I liceali alla scoperta delle professioni mediche

Mai si erano visti così tanti ragazzi e così giovani nella sala Caterina Boscolo dell’OMCeO veneziano: serata speciale, martedì scorso, 12 ottobre 2021, all’Ordine che ha ospitato, accompagnati dalla dirigente Monica Guaraldo e dalla professoressa Alessandra Masiero, gli studenti di quarta e quinta del liceo classico e scientifico Majorana-Corner di Mirano, che seguono il particolare percorso di studi a curvatura biomedica.
Ad accoglierli nella sede di via Mestrina il presidente e vice nazionale Giovanni Leoni, Luca Barbacane, referente dell’Ordine per quest’attività ed ex segretario, e i colleghi medici e odontoiatri venuti per raccontare ai ragazzi le loro esperienze e le varie declinazioni che può assumere la professione medica: Martina Musto, medico di famiglia, gli odontoiatri Luca Donolato e Andrea Zornetta e Vittorio Selle, direttore del Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’Ulss 3 Serenissima.
«Avere qui ragazzi e ragazze – ha sottolineato subito il dottor Barbacane – che stanno pensando di fare medicina od odontoiatria dopo il liceo ci fa enorme piacere». «Il vostro – ha aggiunto il presidente Leoni – è il liceo che, sui 4 che hanno partecipato nel nostro territorio, ha ottenuto il miglior punteggio al concorso per ottenere la formazione a curvatura biomedica. Quella che vi viene data è un’opportunità importante, che avete solo voi. Mio padre, che era giornalista, mi diceva sempre: “Combatti per fare il lavoro che vuoi perché passerai la maggior parte della vita lavorando”. Meglio impegnarsi dunque...».

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Senza perdere troppo tempo in chiacchiere, si è lasciato spazio alla vita vera, al lavoro che ogni giorno i camici bianchi devono affrontare, alla prima delle declinazioni della professione: la medicina generale. Martina Musto, giovane medico di famiglia – ma anche madre di tre figli, di cui uno appena nato, consigliera dell’Ordine, vicepresidente della Fondazione Ars Medica ed ex studentessa del Majorana-Corner – ha raccontato di esserci arrivata solo in un secondo tempo, dopo aver capito che la disciplina scelta per la specialità, anestesia e rianimazione, non faceva per lei, che aveva bisogno di più spazio per la riflessione e il confronto.
«Il medico di famiglia – ha spiegato – non è più la figura solitaria di un tempo. Io lavoro in un’attività di gruppo ben organizzata ed è fondamentale stare insieme nella medicina. Perché fare il medico è vivere con la sofferenza, con persone che chiedono attenzione, ascolto e professionalità, e da soli non ce la si fa. Lavorare in team è essenziale per sopravvivere».
Dopo aver sottolineato che «studiare medicina non è fare il medico, non si finisce mai di imparare a fare il medico», raccontato le tante soddisfazioni del suo lavoro e le dimensioni psichica, sociale e familiare che deve tenere presenti nella cura dei propri pazienti, ha passato in rassegna le attività della medicina generale: le prestazioni non differibili, la prevenzione, la gestione delle cronicità e delle fragilità. «L’attività del medico di famiglia – ha concluso – è molto varia: mi dà molta soddisfazione perché mi posso occupare di tantissimi aspetti della vita dei miei pazienti».

La parola è passata, quindi, a un’altra declinazione della professione, agli odontoiatri con Luca Donolato, anche coordinatore della Commissione Giovani Medici e Odontoiatri dell’Ordine, e con Andrea Zornetta, componente della CAO lagunare, che ci hanno tenuto a precisare subito come anche quello del dentista sia ormai un lavoro di team, molto vario e con diversi gradi di difficoltà.
«Non siamo cavadenti – hanno sottolineato – che curano solo le carie, siamo medici con una preparazione a 360 gradi: ogni giorno facciamo anestesie locali o radiografie, prescriviamo sedativi o antibiotici ai pazienti, diagnostichiamo patologie orali o malattie sistemiche, facciamo interventi chirurgici anche a livello avanzato, talvolta salviamo proprio la vita ai nostri pazienti. L’odontoiatra è una professione complessa ma entusiasmante e bellissima».
Una figura, insomma, che ha poco a che vedere con l’idea, forse un po’ distorta, che ci si fa durante l’iter formativo. E una figura che, cosa da non sottovalutare, offre sbocchi professionali enormi. «Siamo liberi professionisti, – hanno detto – c’è chi lavora nel proprio studio e chi ha scelto la carriera ospedaliera. Ma libera professione non significa isolamento: ci rapportiamo spesso, ad esempio, con i colleghi medici di famiglia. Purtroppo, però, non si trovano giovani colleghi che vengano a lavorare nei nostri studi. Il tasso di disoccupazione, il giorno dopo la laurea, è zero. La nostra è una branca che dà molte opportunità a livello professionale».
Avere una grande passione, quasi un’ossessione, per le attività di alta precisione e trovare un buon mentore, che guidi soprattutto all’inizio della carriera, i consigli regalati agli studenti.

