio luogo di lavoro al fine di intervenire, su richiesta del datore di lavoro, per esercitare la propria attività o le proprie funzioni».

Il secondo è invece definito come il periodo durante il quale il lavoratore è di guardia ... ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare di fatto la propria attività o le proprie funzioni».

Contrariamente al Consiglio, però, il Parlamento ritiene che l'intera durata del servizio di guardia, «incluso il periodo inattivo», deve essere considerata orario di lavoro, ribadendo così quanto sostenuto in prima lettura. Concede tuttavia la possibilità che i periodi inattivi siano «calcolati in modo specifico, sulla base di contratti collettivi o di altri accordi tra le parti», oppure mediante disposizioni legislative e regolamentari, per quanto riguarda l'osservanza della durata massima settimanale della media dell'orario di lavoro.

Periodi di riposo e conciliazione della vita professionale e familiare

L'attuale direttiva prevede un periodo minimo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, un periodi di riposo settimanale ininterrotto di 24 ore e almeno 4 settimane di ferie annuali retribuite, nonché norme sulla durata del lavoro notturno. Tuttavia, contempla anche la possibilità di derogare a tali disposizioni sulla base di contratti collettivi o accordi con le parti sociali e purché ai lavoratori siano accordati periodi equivalenti di "riposo
compensativo".

Se il Consiglio propone di precisare che queste compensazioni devono essere concesse entro "un termine ragionevole", il Parlamento chiede che il periodo di riposo segua quello trascorso in servizio, conformemente alla legislazione applicabile oppure a un contratto collettivo o altro accordo. Delle disposizioni specifiche in materia sono stabilite per i lavoratori mobili e attività offshore» e per i lavoratori a bordo di pescherecci.

I deputati condividono la posizione del Consiglio riguardo all'invito rivolto agli Stati membri di incoraggiare le parti sociali a concludere accordi volti a conciliare meglio la vita professionale con quella familiare. Con 539 voti favorevoli, 158 contrario e 10 astensioni, precisano tuttavia che i datori di lavoro debbono informare i dipendenti «con congruo anticipo» di ogni modifica del ritmo di lavoro. Inoltre, conferiscono ai lavoratori il diritto di chiedere modifiche del loro orario e ritmo di lavoro, lasciando però libero il datore di lavoro di respingere la richiesta se ciò comporta inconvenienti organizzativi «sproporzionalmente maggiori» del beneficio per i lavoratori.

 Dibattito (15.12.2008)

Il dibattito in Aula si è incentrato su due elementi particolarmente controversi della direttiva sull'orario di lavoro: la possibilità di derogare all'orario massimo di 48 ore settimanali di lavoro (opt-out) e la presa in considerazione dei periodi di guardia inattivi nel calcolo delle ore lavorate. La posizione comune del Consiglio generalizza la facoltà dei lavoratori di ricorrere all'opt-out e non considera come tempo di lavoro quello speso durante un periodo di guardia inattiva.

Questo approccio è respinto dalla relazione di Alejandro CERCAS (PSE, ES).

Dichiarazione del relatore

Alejandro CERCAS (PSE, ES) ha definito la posizione comune del Consiglio «un errore politico e giuridico» sostenendo che il Parlamento deve tenere conto delle preoccupazioni dei cittadini.

L'idea di limitare l'orario di lavoro a 48 ore, ha detto, è emersa nel 1919 per garantire il principio "lavorare per vivere" e non "vivere per lavorare" e, pertanto, «non si può tornare indietro su questi progressi».

 Notando quindi coma la posizione del Consiglio sia «agli antipodi» da quella del Parlamento, ha sottolineato che non si può abrogare un diritto e «tornare a una soluzione del XIX secolo che implica lo sfruttamento dei più deboli e il dumping sociale».

 A suo parere, l'opt-out previsto dal Consiglio - la possibilità di derogare al principio di massimo 48 ore di lavoro settimanali - avrà «conseguenze nefaste sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e rende più difficile la conciliazione della vita familiare e professionale».

