Le DAT: viaggio in un territorio ancora inesplorato

Un percorso segnato, ma per molti ancora oscuro, quello tracciato sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, le cosiddette DAT. Un percorso in cui regna la confusione, in cui la normativa non è del tutto definita e risulta quindi poco chiara. Eppure un percorso che tante famiglie ormai si trovano ad affrontare e di cui, di conseguenza, anche i medici devono avere chiari gli aspetti, da quelli di famiglia, nel loro ruolo di accompagnamento e sostegno, agli specialisti negli ambulatori.
Di cosa si parla, allora, quando si parla di DAT? Che strumenti hanno i medici oggi a disposizione? Che significato ha un documento DAT registrato in un Comune? Cosa deve fare il medico che si ritrova una DAT tra le mani? È per cercare di rispondere a queste domande, creando un’occasione di confronto e di condivisione del sapere, che l’Ordine veneziano dei Medici Chirurghi e Odontoiatri ha organizzato sul tema, nella sua sede mestrina, un corso di aggiornamento, Le dichiarazioni anticipate di trattamento: una questione aperta, in programma mercoledì 22 febbraio 2017, a partire dalle ore 20 (65 i posti a disposizione, 3 i crediti ECM che saranno assegnati).
A presentarci l’evento è Federico Munarin, direttore del Distretto sociosanitario n° 2 dell’Ulss 3 Serenissima e membro del direttivo della Fondazione Ars Medica, che ne cura la segreteria scientifica con Giovanna Zanini, presidente del Comitato Etico per la Pratica Clinica del Distretto veneziano e di quello di Dolo-Mirano, sempre dell’azienda sanitaria lagunare.

Dottor Munarin, perché si è scelto di dedicare un aggiornamento proprio a questo tema?
Non solo per curiosità medica, ma anche perché su questo tema c’è un forte interesse da parte del cittadino: in molti ci chiedono dove trovare materiale o informazioni che riguardano il fine vita.
In tema di dichiarazioni anticipate di trattamento c’è molta confusione perché la normativa a livello nazionale non è ancora chiara, c’è un disegno di legge in progress, ci sono tante discussioni a vario titolo riportate dalla stampa. Anche noi come medici dobbiamo avere l’opportunità di chiarirci le idee. Non si può lasciare il medico fuori da questo processo, non possono essere solo la normativa e la comunicazione a mettere in piedi il sistema: il medico ha ancora la sua centralità e può dire molte cose.

A prima vista la questione può apparire soprattutto medico legale. È così?
Sinceramente non credo sia solo un problema medico legale. Anzi: è un problema di informazione, un problema etico, che riguarda la nostra professione, ma che, alla fine, riguarda ognuno di noi. Perché non ci dobbiamo dimenticare che anche il medico è un uomo, che si può ammalare di patologie anche gravi, che anche lui potrebbe essere soggetto un giorno a DAT.
Alcuni strumenti oggi li abbiamo, come ad esempio le cure palliative. Ma è necessario che i medici di medicina generale o anche gli ospedalieri lo sappiano, sappiano cosa c’è sul territorio per alleviare questo passaggio doloroso. È bene sapere, ad esempio, che in alcuni casi il supporto dei palliativisti, medici bravissimi, può essere fondamentale: dobbiamo sapere cosa fanno, come intervengono, qual è il team di lavoro.
Per un medico di famiglia, ad esempio, diventano importanti la capacità di organizzarsi e di sapere dove andare a prendersi le informazioni corrette, quali servizi siano attivi sul territorio, quale figura professionale possa fare al caso suo in quel momento, per quel paziente, in quella determinata situazione.

Chi sono, allora, gli attori di questo processo?
Sicuramente, come abbiamo visto, i medici. E poi i pazienti. Ma non si può dimenticare neanche la famiglia del paziente. Quando parliamo di DAT non è solo un problema che riguarda il rapporto tra il medico e il malato, c’è anche il rapporto da costruire tra il paziente e la sua famiglia e tra la famiglia e il medico. Una triangolazione fondamentale.

