DAT: l’importanza del rapporto medico-paziente

C’è una consolidata e rinnovata alleanza terapeutica tra medico e paziente alla base della legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (legge 219 del 22.12.2017) entrata in vigore ormai quasi un anno fa. Una sinergia che – come hanno spiegato i tanti relatori presenti alla mattinata di aggiornamento che si è svolta all’Ordine sabato 20 ottobre 2018, il primo di 4 incontri che si svolgeranno nei prossimi mesi nell’area metropolitana – passa attraverso il consenso informato, la comunicazione semplice ed efficace con il malato e i suoi familiari, che diventano protagonisti attivi nel percorso terapeutico, e la pianificazione condivisa delle cure.
Tanta concretezza e praticità alla base dell’incontro, per conoscere uno strumento «che – ha spiegato il vicepresidente dell’OMCeO veneziano Maurizio Scassola, rivolgendosi alla platea composta soprattutto di medici di famiglia e di pediatri – ci può permettere di lavorare all’interno di un’équipe, in un gruppo, e per cui diventa fondamentale anche il collegamento tra l’ospedale e il territorio per produrre sicurezza nei confronti delle persone che assistiamo. La legge è composta da soli 8 articoli: questo è già positivo perché la relazione tra noi e i pazienti non può essere vincolata da norme giuridiche e regolata da una rigida normativa che ingessa».
In sala anche il presidente dell’Ordine e vicepresidente FNOMCeO Giovanni Leoni che, accogliendo i partecipanti, ha passato in rassegna i tanti temi sanitari che rimbalzano ormai ogni giorno sulle pagine dei quotidiani: l’ampliamento del numero delle borse per la medicina generale, il numero chiuso nelle università e il percorso formativo, la violenza sugli operatori sanitari, il rinnovo dei contratti, fermi da 10 anni in un silenzio assordante, il diritto alla pensione, ma anche l’ormai cronica carenza di medici sia in corsia sia negli ambulatori sul territorio.

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La mattinata di aggiornamento è stata aperta da Giovanna Zanini, presidente del Comitato Etico per la Pratica clinica dell’Ulss 3 Serenissima, che nel suo quadro introduttivo ha subito spiegato come sulle DAT il suo lavoro vada oggi in due direzioni: l’informazione da dare ai pazienti e la formazione da assicurare al personale sanitario. Al centro della legge, che ne parla proprio all’articolo 1, il concetto di relazione, «un concetto etico più che giuridico – ha sottolineato – una legge che parla dell’autonomia del paziente che può accettare le cure, rifiutarle o rinunciarci a un certo punto». Tre gli strumenti che il provvedimento indica come fondamentali: il consenso informato – «il medico informa, il paziente sceglie» – le disposizioni anticipate di trattamento e la pianificazione condivisa delle cure.
«Le DAT – ha aggiunto poi – possono essere redatte da una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Ma tra le cose di questa legge che sono state poco evidenziate c’è un passaggio importante: le disposizioni possono essere redatte dopo aver acquisito informazioni mediche adeguate». E qui entrano in gioco proprio i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta da una parte e dall’altra gli specialisti ospedalieri, in caso di patologie già in atto.
Nel suo intervento la presidente Zanini ha anche specificato cosa deve essere scritto nelle DAT – il consenso o il rifiuto agli accertamenti diagnostici, alle scelte terapeutiche, ai singoli trattamenti sanitari – e illustrato la figura del fiduciario che la persona può nominare a rappresentarlo, colui con cui poi il personale sanitario avrà a che fare per la decisione sulle cure.
«Qual è – si è chiesta inoltre – il vincolo per il medico? Il medico è tenuto al rispetto della disposizione anticipata di trattamento perché la legge non prevede l’obiezione di coscienza. Ma le DAT possono essere disattese del tutto o in parte in alcune particolari condizioni: quando medico e fiduciario sono d’accordo che siano incongrue rispetto alla situazione clinica per cui il paziente si è espresso e quando sopraggiungono nuove possibilità terapeutiche, inesistenti al momento della stesura delle disposizioni». In caso, invece, di conflitto tra medico e fiduciario, la normativa prevede il ricorso al giudice tutelare.
Sotto il profilo pratico le DAT devono essere redatte in forma scritta per atto pubblico, vanno depositate, se possibile, nel registro dei Comuni o alle aziende sanitarie, vanno portate con sé e condivise con i familiari, possono essere registrate e rinnovate, modificate e revocate in qualsiasi momento. Nel percorso, invece, di pianificazione condivisa delle cure, il paziente deve essere informato sull’evoluzione della propria malattia, su quanto può aspettarsi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervento e sulle cure palliative. Anche in questo caso, la pianificazione può essere aggiornata in qualsiasi momento, sia su indicazione del paziente, sia su suggerimento del medico.
«La bioetica clinica – ha concluso la dottoressa Zanini – non è una riflessione filosofica, è una riflessione su ciò che è giusto o non giusto fare nella pratica clinico-assistenziale. Sono indicazioni pratiche. Questa legge parla di relazione e comunicazione: ma quando una relazione è buona e giusta? A chi diamo l’informazione? E cosa diciamo? Come dobbiamo dirlo? Come comportarci in caso di rifiuto o di rinuncia a un trattamento? La legge parla di sedazione palliativa profonda, che non è eutanasia: siamo pronti a spiegare bene al nostro paziente la differenza? Come comitato etico vogliamo trasmettere ai professionisti degli strumenti perché siano in grado loro di fare bioetica nel loro ambulatorio e nel loro reparto».

