Il Compleanno di un Codice di Deontologia Medica

IL COMPLEANNO DI UN CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA

1. E’ trascorso un anno dalla pubblicazione, il 16 dicembre 2006, del nuovo codice italiano di deontologia medica della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. Numerosi sono stati gli articoli di commento ed i convegni (a Udine, a Venezia, in altre città) sia sul codice nel suo insieme , sia su alcuni suoi aspetti tra i più rilevanti e spinosi. Ogni compleanno può essere momento di consuntivi e di progetti e questa rivista, che è già intervenuta su alcuni articoli del codice – ad esempio gli artt. 16 e 17 riguardanti l’accanimento terapeutico e l’eutanasia – ritiene opportuno uno sguardo d’insieme al fine di mettere in risalto i punti più cruciali di tutto l’impianto che, del resto, non appaiono sostanzialmente mutati rispetto alle precedenti versioni.
Il problema centrale che è necessario affrontare è quello, molte volte considerato in passato con differenti valutazioni, della consonanza o meno di questo codice, e dei precedenti, con l’originale impostazione ippocratica –desumibile dal giuramento ma anche dal Corpus Hippocraticum - che, essendo stata elaborata in epoca precristiana, non può certo accusata di impianto clericale.
L’elenco dei principi basilari, su cui operare il confronto, è breve ma illuminante .
Al primo posto del giuramento d’Ippocrate si colloca l’obiettivo di operare nell’esclusivo bene del paziente :”Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa. “. Il bene del malato è senza dubbio la vita e la salute ma il giuramento lo amplia ad includere altri beni preziosi quali il diritto al segreto, il rispetto dei suoi congiunti e della sua casa.
Analoghi sono i precetti dell’art.3 dell’attuale codice deontologico che con maggiori dettagli afferma che “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia,in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute è intesa nell'accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona”.
Il principio dell’alleanza terapeutica medico-paziente si desume invece dai testi del Corpus Hippocraticum[1] nei quali oltre alla descrizione nosologica delle malattie allora conosciute, delle terapie e della prognosi è spesso indicata la possibile collaborazione del paziente in rapporto all’evoluzione dei sintomi che vengono riferiti al medico e che, talora, induce il paziente, su consiglio del curante, a desistere dal proseguire nel trattamento. Questo, d’altro canto, si adegua al principio, fondamentale nella medicina moderna, di discrezionalità che connota una quota preponderante delle prestazioni mediche ove anche si seguano i principi della Medicina basata sull’evidenza (Evidence Based Medicine); e con il principio e la prassi del consenso informato.
Il codice deontologico attuale, come i precedenti, impegna i medici a praticare la medicina scientifica (artt.4,13,19,33) e consente deroghe, all’art. 15 (Pratiche non convenzionali) , solo sotto la personale responsabilità dei medici. Il confronto con i precetti ippocratici consente di constatare l’analogia metodologica. La scuola ippocratica, che aveva come precedenti la medicina babilonese ed egizia, si è caratterizzata per il distacco dalla medicina sacerdotale e magica e per la costruzione di un corpus nosografico, terapeutico e prognostico basato essenzialmente sull’osservazione , di