Ironico ed affabile, si è lasciato andare a un dialogo aperto con i ragazzi, raccontando anche qualche aneddoto personale e professionale – «ero molto incerto: avrei voluto fare il medico, ma anche legge o economia aziendale. Alla fine ho unito tutte le mie passioni» – Vittorio Selle, medico legale, ma soprattutto direttore del Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’Ulss 3 Serenissima, in prima linea nella lotta al Covid dallo scoppio della pandemia.
Poco contatto diretto reale con i pazienti nella sua attività quotidiana, «ma – ha sottolineato citando il caso dell’inceneritore di Marghera e dell’arsenico azzerato nell’aria a Murano – questo tipo di lavoro nell’ambito dell’organizzazione sanitaria permette attività importanti nell’ambito, ad esempio ambientale, a favore della salute di tutti. Serve una visione olistica, di sistema. Hai un peso specifico in situazioni delicate, su cui puoi incidere in modo importante».
A sorpresa, poi, dal dottor Selle anche una riflessione particolare sulla pandemia «che – ha spiegato – va ringraziata. Una sfida di questo tipo, vedere un’epidemia dal vivo, doverla affrontare e contrastarla, giocare ogni giorno tatticamente con lei, è qualcosa che non capita mai a chi fa igiene, epidemiologia, microbiologia. Quando facciamo con i medici di famiglia 130mila vaccinazioni antinfluenzali in due – tre mesi, pensiamo di aver fatto chissà cosa. Poi arriva il Covid, mettiamo in piedi in due mesi il PalaExpo e viaggiamo a 4mila vaccinazioni al giorno. Cose mai viste o pensate: servono passione, profondità, un modo nuovo di porsi obiettivi».

E infine la parola al chirurgo, ultima declinazione della professione raccontata ai ragazzi del Majorana-Corner direttamente dal presidente Giovanni Leoni che all’inizio della sua relazione ha voluto fare anche un importante excursus sull’etica e la deontologia medica, citando i valori morali a cui far riferimento, alcuni passaggi del Giuramento di Ippocrate e sottolineando l’importanza del metodo scientifico che consente il progredire della medicina.
Spazio poi a una veloce rassegna sull’evoluzione della chirurgia, dai tempi antichi a oggi, partendo da demoni, credenze e stregoni per approdare alla farmacologia moderna, appena un secolo fa, allo studio dell’anatomia e alle innovazioni tecnologiche.
«Sul fronte della chirurgia – ha chiarito – demolire un organo o una parte di corpo è una cosa, ricostruirla un’altra. Il chirurgo è appassionato di tecnologia, vive attaccato agli strumenti, ma non deve innamorarsene. I nuovi robot non operano da soli: è sempre la testa del chirurgo che riesce a manovrarli e bisogna sempre tener presente l’equilibro dell’uomo».
E proprio sull’aspetto umano della professione si è soffermato il dottor Leoni nella parte conclusiva del suo intervento. «Fare il medico – ha spiegato – ci porta a contatto con le miserie dell’uomo, con l’umanità ferita dei pazienti. Per non deprimersi, allora, il consiglio è: coltivare la cose belle. Inoltre bisogna abituarsi alla solitudine perché spesso si è soli a decidere. La partenza è sempre la stessa: bisogna sopravvivere agli studi di medicina, che sono pesanti. Ma con costanza, grande capacità mnemonica e resistenza alla fatica tutti ce la possono fare, la strada non è impossibile».

Testimonianze intense, dunque, e davvero appassionate dagli ospiti, accolte dagli sguardi attenti in sala. E chissà che tra i ragazzi presenti non si riveda qualcuno col camice bianco addosso tra qualche anno, qualcuno da poter chiamare “collega”.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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