#VIS2017: la salute in piazza smaschera le bufale

Rendere i cittadini più consapevoli che la tutela della salute parte innanzitutto da loro. Ma anche rafforzare l’alleanza terapeutica medico-paziente attraverso un confronto schietto e diretto e, quest’anno, mettere in guardia la popolazione sulle tante fake news che circolano sul mondo sanitario e sui falsi miti che rimbalzano soprattutto in internet e sui social network.
Questi gli obiettivi della settima edizione di Venezia in Salute, la manifestazione organizzata dall’OMCeO lagunare e dalla Fondazione Ars Medica, in stretta sinergia con il Comune di Venezia, che si è svolta il 23 e il 24 settembre a Mestre, con una coda sabato 30 settembre in Piazza Ferretto, dove si è recuperato il programma della domenica pomeriggio, annullato a causa del maltempo.
Centinaia le persone che hanno visitato gli stand degli enti pubblici e privati e delle associazioni attive sul territorio in ambito sanitario, mentre sul palco i Cafè Sconcerto con i loro sketch e le loro canzoni, tutte ispirate alla salute, intrattenevano il pubblico. Sul maxischermo anche tanti video, gentilmente concessi dalla trasmissione Striscia la Notizia, su ciarlatani e santoni vari che popolano il mondo del web.

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La tavola rotonda del 24 settembre
La battaglia contro le bufale, dopo il convegno scientifico che si è svolto il giorno prima (clicca qui per un resoconto completo), è cominciata il 24 settembre nella sede mestrina dell’Ordine dove, causa pioggia incessante, è stata spostata la tavola rotonda Falsi miti e pseudoscienze in tema di salute, con la partecipazione di Antonella Viola, immunologa, docente al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e da poco nominata direttore sanitario dell’Istituto di Ricerca Città della Speranza, di Silvano Fuso, chimico, divulgatore scientifico e saggista italiano, socio effettivo del CICAP, autore del libro Naturale = buono?, e di Laura Strohmenger, docente al Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche dell’Università di Milano, direttore dell’Unità Complessa di Odontostomatologia e Prevenzione Orale dell’Ospedale Santi Paolo e Carlo di Milano e coordinatrice del Centro di Epidemiologia Orale dell’OMS. A moderare il dibattito il giornalista de Il Gazzettino Francesco Antonini.

All’incontro hanno partecipato anche Roberta Chersevani, presidente della FNOMCeO, e Simone Venturini, assessore alla Coesione sociale del Comune di Venezia. «La medicina – ha detto Chersevani – sta cambiando e stanno cambiando la figura del medico e del paziente. Speravo stamattina di stare in piazza, per uno scambio con le persone perché la comunicazione è alla base della nostra professione. Se si parte da una buona comunicazione, si arriva a una buona informazione, a una buona condivisione, un rapporto di fiducia reciproca. VIS mi piace perché è un acronimo che parla di forza. Venezia in Salute si è sempre occupata di prevenzione e diventa una forza: per le persone che, se ricevono un messaggio corretto sugli stili di vita, si ammalano di meno; per il medico che ha l’opportunità di condividere la relazione con la persona assistita prima della malattia; per il nostro servizio sanitario nazionale perché, se si riduce la patologia, c’è la possibilità che questo sistema si sostenga e regga. La tavola rotonda di oggi ci vede in prima linea: stiamo lavorando, cercando di combattere la disinformazione. Serve una stampa positiva che porti un’informazione corretta: cominciare a cercare e a dare sempre di più buone notizie».

«La presenza della presidente Chersevani – ha aggiunto l’assessore Venturini – sottolinea l’importanza delle iniziative che l’Ordine veneziano dei Medici organizza. La collaborazione con il Comune non può mancare perché dove c’è del buono ci deve essere anche la politica: si chiama sussidiarietà, si chiama collaborazione con i corpi intermedi che servono. VIS ormai qui ha assunto l’importanza del Redentore e della Madonna della Salute: è un evento entrato nell’immaginario collettivo della città. Fondamentale è anche la presenza dei tanti e diversi gazebo: la salute e la prevenzione la fanno gli ospedali e i medici, certo, ma attorno a loro deve esserci anche una società pronta a fare il proprio lavoro. L’insegnamento di VIS è che una città in salute passa per una città che si attiva».

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Tra i primi temi sviscerati durante la mattinata, la mancanza ormai generalizzata di un’adeguata cultura scientifica. «Manca la capacità – ha spiegato Antonella Viola – di leggere un articolo, di interpretare una notizia, di avere un approccio razionale a un argomento o a una problematica. Le persone non sanno se l’antibiotico serva a curare forme batteriche o virali o se l’elettrone sia più piccolo dell’atomo. Bisogna ripartire dal valore della conoscenza: nelle nostre scuole la scienza non si insegna bene. Poi c’è un altro problema: a un certo punto non si è più investito sulla conoscenza, la conoscenza è diventata noiosa. Così si crea una società che è solo in apparenza colta, che non sa più distinguere una notizia vera da una bufala, in realtà ignorante».
Una società ignorante di cui fanno parte, ad esempio, anche alcuni giornalisti televisivi che credono che davvero si sia scoperta la cura contro il cancro o in cui si paventa un timore inesistente, come successo nella crociata contro l’olio di palma, sostanza che in realtà non fa più male di qualsiasi altro olio in commercio.