fatto “scientifica” sia pure con i limitati mezzi dell’epoca. Non si possono in proposito dimenticare le rilevanti difficoltà della conoscenza anatomica, funzionale e patologica degli animali, ed in particolare dell’uomo, che hanno determinato un incolpevole ritardo bimillenario nella costruzione ,avvenuta negli ultime secoli , della medicina moderna con sorprendente discrepanza cronologica rispetto ai progressi tecnologici già realizzati nell’era ippocratica, dei quali sono esempi eloquenti la costruzione delle piramidi e la realizzazione di tanti altri prodotti dell’ingegno umano.
Di fondamentale importanza è il principio, che si desume dal giuramento ippocratico e che nella sostanza rimane tuttora immutato nell’attuale codice, della autoimposizione di limiti nell’operare medico, Si tratta sia di limiti etici che di limiti tecnico-professionali.
Tra i primi figura l’impegno “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.” Tuttora il codice deontologico, all’art. 17, afferma il divieto dell’eutanasia e, per quanto riguarda l’aborto, solo una legge dello stato è stata in grado di consentire la violazione del precetto pur ammettendo la possibilità di obiezione di coscienza .
Ma la lettura di questo passo del giuramento consente anche considerazioni più ampie rispetto ai due esempi di limite autoimpostosi dalla classe medica dell’epoca ippocratica. E’ il problema dei limiti tecnico-professionali che si intrecciano con quelli dell’autonomia del paziente e dell’autonomia e discrezionalità del medico, quest’ultimo ricavabile dal Corpus Hippocraticum. La medicina attuale paga un tributo sempre più elevato alla sua espansione connotata da limiti incerti, da frequenti temerarietà, da errori correlati non solo ad insufficienze umane e professionali, ma anche alla crescente rischiosità dei trattamenti diagnostici e ,soprattutto, di quelli terapeutici ed al numero enorme di prestazioni che tali rischi aumentano esponenzialmente : in Italia i soli ricoveri ospedalieri, in strutture pubbliche e private, assommano a 12 milioni di persone ogni anno.
La cultura del limite non è, purtroppo, adeguatamente sviluppata dalla classe medica al proprio interno e, ancor meno è elaborata attraverso il pur necessario confronto con la società intera, che partecipa con troppi entusiasmi alle continue proposte della medicina, ma reagisce con rabbia ed indignazione di fronte agli inevitabili insuccessi. Le analisi ed i progetti del cosiddetto Risk Management stanno cercando di colmare questa lacuna ed è auspicabile raggiugano il loro encomiabile obiettivo. Ma i cammino sarà lungo ed impervio.
Alla categoria dei limiti appartiene anche il precetto ippocratico “Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.” E’ la consapevolezza scientifica dei limiti di ogni singolo medico il quale ha determinato lo sviluppo delle discipline specialistiche che nel corso dei secoli, ma soprattutto nel novecento, si sono progressivamente ramificate delegando le attività più specifiche e complesse a specialisti di settori sempre più ristretti cui i colleghi generalisti ovvero anche non superspecialisti, consegnano molti dei loro pazienti, consapevoli della propria inadeguatezza alle esigenze del caso concreto.
E’ dunque confortante constatare che i 2500 anni trascorsi non hanno sostanzialmente mutato gli obiettivi e le linee guida centrali dell’attività medico chirurgica,