L’asimmetria che regola il rapporto medico-paziente a favore di quest’ultimo, l’importanza del consenso informato, che deve essere nuovamente raccolto se cambiano il quadro clinico e lo scenario, il coinvolgimento dei familiari nel percorso di cure, che diventano soggetti attivi e necessari nell’alleanza terapeutica, la nutrizione e l’idratazione artificiali come atti medici, al centro, invece, dell’intervento del consigliere Adelchi D’Ippolito, procuratore aggiunto della Repubblica del Tribunale di Venezia.
«Questa legge – ha sottolineato – dice una cosa importante che non era mai stata detta prima: il tempo dell’informazione, il tempo della comunicazione, il tempo che si dedica a parlare con il paziente è già tempo di cura. Parlare col malato può essere più utile di mille pillole. Il paziente può rifiutare i trattamenti: nel conflitto prevale la sua volontà e il medico deve prenderne atto».
Tutto sommato una buona legge, secondo il procuratore, che, però, qualche perplessità l’ha espressa, soprattutto sulla possibilità del medico di rivolgersi a un giudice in caso di conflitto. «Il percorso – ha spiegato – è davvero complicato. Quante volte potrà accadere nella pratica quotidiana di un ambulatorio o di un ospedale? Cosa farà il medico: si prenderà un avvocato? Pagherà l’azienda? E se è un libero professionista? Quanta voglia avrà il medico, davanti a situazioni di questo tipo, di affrontare questo percorso, anche oneroso? Immagino sarà più semplice per lui fare un passo indietro. Spero di sbagliare, ma su questo fronte il legislatore indica un percorso che non si potrà realizzare. Le leggi non sono mai perfette, si possono sempre migliorare».

