Violenza di genere: più attenzione agli uomini per aiutare le donne

 

Lo scorso 6 febbraio è stata presentata al Senato la relazione finale della Commissione d’inchiesta sul femminicidio e la violenza domestica. La Commissione aveva il compito “facendo seguito alla ratifica della Convenzione di Istanbul” di “rilevare in maniera adeguata le dimensioni del femminicidio (uccisione di una donna, basata sul genere, ndr) in Italia, i fattori di discriminazione strutturale correlati al femminicidio e la risposta istituzionale a tutte le forme di violenza che lo precedono”.
La relazione finale di 450 pagine è frutto di 38 audizioni fatte a Magistrati, Ministri (Pari Opportunità, Interni), Forze dell’Ordine, Rettori universitari, Sindacalisti, Responsabili dei Media, Centri Antiviolenza, Medici di pronto soccorso (la dottoressa Kustermann di Milano), Centri per il trattamento degli uomini maltrattanti (Consultorio AUSL di Modena, dottoressa Pauncz, Firenze). Le audizioni si sono svolte nel giro di un anno da metà aprile a fine dicembre 2017.
La Commissione ha esaminato la violenza domestica anche nei suoi riflessi sui minori, con numerosissimi riferimenti all’esposizione dei minori alla violenza in famiglia e alle conseguenze nella vita adulta di uomini e donne.

C’è stata anche un’audizione sull’omicidio della Collega Ester Pasqualoni, uccisa il 21 giugno 2017 nel parcheggio dell’Ospedale Sant’Omero di Teramo, dove lavorava come responsabile del day hospital oncologico. Il suo assassino (poi suicidatosi) da dieci anni la perseguitava con omaggi, telefonate, messaggini, pedinamenti. La Collega aveva sporto due volte denuncia per stalking, ma era stato tutto archiviato. La Commissione ha rilevato che nel 50% dei casi il femminicidio è preceduto dallo stalking, per questo, all’esordio degli episodi, un’azione rapida da parte del Questore, di ammonimento allo stolker, è importante.
Un questionario inviato dalla Commissione a tutte le Procure Generali e Corti d’Appello del Paese ha permesso di conoscere com’è applicata la legge del 2013 che ha inasprito e allargato la repressione sulla violenza di genere. In Trentino il 12% degli imputati viene scagionato; a Venezia, come Distretto di Corte d’Appello, il 21%; a Caltanissetta il 44%. Queste disparità sono legate a problemi di formazione e specializzazione dei Magistrati e delle Forze dell’Ordine, di comunicazione tra tribunali civili e penali, ma anche dal modo in cui sono raccolte le prove presso il Pronto Soccorso cui si rivolge la vittima.

Nell’audizione della dottoressa Kustermann, direttore del Pronto soccorso ostetrico-ginecologico alla Clinica Mangiagalli di Milano, la Collega, che da più di vent’anni si occupa di violenza, riferiva: «In ognuno dei nove Pronto Soccorso del Policlinico è stata fatta formazione […] mettendo così gli operatori in condizione sia di riconoscere le vittime che di valutare il rischio di recidiva fino alle estreme conseguenze […]. Su più di 10.000 casi che abbiamo visto, ci sono stati due casi di femminicidio».
Riferiva che nessuna delle donne arrivate alla Mangiagalli aveva perso la causa in tribunale. Annotava però anche: «Se continuiamo a focalizzarci sulle vittime e sull’aiuto alle vittime, perdiamo di vista il fatto che chi uccide e maltratta sono gli uomini […]. Tra bambini maschi vittime di abusi sessuali, giovani maschi violentati – magari su strada – e uomini, normalmente molto più anziani, che dichiarano una violenza nell’ambito della famiglia, arriviamo al massimo al 5% sui 1.100 casi che vediamo ogni anno […]. Se non lavoriamo di più sugli uomini che maltrattano e che possono poi anche arrivare a uccidere, non credo che risolveremo il problema del femminicidio».

Per questo sono importanti le esperienze di quei centri che si occupano degli uomini maltrattanti. Sono intervenuti gli operatori del Consultorio ASL di Modena e la dottoressa Pauncz del CAM (Centro di Ascolto uomini Maltrattanti) di Firenze. A Modena l’esperienza è iniziata nel 2011, all’interno del Consultorio Familiare «in quanto struttura sociosanitaria dove non si pone il problema dello stigma né sono previsti interventi super specialistici, proprio perché il principio di fondo è che l’agire violenza non è una patologia […], è purtroppo presente nel nostro contesto quotidiano […]. Seguendo il modello e l’approccio norvegese (quello storico in Europa) ci siamo rifatti alle linee guida europee che per altro affermano un principio fondamentale: non ha senso dare vita a un centro per il trattamento degli uomini laddove sul territorio manchino servizi a protezione delle donne e dei minori». Il progetto di Modena è impostato sul “principio dell’accesso volontario” in quanto «la volontarietà definisce già in qualche modo un punto importante per mettere in atto un percorso di cambiamento».
Cercano di monitorare la loro realtà «facendo formazione anche al personale di pronto soccorso: questo, infatti, è l’ambito che si relaziona con il maggior numero di donne che subiscono violenza, ancor più della questura, dei servizi sociali e dei centri antiviolenza; è quindi fondamentale che il personale che si occupa di triage sia formato per essere in grado di comunicare con le donne e di permettere lo svelamento, che è il momento cruciale. Stesso discorso vale per i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Abbiamo cercato di intercettare gli uomini cosiddetti invisibili; infatti, se i dati ISTAT testimoniano che una donna su tre subisce una qualche forma di violenza, evidentemente un uomo su tre la agisce, e quindi volevamo che al nostro servizio si presentassero quegli uomini che, di fatto, si disperdono nella violenza nella loro quotidianità […]. Spesso si tratta di uomini con un titolo di studio di scuola media superiore, se non di livello più alto, e che per la maggior parte sono sposati o convivono con le loro compagne; inoltre, il 90% di questi è padre […]. È un pregiudizio pensare che (la violenza sulle donne, ndr) si manifesti solo o soprattutto in contesti di emergenza, di degrado sociale, in ambienti dove sono presenti droga, patologie psichiatriche e miseria economica. Lo stereotipo dell’uomo mostro, dell’uomo-orco è abbastanza comune anche tra i professionisti, ma non corrisponde alla realtà. Un uomo violento nella relazione di intimità è, nella maggior parte dei casi, una persona con problemi di mancanza di rispetto e di controllo, di svalutazione della partner, con o senza violenza verbale o fisica esplicita […]. È una persona che ha commesso violenza prevalentemente contro la partner e non all’esterno della famiglia». A Modena il Centro aiuta gli uomini a cambiare e a responsabilizzarsi circa i propri comportamenti violenti fino a smettere di usare qualunque forma di violenza.

La Commissione ha notato che spesso gli operatori di Pronto Soccorso, i Medici di Medicina Generale e i Pediatri non riconoscono il discrimine tra ciò che è conflitto familiare e ciò che è violenza domestica, riconoscimento che quindi domanda un percorso di formazione. Una delle conclusioni più importanti della Commissione è proprio la necessità di formazione per chi affronta professionalmente il problema della violenza contro le donne.
Su questa scia si inserisce il programma annunciato l’8 febbraio dalla Regione Veneto di attivare entro l’anno 110 corsi di formazione per 3000 medici e infermieri di pronto soccorso e medici di medicina generale “in tema di soccorso e assistenza sociosanitaria per le donne vittime di violenza”.

Alessandra Cecchetto, Consigliera OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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