Il consenso informato: medici chiari, cittadini consapevoli

L'alleanza terapeutica, il patto di fiducia tra medico e paziente: è questo che chiama in causa il consenso informato. Quindi: più attenzione e tempo dedicati ai pazienti, un dialogo chiaro con loro, la documentazione di tutti i passaggi durante il percorso terapeutico, nessuna delega nella raccolta. “Perché – spiega il procuratore Adelchi D'Ippolito – più questo rapporto è positivo più si abbattono le denunce penali, usate spesso come strumento di pressione per ottenere un risarcimento danni”.
Questi i consigli emersi martedì sera durante il convegno Il consenso informato per medici e odontoiatri, organizzato al Padiglione Rama dall'Ordine veneziano in collaborazione con l'Ulss 12 e la Procura della Repubblica. Una serata di studi legata a stretto filo con quella che si è svolta nella stessa sede 15 giorni fa sull'importanza della cartella clinica e della scheda sanitaria.

A entrare subito nel merito della questione, dopo i saluti di rito del presidente Giovanni Leoni e del direttore generale dell'azienda sanitaria Giuseppe Dal Ben, il consigliere D'Ippolito. “L'istituto del consenso informato – dice il magistrato – se si comprende bene è abbastanza semplice e va usato con la dovuta attenzione”. Si parte dal principio, sancito dalla Costituzione, che nessuna pratica medica può essere fatta su un paziente senza aver raccolto prima il consenso informato validamente espresso.
Quando il consenso non serve. Due i casi in cui si può derogare alla regola: se si agisce in stato di necessità, cioè se il medico è chiamato a salvare la vita del paziente e deve agire con urgenza, e nei casi di trattamento sanitario obbligatorio. “Quest'ultimo – ha aggiunto il procuratore – è regolato dalla legge e viene attivato in caso di persone con gravi squilibri mentali, che rifiutino le cure e in cui la patologia non sia risolvibile se non in una struttura sanitaria. Se ci sono questi requisiti il medico può richiedere un trattamento sanitario al di là della volontà del paziente”.
La parola chiave. Argomento spesso sottovalutato dai camici bianchi, il consenso informato rischia di essere una pratica che si vive con fretta, fastidio, disturbo, “quasi esulasse – spiega – dalle competenze del medico. In realtà proprio su questo istituto, sul consenso validamente espresso, si gioca spesso la responsabilità penale”.
“Validamente” è allora la parola chiave da sottolineare. Perché il consenso sia consapevole, l'informazione data al paziente deve essere chiara, completa e accessibile. “È il medico – continua – che deve mettersi in sintonia con il paziente, cercando un linguaggio a lui comprensibile. Una parola d'attenzione, una disponibilità in più, un po' di cortesia possono aiutare anche ad evitare denunce”.
Chi dà il consenso. Un esempio: i minori. A dare il consenso per un intervento o un percorso terapeutico può essere solo chi è in grado di intendere e di volere. Per i minori, ad esempio, che per legge non hanno questa capacità, il consenso deve essere espresso da chi esercita la patria potestà.
“E se i genitori – ipotizza D'Ippolito – non fossero d'accordo tra loro, che fate? Bisogna per forza rivolgersi al giudice tutelare perché decida quale soluzione sia più conveniente nell'interesse del minore. E se entrambi i genitori non fossero d'accordo con il medico? Anche in questo caso bisogna rivolgersi al pm per avviare il percorso di nomina di un tutore. La finalità da perseguire, infatti, è la cura del malato”.
L'incapacità naturale. Ma non c'è solo l'incapacità stabilita per legge, c'è anche quella, per così dire, naturale. Il caso, altro esempio, di qualcuno che arriva completamente ubriaco. “Compito del medico – spiega – è avviare un percorso di ristabilimento della situazione normale. Fargli passare la sbornia, insomma, e poi raccogliere il consenso. Salvo, ovviamente, e lo ripeto, che non ci si trovi in uno stato di necessità”.
Lo stato di necessità. L'urgenza, dunque, il pericolo di vita del paziente sono la discriminante che permette di avviare l'attività medica anche senza aver raccolto prima il consenso e sono, anche in questo caso, regolati dalla legge. L'articolo 54 del Codice Penale spiega che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”, purché, però, ci sia proporzione tra il danno che la persona sta per subire e la condotta che si vuole attuare.
Anche qui qualche parola chiave per mettere al riparo il medico da ogni possibile censura sul piano penale. Innanzitutto il pericolo di danno grave che, però, deve essere “attuale”: non, dunque, un pericolo passato – un quadro clinico ieri preoccupante, ma oggi cambiato – o futuro, perché in questo caso si possono avviare le procedure per acquisire regolarmente il consenso. Il danno grave, poi, deve essere “proporzionato” all'invasività e all'importanza dell'atto medico che si attua. “Tutti presupposti – aggiunge D'Ippolito – che devono presentarsi congiuntamente e contestualmente. Altrimenti non c'è stato di necessità”.
Uno, nessuno, centomila consensi. Fondamentale, infine, concetto ribadito più volte e sottolineato anche dagli altri relatori, riacquisire il parere del paziente nel caso si cambino in corsa interventi o terapie. “Il consenso – aggiunge il magistrato – deve seguire tutto il percorso diagnostico e terapeutico. Il medico deve tornare a chiederlo nel caso ci sia un'evoluzione diversa da quella originariamente immaginata e prospettata al paziente. Non esiste nel nostro ordinamento un consenso presunto. Esiste quello implicito, ma si applica soprattutto per l'attività medica poco invasiva”. Come, ad esempio, per gli esami di laboratorio, del sangue o delle urine.
Il rifiuto della cura. Ad esistere, infine, non è solo il consenso, ma anche il dissenso. “La libertà di cura – conclude il procuratore – è un diritto completo, ampio e totale. Quindi prevede anche il rifiuto di farsi curare. La Costituzione impone il divieto di fare pratiche sul mio corpo se io non sono d'accordo. Anche questo rifiuto, però, deve essere validamente espresso e deve essere dato solo da chi è capace di intendere e di volere, non può essere espresso attraverso qualcuno che rappresenti il paziente”.