Nella seconda parte della mattinata si è entrato nel vivo della concretezza, con i consigli pratici per la platea di partecipanti, rappresentata soprattutto da medici di famiglia, attivi anche nelle case di riposo, e da pediatri di libera scelta. Luca Barbacane, anche segretario dell’Ordine ed organizzatore dell’aggiornamento, ha suggerito ai colleghi di «prendersi un po’ di tempo per leggere integralmente la legge che è breve e comprensibile».
Quindi, rispondendo alla domanda rilanciata da Giovanna Zanini su quale debba essere il ruolo del medico, si è soffermato in particolare sulle corrispondenze tra il provvedimento sulle DAT e le norme del codice di deontologia medica, che regolano tutta la professione dei camici bianchi e che nel suo articolo 38 aveva già esplicitato molti dei concetti ripresi poi nella legge 219. «Il medico ha un riferimento su cosa debba fare – ha aggiunto – ed è il codice deontologico. È come se il nostro stesso codice avesse partorito questa legge».
Il primo esempio citato è proprio l’articolo 1 comma 1 del provvedimento, in cui si spiega come tuteli “il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione delle persone”, dichiarazione molto simile a quella riportata dall’articolo 3 del codice: “Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona”.
Altre corrispondenze indicate nella correlazione tra l’autonomia del medico e la sua responsabilità, nell’appropriatezza delle cure e nei trattamenti proporzionati, nell’informazione comprensiva ed esaustiva che il medico deve dare al proprio paziente e nella comunicazione indicata già come tempo di cura. «Il tempo della relazione – ha sottolineato con qualche rammarico – è di sicuro la cosa che ci piace di più fare, ma anche quella che riusciamo a fare di meno».
Il dottor Barbacane ha parlato, infine, anche della possibilità di rifiuto dei trattamenti da parte del paziente «che ha il timone – ha spiegato – ma noi non possiamo mai deragliare. Quando il paziente rinuncia alle cure, il medico non può e non deve abbandonarlo: deve continuare ad assisterlo e a sostenerlo. Senza infrangere la volontà del paziente, il medico deve fornire tutto l’aiuto che è in grado di dare».

Chiarito il ruolo del medico di famiglia, Alberto Marsilio, MMG, geriatra e componente del Comitato etico dell’Ulss 3, ha illustrato poi il ruolo del professionista che si ritrova a svolgere la sua attività in un ambito particolare, quello di una casa di riposo in cui sono ospitati per lo più anziani molto avanti con gli anni, sopra gli 80, magari non del tutto autosufficienti o con disabilità funzionali e psichiche. Una situazione non facile da gestire se poi entrano in gioco anche trattamenti legati al fine vita, come la nutrizione e l’idratazione artificiale. Cosa è giusto fare o non fare? Quando fermarsi? Queste le domande da cui si è mosso il suo intervento.
«Viviamo un paradosso – ha esordito – tanto più sono aumentate le possibilità di intervento della medicina sulla vita, tanto più sono nate nuove responsabilità, nuove domande di tipo etico. Tutto questo condito nell’ambito del fine vita da una forte carenza di linee guida. Ognuno di noi si regola da solo: fa quello che ritiene più giusto, quello che la coscienza gli dice. Questo, però, spesso, porta o a un eccesso di interventismo o a un vero e proprio abbandono terapeutico».
Nutrizione e idratazione artificiali diventano in questo caso il vero problema da risolvere. Dopo averne illustrato le peculiarità e aver analizzato e commentato i risultati di uno studio condotto dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria sull’utilizzo di questi trattamenti, il dottor Marsilio ha chiarito le domande da farsi prima di iniziare, ad esempio, una nutrizione artificiale: ho effettuato una valutazione prognostica? La nutrizione migliorerà la qualità di vita del paziente? Renderà più veloce la guarigione della malattia? I benefici attesi superano i rischi potenziali? Ho valutato la volontà del paziente o, se incompetente, del rappresentante legale? Ci sono le risorse per gestire correttamente la nutrizione artificiale?
«La nutrizione artificiale – ha aggiunto – non deve essere intrapresa se l’attesa di vita è di poche settimane e può essere interrotta se non fornisce un reale beneficio. È terapia o sostegno vitale? Sono sostegni vitali, ma quando richiedono un intervento chirurgico o un atto invasivo diventano terapia. Per cui può essere lecito non iniziarla o sospenderla».
Il dottor Marsilio si è soffermato poi anche sul problema della prognosi incerta, quando la fase terminale non è facile da individuare, parlando ad esempio del paziente con demenza in fase avanzata che raramente viene percepito come malato terminale. Ha spiegato come valutare gli elementi prognostici, i vantaggi di un’attenta comunicazione con la famiglia, che spesso teme che il proprio congiunto soffra la fame o la sete, i problemi di percezione della sete da parte del malato terminale, i percorsi da seguire in caso di autonomia decisionale del paziente compromessa o meno per arrivare all’appropriatezza e alla proporzionalità delle cure anche in ambito di nutrizione e idratazione artificiale. «Scoprirsi essere umano di fronte ad un altro essere umano – ha concluso – è il primo passo per attuare trattamenti ed assistenza di fine vita che contengano contemporaneamente tutta la professionalità e tutta l’umanità necessarie per conservare dignità e qualità di vita a persone che sono in una condizione di estrema fragilità e vulnerabilità».

