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Crisi 'vocazioni' per i chirurghi, incubo denuncia per 8 specialisti su 10
Roma, 19 apr. (Adnkronos Salute) - E' "crisi profonda" di vocazioni fra i 'bisturi' della Penisola. "Nell'ultimo decennio è diminuito il numero degli iscritti alle branche chirurgiche, e il trend continua: -30% dal 2007 al 2008. In alcune sedi universitarie i posti disponibili a volte non sono neanche stati coperti. E a intimorire è il progressivo aumento delle cause: secondo recenti indagini, 8 chirurghi su dieci potrebbero incappare in un contenzioso medico-legale nel corso della vita professionale".
Parola di Pietro Forestieri, presidente del Collegio italiano dei chirurghi (Cic), che oggi a Roma ha aperto il I convegno nazionale dell'associazione che riunisce oltre 60 società scientifiche.Insomma, "il timore dell'alto rischio di contenzioso medico-legale spinge i giovani a scegliere altri campi.
E questo anche se nella stragrande maggioranza dei casi queste vicende - prosegue l'esperto - si risolvono positivamente", finendo però per sconvolgere per anni la vita professionale e personale del chirurgo. "E' necessario - dice il presidente del Cic, che ormai rappresenta oltre 35 mila specialisti italiani - ridare onore e rispetto a una professione tanto importante quanto complessa, garantendo ai pazienti il massimo della qualità e della sicurezza.
Per questo è cruciale promuovere una nuova alleanza terapeutica tra medici, istituzioni, media e pazienti".Non solo.
"Siamo il Paese a più alta conflittualità civile. La sanità e la chirurgia - evidenzia Forestieri - non solo non sfuggono a questa maledizione, ma ne rappresentano un esempio paradigmatico. L'errore è quasi sempre non del singolo operatore, ma il frutto di una catena di eventi. La cultura della colpa e non dell'errore non potrà che peggiorare la situazione".
Con una giurisdizione medica ferma al Codice Rocco (1930), infatti, in Italia - come solo in Polonia e Messico - gli errori clinici sono perseguibili penalmente.
"Depenalizzarli sarebbe oggi indispensabile - afferma Forestieri - soprattutto per i chirurghi, che devono poter operare con tranquillità e serenità. Ma questo non vuol dire cancellare le responsabilità del chirurgo".
"Depenalizzare - continua Forestieri - non vuol dire cancellare le responsabilità del chirurgo, ma solo ridefinirle meglio, valutando la specificità dell'atto medico e la sua inadeguatezza sociale". Il termine di prescrizione per gli errori clinici è oggi di 10 anni. "Un tempo esageratamente lungo - nota l'esperto - di fatto mai applicato, perché la contestazione può avvenire non dalla data dell'intervento, ma dalla presa di coscienza delle presunte conseguenze dannose".La deriva più pericolosa, secondo il vertice Cic, è rappresentata dalla medicina difensiva. Eppure la chirurgia italiana brilla in campi avanzati quali la laparoscopia, la robotica e i trapianti.
"Negli ultimi due decenni sono stati compiuti progressi maggiori che in tutto il secolo passato", assicura Forestieri. Ecco perché "medici, pazienti, Istituzioni, politica e industria devono ricercare una nuova alleanza terapeutica. Per una sanità migliore, più uniforme, senza sprechi, più sicura, efficace ed efficiente".
Parola di Pietro Forestieri, presidente del Collegio italiano dei chirurghi (Cic), che oggi a Roma ha aperto il I convegno nazionale dell'associazione che riunisce oltre 60 società scientifiche.Insomma, "il timore dell'alto rischio di contenzioso medico-legale spinge i giovani a scegliere altri campi.
E questo anche se nella stragrande maggioranza dei casi queste vicende - prosegue l'esperto - si risolvono positivamente", finendo però per sconvolgere per anni la vita professionale e personale del chirurgo. "E' necessario - dice il presidente del Cic, che ormai rappresenta oltre 35 mila specialisti italiani - ridare onore e rispetto a una professione tanto importante quanto complessa, garantendo ai pazienti il massimo della qualità e della sicurezza.
Per questo è cruciale promuovere una nuova alleanza terapeutica tra medici, istituzioni, media e pazienti".Non solo.
"Siamo il Paese a più alta conflittualità civile. La sanità e la chirurgia - evidenzia Forestieri - non solo non sfuggono a questa maledizione, ma ne rappresentano un esempio paradigmatico. L'errore è quasi sempre non del singolo operatore, ma il frutto di una catena di eventi. La cultura della colpa e non dell'errore non potrà che peggiorare la situazione".
Con una giurisdizione medica ferma al Codice Rocco (1930), infatti, in Italia - come solo in Polonia e Messico - gli errori clinici sono perseguibili penalmente.
"Depenalizzarli sarebbe oggi indispensabile - afferma Forestieri - soprattutto per i chirurghi, che devono poter operare con tranquillità e serenità. Ma questo non vuol dire cancellare le responsabilità del chirurgo".
"Depenalizzare - continua Forestieri - non vuol dire cancellare le responsabilità del chirurgo, ma solo ridefinirle meglio, valutando la specificità dell'atto medico e la sua inadeguatezza sociale". Il termine di prescrizione per gli errori clinici è oggi di 10 anni. "Un tempo esageratamente lungo - nota l'esperto - di fatto mai applicato, perché la contestazione può avvenire non dalla data dell'intervento, ma dalla presa di coscienza delle presunte conseguenze dannose".La deriva più pericolosa, secondo il vertice Cic, è rappresentata dalla medicina difensiva. Eppure la chirurgia italiana brilla in campi avanzati quali la laparoscopia, la robotica e i trapianti.
"Negli ultimi due decenni sono stati compiuti progressi maggiori che in tutto il secolo passato", assicura Forestieri. Ecco perché "medici, pazienti, Istituzioni, politica e industria devono ricercare una nuova alleanza terapeutica. Per una sanità migliore, più uniforme, senza sprechi, più sicura, efficace ed efficiente".
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