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Data di inserimento: Martedì, 16/05/17 - Amministratore
Ridurre i rischi sanitari, per tutti, significa soprattutto tenere sotto controllo le fonti inquinanti. Significa monitorarle di continuo, se pur tra mille difficoltà, innanzitutto di natura economica. Significa analizzare i dati e creare modelli che possano indirizzare per il futuro. Significa, infine, guardare al passato, la storia giudiziaria del Petrolchimico, per imparare la lezione e non ripetere gli stessi errori.
Sono questi i temi emersi nel convegno Marghera e non solo. Tutela della salute pubblica ed analisi delle fonti inquinanti, che si è svolto sabato 13 maggio al Centro Culturale Candiani di Mestre, organizzato dall’OMCeO lagunare in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Veneto e i patrocini dell’Ulss 3 Serenissima e dell’Ulss 4 Veneto Orientale.
Giornalisti, epidemiologi, oncologi, medici esperti di prevenzione e di sicurezza sui posti di lavoro si sono alternati sul palco per chiarire, ad esempio, che “anche un singolo intervento di blocco del traffico può servire a qualcosa”, che le modificazioni dei geni, studiate dall’epigenetica, “sono reattive ed adattative all’ambiente che ci circonda” e che “le trasformazioni del genoma indotte dall’ambiente sono reversibili”.
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I saluti delle autorità
«Su Porto Marghera – ha spiegato Gianluca Amadori, presidente dell’Ordine dei Giornalisti, dopo aver ricordato l’importanza della sinergia tra professionisti di tipo diverso – c’è stata negli anni passati un’attenzione fortissima. Oggi dobbiamo continuare su questa strada perché alcune problematiche sono state superate, altre sono attualissime. L’attenzione della stampa non sempre è ad alti livelli, ci sono interessi economici forti. Nell’inchiesta giudiziaria sul CVM, che ho seguito in prima persona, un dato mi aveva colpito: si è fatta più attenzione alla tutela dei posti di lavoro, a mantenere il polo industriale, che a quella della salute pubblica della cittadinanza, passata in secondo piano. Questa esperienza del passato deve servici da monito».
Dalla fondamentale collaborazione tra Ordini – ha detto: «La diffusione delle notizie è il mezzo principale per la consapevolezza della gente» – è partito anche, nei suoi saluti iniziali, Giovanni Leoni, presidente dell’OMCeO lagunare, ricordando poi come lo stesso Codice deontologico, all’articolo 5, faccia riferimento alla tutela della salute pubblica come dovere preciso del medico.
«Il nostro dovere – ha aggiunto – è tutelare la salute della gente nelle sue varie forme, anche la salute dei lavoratori dunque, e di fare prevenzione. Ciò che mi interessa è un piano di rilancio della salute pubblica, che derivi dal nostro recente passato, e dell’occupazione in cui si tenga conto anche della buona salute dei lavoratori e di chi vive vicino agli impianti. Bisogna attirare l’attenzione dei politici su questo tipo di problemi, metterli in cima alle situazioni da risolvere. Incontri come questo vanno nell’interesse dei cittadini perché restino cittadini e non si trasformino in pazienti».
A raccogliere l’appello al mondo politico lanciato dal presidente Leoni, Simone Venturini, assessore comunale alla Coesione Sociale, originario proprio di Marghera, che prima ha sottolineato come giornalismo e medicina oggi siano sempre più spesso messi in discussione da chi si improvvisa, pur essendo due servizi essenziali per il cittadino perché raccontano la verità e la studiano. Poi uno sguardo anche al tema del convegno.
«Ciò che mi ha colpito – ha spiegato – è che, dopo un rapido inquadramento storico, del contesto, il programma è impostato sul presente e sul futuro. È difficile dare un giudizio sulla storia: questa storia ha fatto morire di malattia molte persone, ne ha sfamate tante altre, ha reso possibile uno sviluppo, ma ha anche distrutto la laguna. Porto Marghera è una delle contraddizioni grandi del Novecento. Ma qui si cerca di capire quali siano oggi le complicazioni, l’eredità di quella storia sulla salute delle persone. Senza dimenticare, poi, gli altri agenti inquinanti, come il PM10 o l’elettrosmog».
L’azienda sanitaria c’è, la netta presa di posizione, infine, di Onofrio Lamanna, direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima. «Nell’azienda sanitaria – ha aggiunto – non ci sono solo medici. Intorno al mondo della prevenzione ruotano tante figure professionali meno note: ci sono i chimici, i biologi, gli esperti di prevenzione… Oltre ai percorsi di diagnosi e cura, disponiamo di un apparato di sorveglianza e di prevenzione, che si sforza di essere indipendente, libero da condizionamenti. Credo che dal confronto di oggi potremmo trarre anche noi motivo di arricchimento».
