Riflessioni sulla Bozza di accordo sulle “Nuove competenze dell’infermiere”

Partiamo da una premessa che non possiamo eludere come responsabili istituzionali: l’infermiere ha una riconosciuta autonomia professionale e uno specifico curriculum formativo. 
Questo suo ruolo consegue da atti legislativi quali: il D.Lgs n. 502/92 che conferisce alla competenza universitaria la ridefinizione del profilo professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico e il Decreto del 14 settembre 1994 n. 739 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere” dove vengono definiti i profili professionali. In particolare, l’articolo 2 afferma: “L’assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa è di natura tecnica, relazionale, educativa.                
Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria”. Nell’art. 3 vi è scritto: “L’infermiere partecipa all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; pianifica, gestisce, valuta l’intervento assistenziale infermieristico; garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico terapeutiche; agisce sia individualmente che in collaborazione con altri operatori sanitari e sociali”. 
La legge n. 42 del 26 febbraio 1999 “Disposizioni in materia di professioni sanitaria diventa un punto di partenza per la trasformazione della professione infermieristica: abrogazione del mansionario, nuovo percorso didattico universitario, nuovo Codice Deontologico dell’Infermiere ed il “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’Infermiere”.
La legge n. 43/2006 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”. 
Il medico deve confrontarsi con questo professionista in una prospettiva di collaborazione, di integrazione delle competenze e di identificazione delle responsabilità. 
Ma quali sono i nostri punti di vista, i punti di discussione? 
Un medico, soprattutto se impegnato in ambito istituzionale, politico e civile deve avere una visione politica della Professione; oggi più che mai dobbiamo partire dai bisogni di salute e dai nuovi modelli organizzativi e su questi delineare obiettivi formativi, organizzativi, ruoli, competenze e responsabilità. Come professionisti pragmatici dobbiamo sempre inserire ogni cambiamento di ruolo e di tipo organizzativo in una prospettiva di qualità e di sicurezza delle cure; la sicurezza della persona che accede al SSNN deve essere affiancata dalla sicurezza degli operatori della salute solo così si garantisce qualità ed efficacia nelle cure. 
Alla luce dei possibili nuovi profili di competenze infermieristiche (comprensivi delle specializzazioni) bisogna chiarire di chi siano le responsabilità di questi atti e se ulteriori nuove responsabilità, nell’ambito di unità operative sempre più complesse, debbano essere attribuite ai medici responsabili di equipe o di unità operativa; possiamo facilmente ipotizzare che i medici saranno ancora più esposti al contenzioso legale; sino a quando, attraverso un nuovo percorso formativo pre - laurea e di specializzazione, non sarà chiaramente sancita la piena e indiscussa responsabilità infermieristica. 
Alcune attività che vengono portate come esempio di possibili pratiche infermieristiche rientrano pienamente nella delicatissima area della diagnosi: l’ecografia ne è un esempio paradigmatico! 
Arricchito di due articoli (Modalità e percorsi per lo sviluppo delle competenze professionali e Governo dell’evoluzione professionale, formativa e organizzativa nel Ssn) arriva sul tavolo della conferenza Stato-Regioni uno schema di Accordo che presenta numerose modifiche rispetto alla versione precedente. 
La novità più importante riguarda la formazione specialistica dell’infermiere già prevista dall’articolo 6 della legge 43/06.
In pratica, come già avviene per i medici, anche per il percorso formativo dell'infermiere si prevede la possibilità di arricchire ed implementare le proprie competenze in materie specifiche, seppure suddivise in macro aree rispetto alla forte articolazione specialistica prevista per la professione medica. Sei, in particolare, le aree su cui si svilupperanno le nuove competenze e quindi la formazione specialistica degli infermieri: Area cure primarie - servizi territoriali/distrettuali; Area intensiva e dell'emergenza-urgenza; Area medica; Area chirurgica; Area neonatologica e pediatrica; Area salute mentale e dipendenze; la bozza dell’accordo prevede ”lo sviluppo delle competenze e delle responsabilità, basato sulla formazione, sulla ricerca e sull’esperienza professionale acquisita in ambito lavorativo che avrà come riferimento le norme deontologiche, le disposizioni normative ed amministrative relative ai contenuti dei profili professionali e gli ordinamenti formativi universitari, nonché le scelte di programmazione nazionale e regionale, per migliorare la presa in carico della persona, la continuità assistenziale fra ospedale e territorio, il governo dei bisogni assistenziali, sanitari e socio sanitari delle persone, delle famiglie e della comunità assistita”. 
Ma poniamoci ulteriori domande: “sull’esperienza professionale acquisita in ambito lavorativo” quale giudice potrà individuare una responsabilità civile e/o penale in questo contesto così aleatorio? Viene inserita questa affermazione in un contesto deontologico e questo diviene riferimento di legge per un giudice? Le disposizioni normative ed amministrative (leggi le Regioni) e le scelte di programmazione nazionale e regionale possono essere considerate vincolanti per un giudice che deve entrare nel merito delle responsabilità? Le Regioni possono normare nell’ambito di un profilo professionale? 
Ai fini dell’esercizio di competenze maturate si stabiliranno criteri attuativi per riconoscere pregresse specifiche esperienze, nonché i percorsi formativi da effettuarsi in ambito regionale o aziendale, anche ai fini dell’attribuzione dei Crediti Formativi Universitari per ottenere la laurea specialistica . Questo non succede per i medici. Come è possibile questa non uniformità nel contesto di un percorso di specializzazione? Questo sarà possibile quando tutte le professioni sanitarie avranno le stesse opportunità ovvero quando all’Università sarà tolta la esclusività di specializzare.
Manca, nell’ambito delle professioni sanitarie, una vera programmazione di accesso universitario per bisogni di salute, per cambiamenti demografici ed epidemiologici. Tutte le professioni sanitarie hanno uguali necessità. Il problema e’ stato affrontato in altri paesi dove si stanno sperimentando forme di 'disease management' con l’istituzione di equipe che si prendono carico dei pazienti sulla base di linee guida condivise. Tranne alcune regioni, da noi, l’organizzazione territoriale ancora poggia larga parte sulla figura del solo medico di medicina generale e sulla attività distrettuale. 
Questo è il vero problema: desideriamo imitare l’Estero senza avere dei paesi esteri le stesse leggi, le stesse organizzazioni; gli stessi finanziamenti e gli stressi profili professionali; mancano, per il blocco delle assunzioni nella P.A., i professionisti di tutte le aree e la politica, che poggia solo sulle logiche aziendalistiche, si difende calando il finanziamento al SSNN e provando escamotage contabili come quello di affidare prestazioni a professioni meno costose. 
Proviamo a passare ad alcune conclusioni.
La proposta del tavolo Ministero-Regioni non scioglie i quesiti che animano la pesante discussione al nostro interno per i motivi di seguito elencati: il rapporto tra infermieri e medici sembra ridotto ad un semplice trasferimento di competenze per lo più tecniche dal medico all’infermiere; l’attribuzione di competenze è concepita ”senza che venga meno la titolarità” dei medici, per cui la normativa non cancella la responsabilità che rimane in capo al medico; la definizione di una professione sanitaria, e nello specifico quella dell’infermiere, sul rapporto profilo professionale/competenze è del tutto ormai superato in una moderna organizzazione delle cure; la mancanza di qualsiasi richiamo alla questione della crescita comune ed armonica delle professioni sanitarie che vengono considerate in una ottica di pura strumentalità del lavoro con un inserimento nella filiera della cura, svalutandone di fatto l’attività e la propensione umana propria di questa categoria per di più facendola sottostare al puro interesse economico; non riscontriamo nel documento l'urgenza di ripensare un cambiamento dei modelli di servizio in medicina, di rivedere ruoli e profili delle professioni sanitarie, di ripensare le pratiche e le modalità di trattamenti ma si intravvede solo lo scopo di riorganizzare o semplicemente razionalizzare i modelli in essere.