A che punto siamo del percorso?
Purtroppo siamo ancora in alto mare. Aspettiamo una normativa che mi auguro sia molto chiara e precisa. Il percorso è segnato ma ci vorrà ancora del tempo. Intanto non tutte le amministrazioni comunali si sono attrezzate per queste dichiarazioni, le DAT purtroppo sono ancora poco diffuse e spesso legate solo alla sensibilità dei singoli amministratori. Il medico non è obbligato a seguire queste indicazioni, ma deve tenere conto della volontà espressa dal paziente.

Come avete pensato , allora, di strutturare questa serata? Quali gli ambiti che saranno affrontati?
L’idea di fondo è di dare una panoramica di tutto il percorso attualmente tracciato, da chi gestisce il tema a livello nazionale a chi lavora sul territorio. Si parte da Maurizio Scassola che, nella sua veste di referente nazionale della FNOMCeO, spiegherà i passaggi chiave riguardanti le DAT presenti nel Codice di deontologia professionale. Poi ci saranno Giovanna Zanini e Cristina Potì che si occuperanno la prima di tracciare il quadro dei problemi etici e delle questioni aperte, la seconda di dare indicazioni sotto il profilo medico legale.
L’ultima parte sarà dedicata in particolare alle cure palliative, fondamentali ormai nel fine vita, che saranno illustrate da Fabio Poles: proprio lui è uno dei medici che ha contribuito di più a sviluppare questo tipo di cure, in particolare portate a domicilio, nel nostro territorio. Presenterà anche casi pratici da lui seguiti sul territorio.
Questo vorremmo lasciare ai nostri colleghi: al di là degli aspetti burocratici, l’esempio sulla scelta che viene fatta, dettata da una storia clinica ben chiara, precisa, a sé stante.

Questo incontro è un punto di partenza o d’arrivo?
Non pensiamo che questa possa essere una serata conclusiva ed esaustiva: è un passaggio per elaborare altre iniziative con l’obiettivo di migliorare il nostro livello culturale e di conoscenza. Su questi temi ognuno dice la sua, ha il suo pensiero, ognuno vorrebbe che gli altri la pensassero come lui, ma non è così. Bisogna cominciare a mettere regole e paletti.
Dobbiamo riuscire a far rete perché lasciare la nostra cultura chiusa in se stessa, senza poterla comunicare o comunicandola a pochi, fa crescere pochi di noi. Noi, invece, dobbiamo cercare di crescere tutti, il più possibile e anche in fretta.

L’etica, insomma, torna al centro delle riflessioni dell’Ordine veneziano e della Fondazione Ars Medica, di cui anche lei e la dottoressa Zanini fate parte. Perché è così importante parlarne?
Perché la medicina sta cambiando, ma non è solo scienza, ricerca, applicazione, tecnologia, è anche etica. In questi ultimi anni il problema etico si presenta quasi quotidianamente per un medico. Succede tutti i giorni di rapportarsi, di confrontarsi con l’etica e i suoi principi. Pensiamo, ad esempio, al paziente a cui devi spiegare una malattia, magari anche grave. Non devi essere solo molto preparato, anche sotto il profilo psicologico, ma devi anche affrontare questi principi e questi temi. Tra l’altro i nostri vecchi percorsi scolastici non ci hanno preparato a questo.
Lavorare in rete, poi, con altre professionalità, è strategico ed essenziale. Per questo con la Fondazione abbiamo sviluppato il rapporto con i filosofi e con gli psicologi perché per noi sono fondamentali lo scambio culturale con le altre professioni, l’approfondimento, la visione di come stia cambiando la vita.
Parlare di temi come questo è importante perché apre la nostra conoscenza ad occhi, visioni, esperienze diverse rispetto a quelle che abbiamo vissuto. Queste conferenze sono sempre piene di colleghi: segno che c’è un grande bisogno nella nostra professione di parlare di qualcosa di diverso della clinica, di confrontarsi, di condividere le scelte.

Federico Munarin, direttore del Distretto sociosanitario n° 2 dell’Ulss 3 Serenissima e mebro del direttivo della Fondazione Ars Medica
Chiara Semenzato, collaboratrice giornalistica OMCeO Provincia di Venezia

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Segreteria OMCeO Ve
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