Cosa insegna la vicenda di Porto Marghera
Alla giornalista Nicoletta Benatelli, grande esperta della vicenda giudiziaria del Petrolchimico, il compito di introdurre il convegno, attraverso un breve excursus storico, per spiegare quanto sia stato pesante l’impatto sotto il profilo della salute pubblica e di quella dei lavoratori, ma anche sotto il profilo ambientale, in termini di inquinamento del terreno, dell’acqua e in atmosfera.
«I primi appelli arrivano già – racconta – tra il ‘69 e il ‘74 quando un medico del lavoro, Pier Luigi Viola, lancia l’allarme sulla pericolosità del CVM, il cloruro di vinile monomero». Poi, nel ‘72, Montedison affida all’oncologo Cesare Maltoni uno studio sperimentale sulla cancerogenicità del CVM e negli anni successivi, a testimonianza di una preoccupazione crescente, si susseguono varie lettere di avvertimento da parte dei medici. Fino al 1982 quando Corrado Clini, allora responsabile della medicina del Lavoro di Marghera, denuncia il rischio di “un’epidemia occulta di tumori nell’area”.
Tratto caratterizzante, un dato di partenza: in natura l’angiosarcoma epatico, che poi si caratterizzerà come tumore tipico legato all’esposizione del CVM, è molto raro, colpisce appena una persona su un milione. Secondo le indagini di Gabriele Bortolozzo, invece, ex operaio del reparto CV6 – la cui forza straordinaria farà partire l’inchiesta, anche se solo 20 anni dopo quei primi allarmi – a Marghera gli operai colpiti dal cancro sono 84 tra 424 addetti.
Durante la sua relazione, la giornalista snocciola i numeri del maxi processo:
- 157 lavoratori morti di tumore e 103 malati;
- 28 manager sotto processo;
- 35 discariche abusive, per un totale di 5 milioni di metri cubi di rifiuti tossici, di cui alcune inquinate da rifiuti speciali, anche radioattivi;
- 120 diversi tipi di sostanze tossiche a inquinare l’aria, dalle diossine al piombo, dal mercurio al cadmio;
- 4.900 tonnellate di CVM emesso in atmosfera negli anni Sessanta, 9.800 negli anni Settanta, 824 negli anni Ottanta;
- 525 miliardi di lire il risarcimento ottenuto per il danno ambientale.
Le prime indagini epidemiologiche, però, scattano solo nel 2000 e dicono che a Marghera si muore di più per tumore al fegato, polmone, pleura, pancreas e vescica, e che nell’area sia per gli uomini sia per le donne c’è un eccesso di tumori di tutti i tipi e di malattie dell’apparato digerente. «La Sapienza è un albero di vita. Ma non c’è vero sapere senza scienza e coscienza» il monito che Nicoletta Benatelli lancia ai presenti, citando dal Libro dei Proverbi.
La parola agli esperti
L’analisi dei casi di tumore del fegato, del polmone e delle altre patologie correlate all’esposizione a CVM e PVC, un’illustrazione delle attività dell’epigenetica con un particolare riferimento alle diossine, agli interferenti endocrini e alla possibile trasmissione dei danni tra generazioni, i rischi per la salute derivanti dall’inquinamento urbano e come la tutela della salute pubblica sia costretta a muoversi tra limiti di legge, ricerca scientifica e principio di precauzione, i temi analizzati dagli esperti: l’epidemiologo Paolo Crosignani, già direttore di Epidemiologia ambientale all’Istituto dei Tumori di Milano, e l’oncologo Ruggero Ridolfi, membro del comitato scientifico dell’Associazione italiana Medici per l’Ambiente.
Crosignani, cercando di creare modelli applicabili anche nel futuro, ha spiegato cosa sia l’inquinamento da particolato e come funzioni il sistema delle soglie per il PM10 e il PM2.5, che non sono parametri sanitari ma valori tecnici: sforare più di 35 volte i parametri fissati serve a dire con molto anticipo che si è arrivati a una situazione critica, che la media annuale di esposizione ad inquinanti sarà troppo elevata.
«Nei giorni a maggior inquinamento – ha aggiunto l’epidemiologo – aumentano anche la mortalità e i ricoveri ospedalieri di persone malate e particolarmente a rischio per problemi respiratori e cardiovascolari. Ma anche dopo episodi acuti di inquinamento non ci sono vuoti di mortalità: da un lato, quindi, agisce su persone già molto compromesse e dall’altro fa peggiorare lo stato di salute di persone meno compromesse». Un rischio, dunque, continuo, a lungo termine. Per questo è necessaria la prevenzione.