È risaputo come non sia sufficiente rimodellare i servizi stabilendo nuove gerarchie, definire le autonomie tecnico-operative o l’appartenenza delle pratiche, senza una chiara condivisione dei significati dei nuovi paradigmi culturali medici e della conseguente necessita’ anche di nuovi modelli formativi. 
È conseguente la considerazione di fondo che in un’organizzazione complessa, ove siano rappresentate diverse competenze professionali, spetti al medico la gestione ed il coordinamento degli interventi; deve essere evitata la sovrapposizione degli interventi e delle competenze: questa non può essere la risposta alla complessità della rete degli interventi. 
Per questo si è concordi nel ritenere che il documento presentato possa solo acuire i conflitti tra professioni senza iniziare quel necessario ripensamento post moderno della sanità che pone in evidenza in primis la questione della responsabilità degli atti che è non solo concetto giuridicamente vincolante ma anche premessa per una organizzazione delle cure che deve pregiudizialmente basarsi sulla Qualità e sulla Sicurezza. 
La nostra posizione non deve essere posta come una mera questione sindacale. Gli OMCeO hanno significato se riescono ad avere una visione di insieme dei problemi, una vera visione politica, per la sicurezza dei cittadini e dei medici. La complessità della domanda di salute e la sicurezza della nostra popolazione non devono essere oggetto di trattative sindacali. L’attribuzione di nuovi compiti ed attività ad altre Professioni Sanitarie è una questione che deve essere affrontata anche all’interno delle Professioni Sanitarie e non può essere lasciata alla attività lobbistica di una parte. 
Siamo profondamente convinti che tutte le professioni sanitarie debbano avere una loro riconosciuta autonomia che si esprime nella applicazione di una verifica e revisione sistematica di ruolo e competenze attraverso strategie di sviluppo professionale continuo. 

di Maurizio Scassola - Presidente dell’OMCeO di Venezia - a nome della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri del Veneto.



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