Si apre una nuova prospettiva nella lotta all’Aids.

Vaccino anti-Hiv dell’Iss efficace anche come “rinforzo” della terapia antiretrovirale Il vaccino TAT, sviluppato dal gruppo coordinato da Barbara Ensoli all’Istituto superiore di sanità, è in grado di rafforzare la terapia HAART migliorando il recupero del sistema immunitario.

12 NOV - Si apre una nuova prospettiva nella lotta all’Aids. Il vaccino anti-Hiv messo a punto da tempo dall’Istituto superiore di sanità dal gruppo coordinato da Barbara Ensoli ha dimostrato, in uno studio pubblicato oggi su PLos ONE (in allegato, in lingua inglese), di essere efficace nel rafforzare la terapia antiretrovirale, riducendo le alterazioni del sistema immunitario indotte dall’infezione da HIV e che generalmente persistono nonostante l’efficacia della terapia HAART.

Il risultato è emerso dall’analisi a 48 settimane dei dati dello studio (di fase II) che sta confrontando gli esiti dell’impiego del vaccino Tat in 87 persone con HIV e in trattamento con antiretrovirale con un gruppo di riferimento di 88 persone trattate solo con la terapia HAART.

Confermando dati precedenti, lo studio ha evidenziato che la vaccinazione con Tat è sicura quanto quella di altri vaccini già presenti in commercio ed è in grado di indurre una risposta immunitaria anti-Tat specifica e duratura.

Nuovi dati
La novità è però che il vaccino è anche in grado di agire in sinergia con la terapia antiretrovirale e ristabilire, soprattutto nelle persone più immunocompromesse, il corretto equilibrio del sistema immunitario che i soli farmaci spesso non ottengono.

Questi ultimi, infatti, anche se sono in grado di arrestare la replicazione del virus HIV e far ritornare al livelli più che accettabili il numero dei linfociti CD4+, non riescono a ristabilire l’equilibrio del sistema immunitario, che rimane in uno stato di “allarme continuo” (è ciò che viene definita immunoattivazione). Stato che alla lunga produce nuove patologie, quali quelle cardiovascolari, neurologiche, renali, epatiche, tumorali.

L’immunoattivazione è conseguenza della persistenza del virus nei cosiddetti “santuari”, dove sopravvive sottraendosi alla terapia e da cui continua a esprimere proteine regolatorie, tra le quali anche Tat, che tra le sue azioni ha proprio la promozione della replicazione del virus e l’attivazione cronica del sistema immunitario.

Lo studio mostra ora che il vaccino è in grado di agire sull’immunoattivazione riuscendo, probabilmente, a ridurre i rischi di sviluppo di quelle nuove e gravi patologie associate alla residua immunoattivazione e alterata omeostasi del sistema immunitario.
Infatti, dalla ricerca è emerso che i pazienti vaccinati presentano un significativo aumento sia delle cellule T CD4+, sia delle cellule B, oltre che un significativo recupero funzionale del sistema immunitario (misurato come aumento di cellule T regolatorie e della memoria) e una marcata riduzione dello stato di attivazione immunologica cronica.


In sostanza, ha ribadito la “mamma” del vaccino, Barbara Ensoli, “questi risultati, ottenuti con la collaborazione dei centri clinici coinvolti, indicano che la vaccinazione terapeutica con la proteina Tat, in combinazione con la terapia HAART, migliora significativamente il recupero del sistema immunitario dei pazienti”.

Prevenzione e terapia
Questi risultati rappresentano la conferma di uno dei due filoni su cui si sta concentrando la ricerca su questo potenziale vaccino, promettente sia nel controllo della replicazione e propagazione del virus nell’infezione primaria (strategia preventiva) sia nei soggetti sieropositivi (strategia terapeutica). Inoltre, ha commentato il presidente dell’Iss Enrico Garaci, “dimostrano chiaramente che valeva la pena di esplorare le potenzialità del vaccino Tat e ci danno ragione degli sforzi compiuti”.

Per Garaci, i dati emersi da questo studio aprono la strada a “una prima possibile indicazione per l’uso di questo vaccino che oggi, grazie ai risultati dell’analisi ad interim della sperimentazione di fase II, riconosciuti da questa pubblicazione, siamo sempre più determinati a portare avanti”.
Intanto, i risultati, hanno già convinto gli organi regolatori responsabili della supervisione della sperimentazione ad approvare un emendamento al protocollo clinico che permetterà l’arruolamento di persone con maggiore immunocompromissione e l’estensione del numero di partecipanti allo studio da 128 a 160 persone.

L’analisi dei dati fino a ora raccolti ha infatti confermato la necessità di espandere ulteriormente e completare la sperimentazione per procedere alle fasi seguenti.


A.M.  da    http://www.quotidianosanita.it/       12 novembre 2010
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