I casi pratici. Come già successo nel precedente incontro sulla cartella clinica e la scheda sanitaria, tanta concretezza è arrivata dalla presentazione di alcuni casi pratici medico – legali. “Mi spiace – esordisce Giuliano Nicolin, presidente della Commissione veneziana Albo Odontoiatri – che si parli sempre di consenso informato come strumento difensivo. Invece è un atto che qualifica la nostra professionalità”.
Tra i consigli dati ai colleghi: non usare formati troppo precostituiti, tenere sempre nei moduli uno spazio per attualizzare il caso specifico, ma soprattutto spendere un po' di tempo con il paziente “e – aggiunge – scrivere sia quel che riteniamo opportuno fare, sia le altre possibilità, sia le conseguenze e i rischi possibili in caso di rifiuto del trattamento”.
“Ma – chiede poi rivolgendosi al procuratore – all'adolescente belloccia, diciamo 17enne, che viene in studio spinta dalla madre solo per questione estetiche e non vuole alcun trattamento, cosa devo rispondere?”. “Il medico – sottolinea D'Ippolito – deve prestare ascolto alla posizione del minore. Se il problema è solo estetico, io ascolto la ragazzina”.

Molto rari, comunque, i casi in medicina legale in cui i medici sono coinvolti solo per un problema di consenso informato “che invece – sottolinea Silvano Zancaner, direttore dell'Unità Operativa Complessa Medicina Legale dell'Ulss 12 – risulta fondamentale in casi di responsabilità professionale. Posso anche non aver compiuto errori significativi, ma se ho un difetto significativo di consenso, tutta la mia attività è posta sotto una cattiva luce”.
Un intervento chirurgico diverso da quello stabilito e temporaneamente invalidante il primo caso presentato. “C'era una discrepanza – spiega – tra ciò che la paziente aveva firmato e ciò che le era stato fatto: un intervento chirurgico al posto di un'infiltrazione. Ha chiesto il risarcimento danni per aver perso la possibilità di fare un concorso pubblico e lo ha ottenuto perché aveva autorizzato i medici a un'attività ben specifica, non a un'altra”.
Uno sciopero della fame in carcere da parte di un detenuto, il secondo caso. Medici e struttura ospedaliera assolti, nonostante la morte del paziente, che, capace di intendere e di volere, aveva più volte espresso il rifiuto alla nutrizione, quindi il proprio dissenso, e su cui si era intervenuti solo alla fine, allo stato di necessità. Assolti con formula piena, i camici bianchi, nel rispetto della libertà del paziente.