«Quando l’inquinamento diminuisce – ha concluso Crosignani – diminuisce in modo molto rapido, in un tempo estremamente più breve, sia il rischio di tumori del polmone, sia quello della mortalità generale legata a patologie cardiovascolari. Azioni fatte oggi, insomma, consentirebbero di eliminare subito la mortalità a breve termine e di migliorare di molto lo stato di salute della popolazione perché anche i danni non si accumulerebbero».
Ruggero Ridolfi, invece, si è soffermato sull’epigenetica, la branca della biologia molecolare che studia le mutazioni genetiche e la trasmissione di caratteri ereditari, sottolineando come le modificazioni dei geni siano reattive ed adattative all’ambiente, ma anche come le trasformazioni del genoma indotte dall’ambiente siano in realtà reversibili. «Se cambiano le condizioni ambientali – ha detto – cambiano e migliorano anche gli influssi sul nostro genoma. Per i tumori, forse, l’epigenetica potrebbe essere una risposta».
Dopo aver illustrato i danni derivanti dalle diossine – i cui tempi di dimezzamento sono lunghissimi: ci vogliono in media dai 7 agli 11 anni per eliminare metà della diossina ingerita – l’oncologo ha approfondito le mille difficoltà tra cui si muove la tutela della salute pubblica, a partire da quelle legate alla ricerca scientifica, che necessita di tempi lunghi, di grandi numeri, di ingenti risorse. «Il principio di precauzione, poi – ha concluso – è messo pesantemente sotto accusa dagli economisti perché contrasta con le necessità del loro settore».
Le esperienze sul territorio
L’ultima parte della mattinata è stata dedicata, infine, alle esperienze di prevenzione sul territorio. «Dobbiamo concentrarci – ha detto Teresio Marchì, direttore dello SPISAL (Servizio Prevenzione Igiene Sicurezza Ambienti di Lavoro) dell’Ulss 3 Serenissima – sui casi di domani, evitare che tra 10 anni ci sia un altro processo per il CVM». Tra gli altri temi affrontati: le bonifiche a Porto Marghera e i rischi correlati per la salute dei lavoratori, le malattie professionali più diffuse in Veneto – in aumento rispetto agli infortuni che sono, invece, in calo – e i piani di prevenzione che si attuano.
Di regole e norme ha parlato, invece, Giorgio Cipolla, direttore dello SPISAL dell’Ulss 4 Veneto Orientale, che ha illustrato il Reach, cioè il regolamento europeo 1907 del 2006, adottato per migliorare la protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente dai rischi delle sostanze chimiche, classificandole e seguendone la vita dall’inizio alla fine. «Un documento importante – ha spiegato – perché coinvolge tutti gli attori del mercato: produttori, importatori, commercianti… Purtroppo, volenti o nolenti, siamo sempre a contatto con sostanze chimiche». E bisogna sapere come difendersi.
Un focus sul mesotelioma, è arrivato, invece, da Paolo Morandi, direttore dell’Unità complessa di Oncologia dell’Ulss 3 Serenissima. «La storia del mesotelioma pleurico – ha spiegato prima di illustrare casi, incidenza della malattia, possibile previsione del picco di mortalità – può essere un esempio di quanto si è spiegato oggi, di come una patologia si trasformi tra trattamenti terapeutici che vanno evolvendosi e numeri disperanti, invece, sull’efficacia dei trattamenti stessi. Quando, allora, la patologia ha una localizzazione particolare, che non riusciamo a contenere con tecniche tradizionali, sperimentiamo nuove possibilità terapeutiche».
Della grande importanza di monitorare i dati e di realizzare indagini epidemiologiche continue ha parlato, infine, Vittorio Selle, direttore del Servizio Igiene e Sanità Pubblica del dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 3 Serenissima. «Quello che cerchiamo di fare – ha detto illustrando le attività passate, lo studio sulla tangenziale, e quelle in corso, l’analisi dell’inquinamento a Murano da arsenico e cadmio – lo facciamo con risorse scarse e nel silenzio. Per dare garanzie alla popolazione, dobbiamo avere studi epidemiologici continui: con le risorse che abbiamo, però, questo monitoraggio è difficile».
La lotta all’inquinamento, dunque, non è ideologia del passato, ma una battaglia quotidiana e che si declina in vari modi. Il monito degli esperti è chiaro: la salute pubblica è a rischio e per tutelarla di più e meglio basta anche un solo giorno di blocco del traffico nelle città. Ma servono anche: più risorse, più investimenti nella ricerca, indagini epidemiologiche continue per tenere la situazione sotto controllo, più lungimiranza politica, meno influenza dell’economia. Così, forse, si metteranno al riparo le nuove generazioni dai rischi derivanti dalle fonti inquinanti. Sempre che non sia già troppo tardi.
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia
Amministratore
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