Sanità: il gossip fa notizia. La realtà no

Questo articolo è stato scritto da Giovanni Leoni, presidente dell'OMCeO veneziano e vicepresidente della FNOMCeO, come editoriale del secondo numero del Notiziario OMCeO in fase di realizzazione e di stampa. È stato anche pubblicato sabato 28 luglio sulla rivista on line di settore "Quotidiano Sanità" (lo trovate a questo link: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=64444)

Alla fine di questa estate 2018 cosa resterà nell’immaginario collettivo della figura del medico? Il “chiuso per festa” del chirurgo vascolare di Napoli, le mazzette dei ginecologi di Prato o quelle più generiche collegate al camice bianco della “Corruzione in Sanità” del Ministro Grillo?

Mentre scrivo siamo ancora a luglio e in estate la sanità è sempre particolarmente di moda in assenza di altre notizie più importanti. Devo dire che c’è stata una buona partenza. 

Notizie interessanti che attirano la curiosità del pubblico, della serie “dagli all’untore”. Il caso Litta di Padova, collezione medici e contanti, era appena passato in archivio non prima di aver scatenato un’inchiesta giornalistica che aveva radiografato i medici del Veneto che fanno libera professione.
Infatti per una settimana la prima pagina sul Gazzettino a otto colonne era stata occupata dai redditi al lordo di tutte le tasse e trattenute a vario titolo degli ultimi tre anni per fare più impressione, ogni giorno una AULSS diversa. Mi è sempre rimasta la curiosità della fonte, precisa fino al dettaglio. Fosse così per tutto in sanità, avremmo molti problemi di meno.

Personalmente io non ci sto a vedere descritta così la mia categoria, colleghi in mezzo ai quali per mia fortuna vivo tuttora, ma il gossip fa notizia lo so perfettamente, è il diritto di cronaca.

Così devo partire dai complimenti allo studio dell’Associazione Liberi Specializzandi (www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=63357) che ha dimostrato come si perdono fino a 510 borse di studio di quelle già scarse che sono a disposizione. «Tra il 2016 e il 2017 sono state “abbandonate” 510 specializzazioni. Nel prossimo concorso di specializzazione una buona parte dei medici che ha vinto una borsa di studio lo scorso anno ritenterà il concorso per una nuova specialità (la propria prima scelta) e chi riuscirà, chi si iscriverà alla nuova specializzazione abbandonerà la prima, di fatto sprecando una borsa».

Il sistema a scaglioni dimostra seri problemi perché mescola sedi e specialità dei circa 6500 eletti a serie da 1000 e gli ultimi prendono quello che trovano senza le adeguate motivazioni, mortificando i propri ideali. Mio padre mi diceva tanto tempo fa: «Impegnati e combatti per fare il lavoro che più ti piace perché la maggior parte della vita la passerai lavorando».
Come dare torto ai nostri giovani colleghi, l’accesso deve essere rivisto.

Mentre negli ospedali nel mondo reale i medici riducono o non fanno le ferie come i comuni mortali, i pensionati vengono reclutati per colmare i buchi e molti lavorano anche gratis per il piacere, avete capito bene, di continuare ad esercitare la loro professione preferita.
Conosco personalmente un cardiologo e un dentista che si sono prestati in tal senso nell’ospedale dove hanno passato la loro vita, perché questo lavoro è stato la loro passione. Questo lavoro, non il Club Med…

In Veneto altri due pensionati sono stati reclutati in ortopedia e ginecologia. Non sono casi isolati ma altri semplicemente non sono noti, fanno più notizia gli esempi negativi, come al solito.
Ma penso sia comprensibile a tutti che queste sono soluzioni disperate, per un arco temporale limitato e contrarie alla logica della naturale evoluzione della cose.
Il ricambio generazionale non può partire dai pensionati, dal volontariato: è ridicolo quanto vero.

In questo periodo della mia vita ho una profonda curiosità nei riguardi dei dirigenti della Programmazione Sanitaria a livello nazionale, so che ci sono responsabilità ripartite a vari livelli, ma il mio sogno nel cassetto è arrivare a conoscere direttamente le menti da cui dipendono i medici di ogni età in ambito lavorativo; vista la situazione globale la conclusione è che esistono degli ampi margini di miglioramento.
Il Presidente del SUMAI Antonio Magi ha recentemente dimostrato con i numeri che 15.596 specialisti ambulatoriali sono colpevolmente utilizzati in modo parziale rispetto alle loro reali possibilità, mediamente solo per 20 ore settimanali invece delle 38 ore possibili; e quindi lavorano come se fossero 8.208 medici a tempo pieno invece dei possibili 15.596 (http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=64294).

A livello di dipendenza, per risolvere la carenza di specialisti, può essere impiegato a livello generale l’istituto della convenzione con le scuole di specialità: dopo il primo biennio gli specializzandi continuano studi ed esami in sede universitaria con frequenza clinica in reparti dedicati, come avveniva in un recente passato a livello diffuso e come avviene anche adesso, ad esempio, nel reparto dove lavoro collegato all’Università di Padova.
Il numero delle borse di studio per Ospedale e Medicina del Territorio deve poi essere adeguato al numero dei laureati. Questo è un principio di base, allo stato ignorato con discussioni varie.
Il risultato finale lo vedono tutti: eterne liste di attesa per visite con impegnativa e tutti in fila dai medici rimasti a fare l’ambulatorio divisionale che deve occuparsi in particolare di tutti gli esenti ticket che non possono permettersi una visita a pagamento.
La libera professione, spesso demonizzata, è prima di tutto un diritto del paziente a scegliersi il professionista da cui uno vuole essere curato e non una scelta obbligata per ovviare alla carenza di prestazioni pubbliche.

Il SSN, che quest’anno compie 40 anni e sarà celebrato in un congresso dedicato a settembre, deve essere mantenuto per fornire prestazioni con regolare impegnativa, senza distorsioni da richieste indotte.
Se diminuisce il numero degli operatori diminuisce anche il tempo dedicato alle visite ai pazienti ambulatoriali. Nei reparti è compito del primario organizzare il lavoro dei colleghi e controllare che sia impiegato adeguatamente l’orario di servizio, con un numero di prestazioni ed un tempo per singolo evento appropriato alla dignità del paziente, alle necessità del medico, all’importanza del singolo caso clinico.
Altre considerazioni portano con tecniche premeditate ad uno stato confusionale per i cittadini. La privazione di una risposta in tempi e modi congrui ad una richiesta di salute personale o per un proprio congiunto, ad esempio un’attesa di ore al Pronto Soccorso, trasforma in dramma psicologico anche il caso meno grave.
Da tali episodi conseguono reazioni di vario genere, che originano da una fase di paziente attesa fino ad arrivare alla protesta verbale e scritta o all’episodio di violenza fisica quando la dilatazione dei tempi viene percepita o si trasforma realmente in un situazione inaccettabile.
La decadenza globale dei costumi e il deficit di educazione civica fanno il resto e gli episodi di violenza sugli operatori sanitari aumentano.
Ma se statisticamente diventa eccessivo il numero di prestazioni richieste nell’unità di tempo considerata, divise per il numero di operatori addetti, stress e caos saranno il ricordo di una mattina, pomeriggio o notte di bisogno, immediatamente classificata come da dimenticare.

Piccolo messaggio per gli “utenti”: non aggredite chi lavora per voi. Nell’attesa osservate le loro facce, quello che stanno facendo, la condizione di chi vi sta a fianco. E troverete la risposta alla vostra situazione.

Giovanni Leoni, Presidente OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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