“Cosa invece – esordisce Cristina Potì, direttore dell'Unità Operativa Sicurezza del paziente, sempre dell'Ulss 12 – non è il consenso? Non è un'autorizzazione formale, non è solo un foglio di carta firmato. È un percorso che dovrebbe avere al centro il paziente. Ma, sembra banale dirlo, prima ancora di raccogliere il consenso deve esserci l'informazione. Un'informazione idonea, tempestiva e personalizzata porta a un consenso personale, specifico e attuale”.
Una laparoscopia a una 23enne per asportare una cisti ovarica che, in sede di intervento chirurgico, a causa di una neoplasia maligna ovarica, si trasforma in una laparotomia, uno dei casi presentati. “Ma il consenso – spiega – era stato raccolto solo per la laparoscopia. Al risveglio la paziente è scioccata: scopre di avere una patologia grave e di essere anche stata sterilizzata. Chiede i danni e vince: l'intervento era stato condotto ottimamente, ma non si era in stato di necessità, ci si poteva fermare e chiedere un nuovo consenso”.

Concetto ribadito e sottolineato anche dal caso pratico presentato dal dottor Davide Roncali, medico legale e consigliere dell'OMCeO veneziano. “Il clinico – dice – deve preoccuparsi di informare e di raccogliere qualcosa, il consenso o il dissenso, alla fine di un percorso. Anche se il comportamento tecnico è inattaccabile, se il consenso non è dato esattamente per quell'intervento, non conta. Scrivete sempre le cose perché quando si analizzano i casi la difficoltà è sempre là dove la documentazione sanitaria è scarsa”.
Adeguarsi sempre, nel linguaggio, al paziente che si ha di fronte, ricordarsi che ha paura, non usare moduli generici, raccogliere sempre il consenso scritto (quello orale non esiste), usare il buon senso, i consigli arrivati dal legale Mario Giordano, consulente dell'Ordine veneziano.
“Il consenso – chiude i lavori Maurizio Scassola, vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini – consolida la relazione tra paziente e medico. Consenso consapevole anche del medico per cui deve essere uno strumento di strategie comunicative, relazionali e di tracciabilità del proprio operato. Vale per tutta la categoria, non solo per i comparti ad alto rischio professionale: essere sempre consapevoli che questo non è uno strumento di burocrazia, ma è integrato nel livello di professionalità di ognuno di noi. Spesso siamo proprio noi medici a delegare atti o funzioni che devono essere propri della professione medica. Il consenso informato è un atto medico non delegabile, una delle massime espressioni del nostro lavoro”.

Chiara Semenzato, collaboratrice giornalistica OMCeO di Venezia

Clicca qui per vedere la galleria fotografica

Ringraziamenti del presidente Giovanni Leoni per le due serate sulla cartella clinica e sul consenso informato

Grazie a Luca Barbacane, Gabriele Gasparini e Giovanna Zanini per tutta la collaborazione prestata.
Naturalmente grazie anche al direttore generale Giuseppe Dal Ben - Ulss 12, Ulss 13 e Ulss 14 - per averci concesso sala, tecnici e addetti ed aver "acceso di sera" il Padiglione Rama.
Grazie a tutti i relatori, Giuliano Nicolin, Silvano Zancaner, Cristina POtì, Davide Roncali, Mario Giordano, Giorgio Spadaro per le loro relazioni.
Grazie al vicepresidente nazionale FNOMCeO Maurizio Scassola per essere intervenuto nonostante i mille impegni.
Un particolare ringraziamento al Procuratore della Repubblica dr. Adelchi D'Ippolito, la cui presenza ha dato un contributo fondamentale alla riuscita delle due serate di lavoro notturno, dopo una giornata di lavoro per tutti, con oltre 200 presenze certificate.
E infine grazie a Chiara Semenzato per foto e articoli dedicati.

Giovanni Leoni

Segreteria OMCeO Ve
Categoria News: 
Notizie medici
Pagina visitata 3098 volte