Condivisione: la via maestra per l’appropriatezza

Confronto e condivisione continui tra ospedale e territorio: questa l’arma segreta per far sì che l’appropriatezza prescrittiva diventi anche uno strumento utile per gestire e smaltire le liste d’attesa.
Se n’è discusso ampiamente lo scorso venerdì 3 dicembre durante il webinar on line dal titolo Appropriatezza prescrittiva come metodo per la gestione delle liste d’attesa:esperienze in gastroenterologia ed endoscopia digestiva organizzato insieme dagli OMCeO di Belluno e Venezia, che con la sua cinquantina di partecipanti in media ha ottenuto un discreto successo.
Un’iniziativa congiunta che si inserisce in un percorso nazionale che vede coinvolte anche la Federazione delle Società scientifiche di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, Slow Medicine e Agenas per «tracciare – ha spiegato il referente lagunare Francesco Bortoluzzi – linee guida e buone pratiche mediche sull’esecuzione di procedure endoscopiche, condividere percorsi e organizzare un metodo di lavoro».

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«Un tema, quello dell’appropriatezza – ha sottolineato il presidente veneziano e vice nazionale Giovanni Leoni salutando i partecipanti – su cui sono molto coinvolto. Ognuno di noi ha grandi responsabilità nel decidere se fare o meno un esame: noi dobbiamo certo confrontarci con l’appropriatezza, ma anche con chi ci arriva in ambulatorio mandato dal medico curante. E dobbiamo farlo sapendo che non si può fare tutto per tutti e che le possibilità di fare esami diagnostici sono fisicamente limitate».
Una filiera efficiente è fondamentale per l’efficacia della cura, l’analisi proposta, invece, dal presidente dell’Ordine di Belluno, Stefano Capelli. «In un contesto come quello attuale – ha aggiunto – l’appropriatezza si pone come elemento portante. Confido che questo percorso di condivisione riesca a mettere in contatto l’ospedale e il territorio».
Non è voluta mancare per un saluto nemmeno Maria Grazia Carraro, direttore generale dell’Ulss 1 Dolomiti, che ha sottolineato come il webinar riunisca reti professionali di aree diverse, creando un’occasione eccezionale e un momento di grande stimolo. «L’appropriatezza – ha sottolineato – è l’argomento degli argomenti. Da anni se ne discute: prendersi oggi questo spazio di riflessione contraddistinge la vivacità dei professionisti veneti».

Si è entrati, quindi, nel vivo del seminario, per spiegare realmente di cosa si stia parlando, con gli interventi della dottoressa Ilaria Bortoluzzi di Belluno e del dottor Davide Checchin, veneziano, per illustrare un paio di casi clinici emblematici: percorsi di cura in cui era doveroso chiedersi non solo se la prestazione fosse appropriata, ma anche se davvero ci fosse l’urgenza di farla.
«Il 30% delle richieste per sangue occulto – ha detto alla fine la dottoressa Bortoluzzi – è inappropriato. L’unico utilizzo corretto è nell’ambito dello screening del colon retto».
«Per una diagnosi istologica – le ha fatto eco il dottor Checchin – ci vuole un chiaro sospetto clinico. Dobbiamo conoscere la malattia e quindi aggiornarci e abbiamo bisogno di modelli organizzativi».
In evidenza, dunque, due aspetti del problema: l’importanza del quesito clinico – più preciso sarà, migliore sarà la risposta da parte di chi eroga la prestazione – e la necessità di una prestazione di qualità, una risposta clinica adeguata alle esigenze del paziente. «Dobbiamo essere bravi ad interagire tra di noi per dare le migliori risposte possibili» ha chiosato il dottor Bortoluzzi.

È partito dalla definizione di appropriatezza il referente bellunese Bastianello Germanà per introdurre il secondo blocco del seminario dedicato alle progettualità e ai modelli già in atto nei due territori di riferimento. L’appropriatezza, secondo il Ministero della Salute, è un intervento sanitario – preventivo, diagnostico, terapeutico o riabilitativo – correlato al bisogno del paziente, fornito nei modi e nei tempi adeguati sulla base di standard riconosciuti con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi. «In questa definizione – ha spiegato – c’è tutta l’essenza del concetto di appropriatezza, quindi tutte le procedure diagnostiche o terapeutiche che noi adottiamo, devono essere richieste solo se hanno un impatto favorevole sulla gestione clinica del paziente.
Il dottor Germanà ha poi approfondito l’esperienza bellunese, partita molto tempo fa e che aveva portato già nel 2004 a pubblicare un fascicolo Percorsi in gastroenterologia, frutto di un lavoro collaborativo, in cui con gli ospedalieri erano stati coinvolti quasi tutti i medici di medicina generale, per affrontare specifici quesiti clinici.
Percorsi formativi continuati anche dopo – e che hanno visto un forte e diretto coinvolgimento delle direzioni sanitarie – supportati da monitoraggi continui per rilevare la concordanza di indicazione e tempistica di programmazione tra medici prescrittori ed esecutori delle prestazioni endoscopiche. «I risultati – ha concluso – si sono visti nel tempo. A partire dal 2012 e fino al 2016, anno dopo anno abbiamo guadagnato concordanza, per arrivare a valori assolutamente invidiabili. Gli interventi sull’approppriatezza e sulla priorità clinica si sono dimostrati un modello virtuoso, con ricadute positive anche sulla gestione delle liste d’attesa. Il Covid ha fatto di sicuro molto male, ma in qualche modo ha fatto emergere il problema che le risorse sono limitate. Oggi abbiamo l’opportunità di intraprendere iniziative utili per ridurre le prestazioni inappropriate e convertire le risorse sanitarie verso interventi di provata efficacia».
A Marta Soave, responsabile UOS Attività Specialistiche, il compito, invece, di illustrare il progetto dell’Ulss 3 Serenissima per un approccio sistemico nella gestione delle liste d’attesa. «Stiamo elaborando – ha spiegato – un percorso di comunicazione e condivisione tra le diverse figure professionali, tra i medici sul territorio, prescrittori, e gli specialisti ospedalieri, erogatori delle prestazioni».
Tanti i limiti che impediscono un’efficiente gestione delle liste d’attesa in endoscopia digestiva proprio per il tipo di prestazioni di cui si parla: dalla logistica legata agli ambienti in cui si opera alla scarsa disponibilità di personale preparato, al fattore economico, poco vantaggioso per i centri privati convenzionati.
Qualcosa che si può fare, però, c’è. «Intanto – ha sottolineato la dottoressa Soave – misurare i dati: quante prestazioni ci sono in lista d’attesa e quante prescritte da un singolo medico. Fare un reporting costante serve a migliorare la consapevolezza del singolo». E poi ancora: condividere le linee guida e le buone pratiche mediche per il miglioramento dei comportamenti prescrittivi, impegnarsi nella formazione e nell’aggiornamento costante dei medici sul territorio con audit ed eventi mirati «e infine – ha concluso – spingere la comunicazione tra colleghi, tra medici prescrittori e esecutori degli accertamenti endoscopici».