Il deputato ha anche contestato l'idea del Consiglio di non considerare lavoro i periodi di guardia, in particolare nel settore della sanità.

 Augurandosi  che il Consiglio cambi posizione, il relatore ha auspicato che il Parlamento sostenga il
testo da lui proposto.

Dichiarazione della presidenza in carica

Valérie LETARD ha anzitutto ricordato che la posizione comune del Consiglio è frutto di un compromesso negoziato dalla Presidenza slovena nell'ambito di un pacchetto che include anche la direttiva sul pari trattamento dei lavoratori temporanei, approvata a ottobre dal Parlamento. Ha poi osservato che la Francia era favorevole alla soppressione  dell'opt-out ma la sua posizione non ha raccolto sufficienti consensi, restando così minoritaria. Ha quindi sottolineato la necessità di approvare un testo che sia accettabile per tutti, evitare di convocare il comitato di conciliazione e trovare una soluzione equilibrata che possa essere rapidamente applicata.

Dichiarazione della Commissione

Vladimír ŠPIDLA ha rilevato l'importanza della direttiva per chiarire la situazione giuridica, in particolare per quanto riguarda i periodi di guardia. Ha quindi esortato l'Aula a «tenere conto della realtà»: se nel 2003 l'opt-out era applicato in quattro Stati membri, ora lo è da quindici, e vogliono mantenerlo. Ha anche sottolineato la necessità di garantire condizioni chiare per i lavoratori che accettano la deroga, fissando anche dei limiti massimi. Interventi in nome dei gruppi politici

José Albino SILVA PENEDA (PPE/DE, PT) ha notato che, malgrado l'impegno della Presidenza, questa non ha avuto nessun mandato per negoziare un compromesso con il Parlamento, ed ha auspicato che questo possa essere trovato durante la conciliazione. Si è quindi chiesto quali difficoltà vi siano a conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia in merito alla contabilizzazione come lavoro dei periodi di guardia. Ha poi rilevato che la
necessaria flessibilità può essere ottenuta con l'annualizzazione del periodo di riferimento (in base al quale si calcolerebbe la media delle 48 ore settimanali). Ha quindi concluso ricordando che la base giuridica della direttiva è quella relativa alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.

Per Jan ANDERSSON (PSE, SE) occorre definire regole minime sulla sicurezza e la salute dei lavoratori ed è anche possibile garantire la flessibilità necessaria. Ha quindi respinto la posizione del Consiglio riguardo ai periodi di guardia e all'opt-out che, a suo parere, va soppresso poiché non lascia una vera scelta ai lavoratori.

Elizabeth LYNNE (ALDE/ADLE, UK) ha sottolineato che la posizione del Consiglio «non è l'ideale» ma gli sono voluti diversi anni per raggiungere un accordo. Si è poi detta favorevole all'opt-out a condizione che i lavoratori abbiano una vera possibilità di scelta e che siano evitati gli abusi. Si è poi detta favorevole a considerare lavoro i periodi di guardia, ma contraria alla possibilità - prevista dal testo del relatore - di poter derogare al
principio tramite contratti collettivi.

Ha quindi auspicato che il Consiglio modifichi la sua posizione e che si possa trovare un accordo nel corso della conciliazione.

Per Elisabeth SCHROEDTER (Verdi/ALE, DE), troppo lavoro «fa male alla salute, aumenta l'assenteismo e mette a rischio la sicurezza». Le deroghe, a suo parere, non  garantisce quindi l'obiettivo della direttiva di assicurare la sicurezza e la salute. Si è quindi detta d'accordo con il relatore di sopprimere la deroga dopo tre anni e di considerare come orario di lavoro i periodi di guardia. L'annualizzazione del periodo di riferimento, inoltre, garantisce la necessaria flessibilità a condizione che non siano rimessi in discussione i
periodi di riposo obbligatori.

