Gli ospedali ci sono, ma ora mancano i medici

L’analisi del nuovo segretario regionale della Cimo (sindacato ospedalieri) che ha preso il posto del leader storico Stefano Biasioli.

Favazza: «Non si trovano più anestesisti, pediatri, esperti dell’urgenza, geriatri Le università devono rivedere le specialità e ancorarle alle esigenze della realtà»

Venticinque anni dopo, Stefano Biasioli, storico leader della CIMO veneta ed italiana, faccia da Lenin padre della rivoluzione bolscevica, firma con lo pseudonimo di Ghino di Tacco brigante buono che Dante colloca nel sesto canto del Purgatorio - ma anche marchio di Bettino Craxi sugli elzeviri dell'Avanti - unghie sempre affilate da gatto per graffiare, insensibile al compromesso, a difesa dei camici bianchi, passa il testimone di segretario regionale di un sindacato che vanta 20 mila iscritti- e più rappresenta i medici ospedalieri - al delfino Mario Favazza, nel segno, come si dice, della continuità.

Di ideali e di azione, a tutela della professionalità e della dignità dei medici dipendenti, ospedalieri e
del territorio.

Per evitare che i medici veneti si trasformino in impiegati, precari, demotivati, insicuri. E tornino a essere professionisti della salute in una visione generale del paziente. Per far sì che la sanità veneta mantenga gli attuali standard di eccellenza.

Mario Favazza, pneumologo, 57 anni, cittadino illustre di Bergantino, 2 mila 600 anime, punta estrema della provincia di Rovigo sull'argine sinistro del Po, terra contadina di pirati e di giostrai, di brume e di confine, è uomo semplice, ruspante, solare, intuitivo. Maglia fino al collo sotto la giacca, vita ospedaliera prima, è stato uno dei primari più giovani d'Italia a 37 anni nel '90 a Badia Polesine, manageriale poi, come direttore
sanitario e, successivamente, generale, quando all'Ulss di Legnago, una delle più problematiche della regione, prese il posto di Angelo Campedelli stroncato da un infarto.
 
Favazza di Bergantino resta molto legato a Vicenza. Perché, dal 1994 al 2000, sotto il comando dei direttori generali Gonella e Mondini, fece il primario di pneumologia al S. Bortolo. Con molta soddisfazione: «Mi trovai benissimo». Era andato in pensione Giorgio Vettori, più che altro un allergologo, e al suo posto arrivava, con l'avallo di un concorso vinto, questo imponente e simpatico rovigotto che impresse un ritmo veloce facendo
partire la pneumologia intensiva.

Nel reparto si ritrovò un giovanotto di belle speranze, Rolando Negrin, endoscopista in cerca di esperienza, che con lui formò un affiatato binomio, e che poi, quando Favazza smise il camice bianco per passare fra i vertici delle Ulss, sarebbe diventato il suo successore. «Lo lasciai scritto a Mondini e sono fiero di quella scelta. Negrin è bravo, fa il medico per passione». Non solo pneumologia e dirigenza, ma anche sindacato. Da
sempre iscritto alla Cimo, a Legnago incrociò Biasioli che si avviava alla pensione, e i giochi furono fatti.
Destino segnato.

Basta fare domanda come dg. Via libera alla terza vita, quella del sindacato. Ed eccolo, ora felice e contento aggirarsi nei corridoi del centro-congressi “D'Abano" dove si tiene il 29° congresso nazionale della Cimo. Idee chiare.

Anche se Biasioli, come segretario emerito, non mollerà la presa e continuerà a fare da chioccia.

Due i punti "forti" del suo mandato. Una programmazione decisa, e la garanzia dei diritti giuridici dei medici. «Nei prossimi anni rischiamo di restare senza assistenza non perché non ci saranno ospedali ma perché mancheranno i medici per tenerli aperti.

La sanità si fa solo con i medici.

Ma siamo sempre di meno. Non si trovano più anestesisti, pediatri, medici dell'urgenza, geriatri. Ci vuole una nuova politica di programmazione regionale.

Le università devono aggiornare i piani di studio, rivedere le specialità, ancorarle alle esigenze. Basta con il numero chiuso, senza guardare la realtà, altrimenti non ci saranno più medici per sostituire quelli che vanno in pensione.

E ci vogliono ospedali di formazione. Ospedali di eccellenza come Vicenza devono avere la possibilità di formare, se no - conclude - ci ritroviamo con medici che a 33 anni ragionano ancora come studenti».

Franco Pepe   da Il Giornale di Vicenza
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