La Chiesa cambia idea sulla morte

La Chiesa cambia idea sulla morte

Un articolo pubblicato ieri sull'Osservatore Romano cambia la posizione della Chiesa a 40 anni di distanza dalla firma del "protocollo di Harvard" che definì la morte come la cessazione di ogni attività cerebrale con l'approvazione anche da parte dei vertici ecclesiastici. L'ambiente scientifico ribatte difendendo i criteri stabiliti ad Harvard che da allora sono sempre stati considerati validi e sufficienti

"Occorre rimettere in discussione la definizione di morte cerebrale". Lo scrive l'Osservatore Romano a quarant'anni dal rapporto di Harvard che "cambiava la definizione di morte basandosi non più sull'arresto cardiocircolatorio ma sull'encefalogramma piatto: da allora l'organo indicatore della morte non è più soltanto il cuore, ma il cervello".

"Si tratta - sottolinea l'Osservatore Romano - di un mutamento radicale della concezione di morte, che ha risolto il problema del distacco dalla respirazione artificiale, ma che soprattutto ha reso possibili i trapianti di organo, accettato da quasi tutti i Paesi avanzati (dove è possibile realizzare questi trapianti), con l'eccezione del Giappone. Anche la Chiesa cattolica, consentendo il trapianto degli organi, accetta implicitamente questa definizione di morte, ma con molte riserve: per esempio, nello Stato della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di morte cerebrale". Nuove ricerche scientifiche hanno però riaperto la discussione e alcuni sono "concordi nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano. Il rischio di confondere il coma (morte corticale) con la morte cerebrale è sempre possibile". "E questa preoccupazione - aggiunge l'Osservatore Romano - venne espressa al concistoro straordinario del 1991 dal cardinale Ratzinger nella sua relazione sul problema delle minacce alla vita umana: 'Più tardi, quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma 'irreversibile', saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d'organo o serviranno, anch'essi, alla sperimentazione medica ('cadaveri caldi')".

Il criterio di morte cerebrale per sancire la morte di un individuo "resta al momento l'unico criterio scientificamente valido". Non ha dubbi al riguardo Vincenzo Carpino, presidente dell'Associazione anestesisti-rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi), che all'ADNKRONOS SALUTE dice la sua riguardo all'editoriale dell'Osservatore Romano: "Siamo pronti a recepire nuove evidenze, naturalmente, ma per farlo dobbiamo conoscere nome e studi di chi indica nuove strade percorribili. Dubito che ciò possa accadere - aggiunge - perché a 40 anni dalla definizione dei criteri stabiliti dal rapporto di Harvard nessuno li ha mai messi in discussione". Carpino non nasconde, inoltre, le "preoccupazioni" riguardo ai dubbi e alle perplessità che il messaggio dell'Osservatore romano potrebbero accendere nella gente. "Di fronte alla morte - spiega - le persone nutrono sempre forti dubbi, e non vorrei che iniziasse a circolare la spiacevole sensazione di inganno, ovvero di esser stati presi in giro dai camici bianchi per ben 40 anni". Una sensazione "ingiusta, senza contare che la legge italiana al riguardo è una delle più garantiste al mondo. Quando in rianimazione i medici rivelano un caso di encefalogramma piatto - spiega Carpino - trasmettono la notizia alla direzione sanitaria, che a sua volta istituisce un collegio di tre medici composto da un anestesista-rianimatore, un medico legale e un neurofisiologo. L'equipe così composta, a prescindere dall'età del paziente, effettua un periodo di 6 ore di osservazione con un protocollo preciso. Se viene certificata la morte cerebrale si aprono due possibilità: staccare la spina, in questo caso un atto dovuto, oppure mantenere in vita gli organi per la donazione. Non ci sono altre possibilità - conclude il presidente dell'Aaroi - perché la morte cerebrale è di fatto la morte dell'individuo". Le critiche al criterio della morte cerebrale per stabilire la fine della vita "non sono mai scientifiche, ovvero provate nero su bianco".

A difendere a spada tratta i criteri di Harvard, è anche Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti. Tali criteri - spiega costa - non sono mai stati messi in discussione in 40 anni dalla comunità scientifica, e vengono non a caso applicati in tutti i Paesi scientificamente avanzati, tra questi Canada, America, Australia, Asia, nonché tutti i Paesi del Vecchio Continente. I dubbi ci sono sempre stati - riconosce l'esperto - ma solo da parte di frange minoritarie, che fanno critiche di carattere non scientifico". Quando subentra la morte cerebrale "l'individuo di fatto è morto, e non ci sono se e ma. Le cellule cerebrali, infatti, cessano di mandare impulsi elettrici, non c'è respiro spontaneo, riflessi dei nervi cranici o controllo delle funzioni vegetative come, ad esempio, la diuresi, ed è assente il riflesso dei nervi cranici. Tutti elementi che sono invece presenti nello stato vegetativo, che è cosa ben diversa. In questo caso, infatti, il cervello funziona. Male, ma funziona. La rete trapiantologica - conclude il direttore del Cnt - accerta la morte ma difende la vita. Morte cerebrale si traduce nel decesso dell'individuo, non c'è alcun dubbio al riguardo".

da DoctorNews - 3 settembre 2008 - Anno 6, Numero 137
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