Roberta ANGELILLI (UEN, IT) ha anzitutto osservato che, da parte del Consiglio, «non c'è stato uno sforzo adeguato per dialogare efficacemente con il Parlamento». Ha poi sottolineato che ogni compromesso al ribasso «si consuma sulla pelle dei lavoratori e che quindi un compromesso a tutti i costi può avere un prezzo da pagare in termini di salute, di sicurezza e di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa». Dicendosi inoltre cosciente dei cambiamenti sopraggiunti nel mondo del lavoro, a maggior ragione a seguito della crisi
economica, si è detta convinta della necessità di maggiore flessibilità. Ma, ha precisato, questa si deve ottenere «in un modo equilibrato e soprattutto evitando che in nome dell'emergenza si facciano improprie forzature sui diritti dei lavoratori». Riguardo alle proposte del Consiglio, ha criticato la troppa genericità della clausola di revisione dell'opt-out che, peraltro, non prevede «una data certa». Ha poi parlato di «una specie di velato ricatto» da parte del Consiglio, spiegando che se ci fosse un fallimento sul testo della posizione comune «rimarrebbe l'attuale direttiva con un opt-out senza limiti». In merito alla concezione del tempo di guardia, «che si tende di fatto ad assimilare a tempo di riposo», la deputata ha affermato che «non ci può essere alcun equivoco, perché ogni equivoco è del tutto inaccettabile». Infine, sulla conciliazione, ha sostenuto che questa «non può essere un termine astratto affidato a formulazioni generiche o a termini cosiddetti ragionevoli, che in realtà poi si trasformano in escamotage per derogare alla contrattazione collettiva costringendo di fatto il lavoratore, e soprattutto la lavoratrice, ad accettare le condizioni imposte pur di non perdere il posto di lavoro». Ha quindi concluso affermando di rendersi conto della necessità e dell'utilità di una revisione della direttiva, ma non «a tutti i costi, sostituendo vuoti legislativi con inquietanti ambiguità».

Dimitrios PAPADIMOULIS (GUE/NGL, EL) ha respinto la posizione del Consiglio sostenuta, «sfortunatamente», dalla Commissione perché «aiuta gli imprenditori e i neoliberisti e riporta indietro la storia di 90 anni». E' inoltre contraria agli interessi dei lavoratori e viola la sentenza della Corte di giustizia, cercando inoltre di eliminare l'idea della contrattazione collettiva. Il deputato ha quindi sostenuto la necessità di considerare
come orario di lavoro i periodi di guardia e si è detto contrario all'opt-out, che «nega l'Europa sociale».

Derek CLARK (IND/DEM, UK) ha affermato che il dibattito in corso è «una perdita di tempo» e che i governo britannico gli ha chiesto di sostenere l'opt-out. Interventi dei deputati italiani

Roberto MUSACCHIO (GUE/NGL, IT) ha anzitutto ricordato la «grande manifestazione sindacale contro il vero e proprio golpe che il Consiglio ha operato sulla direttiva». Sessantacinque ore e più di orario settimanale, ha proseguito, «sono un vero e proprio assurdo, qualcosa di inaccettabile, così come lo strappo con le regole collettive e gli accordi sindacali». «Lungi dal superare il sistema dell'opt-out, degli accordi individuali in
deroga - ha aggiunto - questi vengono addirittura generalizzati; si annualizza il calcolo dell'orario di lavoro determinando una flessibilità estrema e si rendono i riposi anch'essi aleatori e alla mercé delle convenzioni aziendali, così come si vuole considerare il tempo di lavoro inattivo come lavoro parziale, parzialmente riconosciuto e retribuito». Insomma: «inaccettabile».
«La politica dello sfruttamento a dismisura del lavoro mentre tanti lavoratori sono disoccupati - ha poi affermato - è il simbolo di una svalorizzazione del lavoro stesso che è tanta parte della crisi che attraversiamo». Ha quindi concluso auspicando che «il Parlamento ascolti la manifestazione di domani e reagisca a questo golpe del Consiglio per riaffermare anche in questo modo la propria sovranità».