Citate spesso nel corso della mattinata, l’approfondimento sulle cure palliative è toccato a un esperto del settore, Giovanni Poles, direttore dell’unità complessa dell’Ulss 3 Serenissima. «La sedazione palliativa continuata e profonda, – ha chiarito subito – a cui la norma sulle DAT fa esplicito riferimento, non è eutanasia, è un atto medico che può essere modulato a livelli più o meno alti di coscienza. È ridurre lo stato di vigilanza del paziente a fronte di sintomi refrattari, che gli risultano intollerabili, quando davvero non possono essere affrontati diversamente. Modulare la sedazione fa capire al malato e ai suoi familiari gli obiettivi stessi e i risultati che porta. Quella profonda continua va attuata in caso di malattia inguaribile in stato avanzato e nell’imminenza della morte, ma non è eutanasia perché non la anticipa».
Dopo aver illustrato le modalità della sedazione, i criteri di liceità etica, la valutazione della sospensione delle cure, il dottor Poles ha, infine, approfondito gli strumenti a disposizione del medico nelle cure di fine vita, in particolare il consenso informato e la pianificazione condivisa delle cure. «Cosa si chiede agli operatori? Bisogna – ha concluso – lavorare sempre più in rete, un lavoro d’équipe, in uno scambio sempre più stretto tra ospedale e territorio. Il Comitato per l’etica può essere un supporto importante. Lavorare bene sul consenso informato e sulla qualità del consenso. Avere competenze precise, che comprendono formazione ed esperienza, e la capacità di incasellare passo dopo passo il ragionamento clinico. Tenere presente, infine, anche gli impatti emotivi e psicologici che certe nostre decisioni possono avere sul malato e sui suoi familiari».

Delicatissimo, infine, l’ultimo tema affrontato nella mattinata, prima della discussione legata a specifici casi clinici: la particolarità delle DAT in ambito pediatrico. Loredana Cosmo, solo da qualche mese pediatra di libera scelta dopo tanti anni di attività professionale in ospedale, ha raccontato come siano molto meno diffuse che negli adulti, come riguardino in particolare i trattamenti di urgenza in casi di crisi acuta e di come il principio regolatore debba essere sempre l’interesse superiore del minore.
«La pianificazione preventiva – ha aggiunto – richiede un processo dialogico in più fasi: innanzitutto il rapporto con i genitori e con la famiglia prima ancora che con il bambino, confrontandosi con loro sul diritto all’informazione del minore. Io credo che il parere del bambino vada sentito in funzione della sua età e del suo grado di maturità e che, allo stesso modo, il bimbo vada informato in base alla sua capacità di capire. Il pediatra di libera scelta è un tramite tra l’ospedale e la famiglia, ma deve mantenere il proprio ruolo di alleato del bambino». Si torna, dunque, a uno dei principi tante volte sottolineati durante la mattinata: l’ascolto e la relazione come tempo di cura.
«La pianificazione preventiva – ha aggiunto – è importante per tutti i soggetti coinvolti: per i bambini, per rispettare le loro volontà, per i genitori, anche per alleviare la pressione psicologica, per il personale sanitario, perché riduce le incertezze sulle misure da attuare. Se c’è fiducia tra pazienti, familiari e personale sanitario si riducono anche i contenziosi».

Dialogo tempestivo, dunque, linguaggio comprensibile, comunicazione efficace, documentazione a supporto delle proprie scelte, interazione stretta tra i soggetti che si occupano di assistenza sono le chiavi per applicare in pienezza la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento praticamente in tutti gli ambiti. Una legge che ha un obiettivo preciso: rendere il fine vita al paziente e alla sua famiglia il più sereno e dignitoso possibile. Passando dall’idea del guarire a quella del prendersi cura, mettendo al centro la persona.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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