Proprio sul concetto di naturale dunque buono, si è soffermato poi Silvano Fuso, partendo da un esempio recentissimo: la coppia di coniugi morta avvelenata da un’erba raccolta in montagna e scambiata per zafferano. «Basta già questo esempio – ha spiegato – per smontare il mito che tutto ciò che è naturale sia anche buono. L’aggettivo “naturale” viene appiccicato a sostantivi di attività umane: cosmesi naturale, agricoltura naturale… Ma questi sono ossimori. Lo stesso vale per la medicina: se volessimo attenerci al naturale, dovremmo tenerci i virus e le malattie. Non dimentichiamoci che il mito del naturale è stato fatto proprio dal mondo del marketing».

Un’analisi, invece, di ciò che sta succedendo nel mondo dell’odontoiatria, professione di stampo per lo più privato, è stata affidata a Laura Strohmenger. «Tra noi e il paziente oggi – ha sottolineato – c’è un intermediario: il service, l’imprenditore che mette sotto contratto il professionista e fa la pubblicità. A Milano ci sono cartelloni pubblicitari ovunque che dicono: prova la protesi per 30 giorni, la pagherai dopo. Nel trasmettere il nostro messaggio scientifico noi odontoiatri risentiamo molto di questo: il dato scientifico odontoiatrico esiste, ma non passa da nessuna parte. E anche il nostro studente, il giorno dopo la laurea va a lavorare per il service a 22 euro lordi l’ora. Siamo in un marasma che è quasi peggio di quello dei vaccini».

Si è parlato inoltre:

  • della necessità della formazione fin dai primi anni dell’infanzia: «al liceo è troppo tardi», ha spiegato Antonella Viola;
  • del bisogno di insegnare la scienza e non le scienze, «di recuperare, cioè – ha detto Silvano Fuso – l’aspetto metodologico là dove oggi si privilegiano nozioni e contenuti»;
  • dell’erroneo concetto di democrazia che mette sullo stesso piano, ad esempio nelle trasmissioni televisive, gli esperti della comunità scientifica e chi non ha alcun titolo per parlare, disc jockey e soubrettes, creando confusione nell’opinione pubblica;
  • delle diete vegetariane, poco scientifiche, o degli antiossidanti, ieri propinati per ogni soluzione e di cui oggi si valuta la nocività;
  • delle cliniche dentali low cost: «uno yogurt – ha sottolineato Laura Strohmenger – può essere buono a poco prezzo? Non si può praticare una disciplina medica se il presupposto è il risparmio»;
  • della scarsa responsabilità, infine, di alcuni Ordini dei Medici che talvolta, patrocinando alcuni eventi, si fanno complici di bufale e assurdità scientifiche.

La testimonianza di Fabrizio Pulvirenti
Durante il pomeriggio in Piazza Ferretto, infine, prima dell’esibizione delle ragazze della Polisportiva Terraglio, è stata anche trasmessa la testimonianza video di Fabrizio Pulvirenti, medico trasformatosi in paziente, perché colpito dall’ebola, e poi guarito.
«Quando nel 2013 scoppiò l’epidemia di ebola in Africa – ha raccontato – cominciarono a diffondersi in Italia anche alcune bufale mediatiche che volevano ebola alle nostre porte. Malattia che, però, non sarebbe potuta arrivare alle nostre latitudini perché manca il serbatoio di infezione, il pipistrello della frutta che la trasmette. Io presto tutt’ora la mia faccia, la mia esperienza, il mio vissuto, come testimone per la medicina. Il primo messaggio è: la medicina è e deve essere fatta sempre da professionisti, come i colleghi che mi hanno curato. Io non mi sarei potuto curare attraverso l’e-mail. Senza la professionalità, senza lo studio, senza la conoscenza scientifica che deriva dalla prova scientifica, non si fa una buona medicina. Diffidate sempre da chi vi propina soluzioni ad alto costo, senza medicine, con diete. Dalle malattie si guarisce quando il percorso di diagnosi e cura è affidato alle mani dei professionisti».
Pulvirenti ha anche raccontato il costante e faticoso delle ong e dei volontari in Sierra Leone, Guinea e Liberia, che ha permesso di circoscrivere e controllare l’epidemia; i rapper che hanno veicolato attraverso la musica e la radio un corretto messaggio scientifico alla popolazione, in gran parte analfabeta; la sua esperienza di paziente che non ha mai perso la speranza di poter guarire.
Si è soffermato, poi, sui vaccini e sulle polemiche montate negli ultimi mesi, legate all’obbligo introdotto per legge dal governo. «Se ci fosse la possibilità – si è chiesto Pulvirenti sul palco – di vaccinarsi per ebola, lo faresti? Tutti rispondono di sì, è la percezione di una malattia grave. Evidentemente per quelle malattie che si possono vincere con i vaccini si è persa quella sensibilità, quella paura che potevano dare. Fino ad arrivare a sciocchezze assurde, come quei gruppi di autoinfezione di varicella o morbillo. Il problema è che il morbillo non lo vediamo più, è scarsa la percezione della popolazione su quello che veramente la patologia può provocare. Il morbillo è una malattia grave: un caso su mille evolve in encefalite, a volte con esito fatale o con danni permanenti, uno su tremila è un morbillo emorragico non diverso da ebola. Dunque è la percezione che si è persa di questa malattia».
Alla figura del medico ha dedicato, infine, la sua ultima riflessione. «Non posso pensare a un medico – ha concluso – che curi soltanto per telefono o per posta elettronica. Il mio maestro di medicina tropicale mi ha insegnato qualcosa che può guidare nella buona spesa sanitaria: per il paziente malato bisogna fare tutto ciò che è necessario, ma niente di più. Molto spesso noi perdiamo l’occasione di risparmiare su esami davvero inutili, solo per paura della denuncia. Non mi piace vedere il mio assistito come il mio nemico, per me quella continua a essere una persona da curare».

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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