Pier Antonio PANZERI (PSE, IT) ha affermato anzitutto che «non si sentiva assolutamente la necessità e il bisogno di voler cambiare questa direttiva sull'orario di lavoro», auspicando che il dibattito serva a confermare quanto è emerso dal voto in commissione affari sociali e occupazione del Parlamento. Ha poi rilevato che la presenza dei medici al Parlamento e la manifestazione convocata dalla Confederazione europea dei sindacati
intende respingere il compromesso raggiunto in Consiglio sulla direttiva. Ha poi spiegato che occorre porsi due chiari obiettivi. Quello «di mantenere nell'Unione europea 48 ore come orario massimo di lavoro settimanale, e perciò superare la clausola dell'opt-out che rischierebbe di derogare tale orario massimo, rendendo possibile il raggiungimento fino a 60 o 65 ore settimanali di lavoro». E, riguardo al tempo di guardia,
quello di non considerarlo come periodo di lavoro inattivo, bensì «orario di lavoro a tutti gli effetti». Così come «è giusto salvaguardare il diritto ad un periodo di riposo compensativo per il personale medico». Questi obiettivi, ha insistito, «possono e debbono essere comuni a tutto il Parlamento perché rappresentano la strada per evitare un'alterazione dei fattori competitivi interni all'Europa, basati sul dumping sociale e maggiore sfruttamento delle persone che lavorano». Si è quindi augurato che i colleghi convergano su queste
posizioni «perché si affermi davvero una nuova Europa sociale».

Patrizia TOIA (ALDE/ADLE, IT) ha respinto la proposta del Consiglio «che travolge il buonpunto di equilibrio trovato a suo tempo», spiegando che essa «segna un oggettivo arretramento su molti punti del lavoro, lavoro/vita, del rapporto lavoro/vita, del rapporto lavoro/garanzie ed è una scelta che indebolisce i diritti dei lavoratori». Ha poi voluto fugare ogni dubbio che si tratti di una difesa di diritti sindacali e corporativi. Ha infatti precisato di agire «per conto dei cittadini» e pensando «ai loro diritti sociali, che sono fondamentali».
Ha quindi sostenuto che non è una «buona Europa quella che non fa passi avanti, mentre il mondo va avanti, e che fa vistosi errori di prospettiva scambiando l'indebolimento delle tutele con la flessibilità e la libertà». E ciò, ha aggiunto, «è tanto più grave nel momento in cui l'Europa vive la sua crisi peggiore e non vede prospettive di prosperità e di crescita». «Se non capiamo che in questo momento milioni di lavoratori sono a rischio del posto di lavoro e si sentono in uno stato di debolezza e di precarietà e non hanno certo la capacità contrattuale volontaria, altro che optout, allora devo dire che noi non abbiamo cognizione di ciò che sta accadendo realmente nella vita sociale e familiare degli europei», ha detto.

Ha quindi dato il proprio sostegno alle proposte del relatore, augurandosi «che tutto il Parlamento lo faccia». Vista l'indisponibilità del Consiglio a negoziare in questa fase, ha concluso, il Parlamento dovrà «conquistare in sede di conciliazione una sede di confronto e di trattativa».

Per Mario MAURO (PPE/DE, IT) «il frutto del lavoro non è appena la produzione di beni e di servizi, ma è un vero e proprio compimento di un progetto di vita, il compimento di quel desiderio che ci porta a cercare la felicità». È quindi opportuno, ha sottolineato, «che le decisioni su politica di lavoro vengano prese in modo ponderato avendo cuore per i propri giudizi». Ha quindi affermato di ritenere «saggio» che il Parlamento «favorisca la
procedura di conciliazione, sostenendo da un lato la posizione del relatore, ma soprattutto gli emendamenti del collega Peneda». Ha infatti concluso sostenendo la necessità di garantire che il tempo di guardia nelle professioni sanitarie «venga riconosciuto fino in fondo come tempo di lavoro».

Alejandro CERCAS (PSE, ES)

Relazione relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti
dell'organizzazione dell'orario di lavoro Procedura: Codecisione, seconda lettura

Dibattito: 15.12.2008  Votazione:17.12.2008

Documento inviato da Salvatore Ramuscello.
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