Ma sul fronte dell’appropriatezza, oltre ai medici, c’è un altro attore da considerare: il paziente. Un paziente sempre più esigente, con cui bisogna dialogare. Il tema è stato approfondito dal dottor Bortoluzzi che ha illustrato la campagna di Choosing Wisely Italy, ancora poco nota, che si riassume nello slogan “Fare di più non significa fare meglio”, che promuove una cura sobria e rispettosa e che nasce per contrastare il fenomeno dello overuse in medicina; «la fornitura di servizi – ha precisato – probabilmente poco benefici per la quantità e qualità di vita e che rischiano di fare più danno che beneficio. Un “abuso” di prestazioni o terapie potenzialmente dannose per il paziente, non di utilità dimostrata ed evidente».
Tra i capisaldi della campagna:

  • un’informazione rigorosa sui contenuti scientifici;
  • la formazione alla comunicazione;
  • l’equità di accesso alle prestazioni e la sostenibilità delle stesse;
  • il tempo per la relazione inteso come tempo di cura.

«Dobbiamo pretendere – ha concluso il dottor Bortoluzzi dopo aver illustrato il funzionamento di Choosing Wisely – la qualità della prestazione, che deve avere un alto valore diagnostico e terapeutico, e dobbiamo condividere le informazioni con il paziente per condividere il percorso di cura».

Ultima parte del seminario con lo sguardo rivolto al futuro, alle possibili diverse soluzioni e sinergie, grazie alla tavola rotonda moderata dal vicepresidente dell’OMCeO veneziano Maurizio Scassola e dalla bellunese Emilia Padoin, con la partecipazione di Maria Caterina De Marco, direttore sanitario dell’Ulss 1 Dolomiti, di Giuliano Mariotti, direttore del Servizio specialistica ambulatoriale di APSS (Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento) e Sandra Vernero, presidente di Slow Medicine. Tra i temi emersi durante il dibattito:

  • la priorità della relazione tra medico e medico, prima ancora di quella tra medico e paziente (Scassola);
  • la difficioltà di un linguaggio comprensibile tra gli stessi medici (Mariotti);
  • l’aspetto etico e deontologico dell’uso delle risorse, comunque limitate, e la necessità di fare le cose giuste nei tempi giusti, evitando ai pazienti danni da esami inappropriati (Vernero);
  • la necessità di promuovere la multidisciplinarietà, sia in ospedale sia sul territorio, e il teleconsulto (Vernero);
  • la messa in opera degli strumenti aziendali: il tavolo di monitoraggio sull’andamento delle prestazioni, che prevede al suo interno tutti gli attori coinvolti, e il collegio di direzione (De Marco);
  • il ruolo di supporto che possono avere gli Ordini dei Medici – a cui si propone di aderire formalmente alla rete di Slow Medicine – nella formazione sul tema, con un’alleanza che va a tutto vantaggio dei cittadini;
  • la necessità di far capire anche ai pazienti che non tutti gli esami portano benefici, ma che possono anche provocare danni (Vernero);
  • il bisogno, in qualche modo, anche di “rieducare” il cittadino paziente, che oggi vuole sempre avere ragione e pretende che tutto gli sia dato (De Marco).

«Di fronte a situazioni complesse – l’ultima analisi del direttore sanitario dell’Ulss 3 Serenissima Giovanni Carretta intervenuto per un saluto finale – servono soluzioni articolate. Ma oggi c’è anche un grande problema da affrontare: la mancanza di personale con profesisonalità e competenze adeguate. Bisogna considerare la progettualità a medio e a lungo termine e creare sinergie nuove che ci permettano di analizzare i problemi e trovare soluzioni comuni».

«Questo webinar – ha concluso Bastianello Germanà – vuole essere un punto di partenza per riprendere il confronto tra i vari protagonisti che entrano nel circuito della salute, con spazi che noi specialisti dobbiamo dedicare al colloquio con il medico di medicina generale».
Deve andare, dunque, contemporaneamente in due direzioni il percorso per approdare all’appropriatezza prescrittiva e, di conseguenza, a una migliore gestione delle liste d’attesa: la condivisione tra medici e la condivisione con i pazienti. Solo così i risultati saranno un migliore utilizzo delle risorse disponibili, con guadagno in salute per tutti i cittadini.

Francesco Bortoluzzi, Responsabile Commissione Comunicazione OMCeO Venezia
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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