Riposi e pause dei medici

di Stefano Biasioli

C’è una bomba ad orologeria sopra il contratto 2005-2009 dei medici dipendenti del SSN. Una bomba legata agli effetti del D.Lgs. 66/03 sull’organizzazione del lavoro medico in ospedale. L’obbligo di pause di 11 ore ogni 24 ore e la prospettiva di un orario medio settimanale (48-52-56 ore?) valutato sull’arco di 9-12 mesi, se applicati rigidamente, avranno un impatto devastante sulla presenza medica in ospedale nel senso di una netta riduzione del numero dei medici in servizio durante l’arco orario 8-20. Riflettete con me su alcune conseguenze che il D.Lgs. 66/03 avrà sull’attuale organizzazione del lavoro medico nelle corsie ospedaliere. Conseguenze puculiari, ben diverse da quelle del comparto. Infatti, nel comparto, lo schema lavorativo “pomeriggio, mattina, notte” (con la conseguente pausa di 2 gg.) non provocherà grossi effetti nelle divisioni (UO) con posti letto. Tra i medici, invece, il turno di guardia di 12 ore (20-8) dovrà essere seguito da una pausa assoluta di 11 ore (8-19).
Dovrà quindi cessare l’abitudine (frequente, soprattutto tra i chirurghi) che porta il medico di guardia ad entrare o in sala operatoria o nell’ambulatorio.
Già ieri, una siffatta consuetudine esponeva il medico – in caso di errore professionale – a gravi rischi sul piano penale e ad una scopertura assicurativa. Il dettato del D.Lgs.66/03 e, soprattutto, la sua piena applicazione (nel rispetto delle regole europee) costringerà quello stesso collega ad abbandonare la sua U.O. , fino al giorno dopo.
Facile a scriversi, più difficile a farsi, soprattutto nei fine settimana, quando un corretto rispetto della norma costringerebbe a far lavorare almeno 3 medici nella copertura dell’arco orario che va dalle 20 del sabato alle 8 del lunedì.
E che dire del lavoro notturno durante una pronta disponibilità? Una sala operatoria di 4 ore od una dialisi di 5 ore costringeranno poi quei medici a non effettuare l’attività routinaria del giorno dopo: corsia, sala operatoria, ambulatorio?
Una interpretazione rigida delle regole produrrebbe, anche in questo caso, un disastro organizzativo, con blocco di una attività programmata.
Ancora, il riposo obbligatorio di 24 ore ogni settimana, evidenzierà quanto la CIMO-ASMD sostiene dall’inizio degli anni ’90. E cioè, che – di norma – gli organici medici sono largamente insufficienti a coprire l’intero arco settimanale (168 ore), qualora i medici fossero obbligati a rispettare il mero orario assistenziale (34 ore + 30’) ovvero le 38 ore, con recupero per l’orario di formazione. La carenza medica diverrà, finalmente, evidente, con l’applicazione piena del D.Lgs. 66/03, imponendo (si spera) alla politica una ovvia integrazione degli organici.
Ma siamo in Italia e perciò, “fatta la legge, trovato l’inganno”. E così il Comitato di Settore (nel suo atto di indirizzo iniziale e nell’accordo col comparto) ha pensato di dilazionare l’esplosione dei problemi suggerendo (imponendo?) una deroga sull’orario settimanale. Nel comparto, la media oraria settimanale potrebbe aumentare di 12 ore (da 36 a 48) per un periodo di 9 mesi, con successivo recupero o pagamento dello straordinario. Così facendo, il CdS pensa di aver risolto (fino al 31/12/09) il problema delle ferie estive degli infermieri (IP), degli OSS e dei tecnici. Ai sindacati del comparto la soluzione è piaciuta. Contenti loro….
Per i dirigenti medici, il CdS sembrerebbe orientato a proporre un incremento dell’orario settimanale medio di almeno 12 ore per un periodo di 9-12 mesi all’anno.
L’orario “medio” del singolo medico passerebbe perciò da 38 a 50 ore/settimana, impregiudicate le ore non assistenziali. Si tratterebbe di un “orario medio su 9-12 mesi”, il che presupporrebbe (festività, malattie, gravidanze) anche punte di orari settimanale pari a 60-70 ore.

Questa ipotesi sarebbe gravata da molte incognite, tutte pericolose e disgreganti il lavoro d’equipe. Da un lato i “primari” (Direttori di UOC) non hanno un obbligo di orario ma solo di risultato e non hanno diritto al pagamento dell’eventuale straordinario. Dall’altro i restanti medici – tutti coinvolti nell’incremento di 12 ore di lavoro/settimana – dovrebbero comunque rispettare le pause ex D.Lgs. 66/03 e, nel contempo, non avrebbero nessuna garanzia di essere pagati per lo straordinario “obbligatorio”. Questo nuovo assetto organizzativo produrrebbe infatti un enorme straordinario obbligatorio (300-700 ore/anno/medico) che non potrebbe essere totalmente pagato, vista l’incapienza del fondo relativo.

Né vi sarebbe la certezza che, in alternativa, questo enorme plus-orario causato dall’azienda possa mai portare ad un totale recupero compensativo. Tutto ciò, a scapito della sicurezza del medico e del paziente.
Comunque lo si consideri, il D.Lgs. 66/03 sconvolgerà l’attuale organizzazione ospedaliera. Da un lato, il CdS cercherà di limitarne i danni, riducendo i punti guardia ed aumentando le pronte disponibilità. Dall’altro, i medici dovranno capire che – per loro – il rigido rispetto delle regole può costituire, se ben gestito, una forte arma puntata contro quelle decine di amministratori sanitari che, da sempre, hanno minimizzato il ruolo della presenza medica. “Siete dirigenti….perciò non avete un orario…”. “Chi vi ha mai chiesto di fare lo straordinario….?”. “AL 31/12 vanno azzerati, con un colpo di penna, tutti i plus orari…”.
Ora non potrà più essere così. E la recente multa (100.000 euro) data dai giudici al DG delle Molinette, per la violazione del D.Lgs. 66/03, ne è l’evidente prova.
Ecco perché abbiamo parlato di bomba ad orologeria sopra il CCNL 2006/2009. Per disinnescarla saranno necessarie abilità, pazienza, chiarezza e risorse.
In caso contrario, la trattativa sindacale sarà esplosiva, verso i datori di lavoro e verso i Colleghi.
Buon senso, mediazione, rispetto reciproco. Ma anche risorse perché non è pensabile che i medici possano, gratuitamente e per lunghi periodi, adottare ritmi di lavoro CHAPLINIANI, senza che la parte pubblica non garantisca rapidamente quelle risorse organizzative (economiche e di personale) che le loro scelte politiche (varo del D.Lgs. 66/03) hanno reso doverose ed obbligatorie.
Ma, poiché, siamo in Italia, nulla è certo. Tantomeno una decisione politica di questo tipo, in un pesante momento di recessione!
Ed allora? Allora vedremo…perché, anche su questo aspetto (come su aspetti similari) poggia l’utilità dei sindacati medici, specialmente di quelli autonomi..… Alla faccia di quei 60.000 Colleghi che, per banali motivi economici, continuano a non iscriversi ad un sindacato medico, considerando questa scelta inutile o pericolosa. Cari “agnostici”, gli effetti del D.Lgs. 66/03 incombono anche su di Voi, che – però – non avete né scudo né spada….

Capirete mai il vero valore dell’associazionismo sindacale medico?..........

Stefano Biasioli

Presidente Nazionale CIMO-ASMD
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