2. Un cenno merita anche un altro aspetto dei codici di deontologia medica italiani, riguardante la loro rilevanza anche giuridica. Infatti, pur essendo il codice deontologico costituito da norme extragiuridiche interne alla classe medica , la sua rilevanza è progressivamente cresciuta anche nell’ambito della dottrina giuridica e della giurisprudenza concernenti i casi di responsabilità professionale penale e civile . Già in passato il codice deontologico era stato ritenuto, in alcune sentenze, un corpus di “norme consuetudinarie” cui poter fare riferimento per giudicare la condotta di singoli medici, in casi penali e civili. Dopo un lungo percorso si è attualmente giunti ad attribuire al codice di deontologia il significato che potremmo definire di “linee guida generali” della condotta medica , cui i giudici possono fare riferimento per giudicare il rispetto, o meno, di regole doverose di condotta professionale. Ci limitiamo a ricordare una sentenza della Corte Costituzionale del 2002 [2]che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge regionale della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 26 la quale aveva disposto la sospensione dell’applicazione della terapia elettroconvulsivante, delle pratiche di lobotomia e di altri simili interventi di psicochirurgia .In questa sentenza i Giudici hanno chiamato espressamente in causa il Codice di deontologia medica per sostenere che “poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dall’autonomia e dalla responsabilità del medico”, il quale “deve adeguare, nell’interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate” (art. 12 Codice di deontologia medica [ del 1998]), pertanto le scelte del legislatore regionale, che non si fondano su “specifiche acquisizioni tecnico-scientifiche verificate da parte degli organismi competenti”, ma poggiano su “valutazioni di pura discrezionalità politica”, non possono prevalere sui “principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore”: principi ai quali sarebbe riconducibile il codice di deontologia medica, che prospetta un “punto di incrocio tra autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali”.
La linea guida centrale del codice, se così possiamo forse chiamarla ,quale pilastro di tutta la professione medica cui fare riferimento nell’analisi , stragiudiziale e giudiziale, delle condotte mediche è la medicina scientifica , quella che viene insegnata nelle università, che è oggetto dell’esame di stato e consente l’abilitazione professionale e quindi l’iscrizione all’Ordine dei Medici. Il problema che ne consegue, tuttavia, è costituito dalla complessità e dall’evolutività delle conoscenze e della prassi medica e dalla singolarità che connota ciascun caso clinico obbligando i medici ad una condotta flessibile personalizzata che tramuta la scienza medica, come è noto, in arte medica. Pertanto le conoscenze scientifiche e le pratiche diagnostiche e terapeutiche, nel loro continuo evolvere, sono ‘linea guida’ solo nel senso di costituire il punto di riferimento, la bussola per orientare la prassi nei casi concreti e la valutazione della sua qualità.
Il codice dentologico contiene tuttavia anche precetti specifici che più evidentemente possono essere ritenuti linee guida cui fare riferimento sia nella valutazione etica e deontologica della condotta dei singoli sanitari, sia anche, in determinati casi, in quella che si elabora in sede giudiziaria. Sono le norme comprese nel cap. IV del Titolo I (Accertamenti diagnostici e terapeutici) che include la sicurezza del paziente e la prevenzione del rischio clinico (art. 14) , l’accanimento diagnostico-terapeutico (art. 16) , il divieto dell’eutanasia (art.17) ed i limiti suggeriti per i trattamenti che incidono sulla integrità psicofisica. Gran parte dei precetti contenuti nel Titolo III del codice hanno queste caratteristiche e tra essi meritano menzione l’art. 22 concernente l’autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica – di antica radice ippocratica – gli artt. 25 e 26 concernenti rispettivamente la documentazione clinica e la cartella clinica, quelli riguardanti l’informazione ed il consenso (artt. 33-38). Altri precetti rilevanti sotto questo profilo riguardano l’assistenza ai malati inguaribili (art.39) i trapianti di organi, tessuti e cellule (artt. 40-41) sessualità e riproduzione artt41-46) la sperimentazione sull’uomo e sull’animale (artt. 47-50) , il trattamento medico e la liberta personale (artt. 51-53).
Alcune di queste norme deontologiche possono mettere i medici in una difficile posizione in quanto contrastanti con posizioni assunte dalla dottrina giuridica e dal diritto giurisprudenziale o addirittura con norme di legge vigenti o in gestazione .I più difficili e cruciali tra questi precetti deontologici sono quelli riguardanti la vita nascente e, all’estremo opposto, i malati gravi, quelli inguaribili e quelli terminali . Questi temi sono al centro del dibattito in sede nazionale ed internazionale negli ultimi anni ed hanno prodotto, in molti paesi, una legislazione specifica , ed in altri proposte di legge che sono spesso in contrasto con i principi della medicina ippocratica e interferiscono con l’autonomia dei medici. Molti medici - seppure non tutti a causa delle contaminazioni ideologiche che anche la classe medica soffre – vivono situazioni di conflitto e di incertezza che lo stesso codice, in alcune sue parti, alimenta per le contraddizioni che contiene, su alcune delle quali questa Rivista ha già richiamato l’attenzione. Abbiamo assistito di recente a palesi violazioni deontologiche e della legge penale in rapporto a richieste di alcuni malati di porre fine alla loro vita. Da molti queste azioni sono state riprovate ma altri hanno trovato giustificazioni, peraltro eticamente ed anche giuridicamente insostenibili, sia a livello dei provvedimento disciplinari che competono agli Ordini dei Medici sia a livello di quella giustizia penale che pure non esita ad imputare quotidianamente, spesso a condannare, medici ed ausiliari per omicidio colposo su basi medico-legali inconsistenti.
Il compleanno del nuovo codice di deontologia medica italiano merita comunque i festeggiamenti di rito , accompagnati però dall’impegno a riflettere più approfonditamente sui suoi precetti, per sorvegliarne l’interpretazione e l’applicazione nella costante direzione dell’antica e sempre verde tradizione ippocratica fatta propria per millenni dal cristianesimo e dai suoi fedeli.

Angelo Fiori

 
Professore Ordinario Emerito di Medicina Legale
Università Cattolica di Milano, sede di Roma.


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[1] (cfr. :Ippocrate, Testi di Medicina Greca,BUR 1983; J.Jouanna , Ippocrate, SEI Torino 1992)
[2] Corte di Cassazione 26 giugno 2002, n. 282,
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