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Le insidie nascoste nel pesce, soprattutto crudo
Data di inserimento: Venerdì, 06/10/17 - Segreteria OMCeO Ve
Batteri, virus, tossine, metalli pesanti: sono tanti i rischi per la salute dell’uomo derivanti dal consumo di pesce: soprattutto negli ultimi anni a causa della diffusione della moda di mangiarlo crudo. Una cottura a 60 gradi per alcuni minuti, infatti, o la giusta permanenza nell’abbattitore scongiurano molti dei pericoli esistenti e ridurrebbero non di poco il lavoro dei professionisti sanitari, medici e veterinari.
È quanto è emerso ieri sera, giovedì 5 ottobre, nell’ultimo dei 4 incontri organizzati insieme negli ultimi due anni dall’Ordine veneziano dei Medici Chirurghi e Odontoiatri e da quello dei Medici Veterinari: dopo aver parlato delle malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, di quelle derivanti da alimenti di origine animale e dell’antibiotico resistenza, in questa occasione si è approfondito il tema dei prodotti della pesca. Un tema di grande interesse: pienissima, infatti, la sala Caterina Boscolo con quasi un centinaio di professionisti presenti.
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«Quella degli ultimi tre anni – ha detto il presidente OMCeO Giovanni Leoni nei suoi brevi saluti iniziali – è stata una lunga cavalcata che ci ha portato ad avere contatti anche con altri ordini professionali: veterinari, farmacisti, avvocati, giornalisti. In particolare con i medici veterinari c’è stata una collaborazione che ci ha portato a condividere le patologie da un altro punto di vista. Sotto il profilo della cultura generale, è stato molto arricchente. Il tema di questa sera è di estremo interesse: viviamo in un territorio a strettissimo contatto con la laguna, che ha avuto prima un’evoluzione conservativa, ma che poi negli ultimi 50-70 anni abbiamo inquinato non poco…».
«L’obiettivo che volevamo raggiungere – ha spiegato a sua volta Sandro Zucchetta presidente dell’Ordine veneziano dei Veterinari – quando abbiamo avviato questa collaborazione, era quello dell’One Health, una sola salute per tutti, per tutte le professioni sanitarie che devono imparare a comunicare tra di loro per dare al cittadino il servizio migliore possibile. L’uomo è sempre al centro, è lui l’obiettivo finale del nostro impegno».
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La parola è passata, quindi, al primo dei relatori, Paolo Antonetti, dirigente del Distretto veneziano dell’Unità operativa Veterinaria dell’Ulss 3 Serenissima, che si occupa dei controlli proprio sui prodotti della pesca: a lui il compito di raccontare quali siano i rischi sanitari connessi al consumo di prodotti ittici. Più che di malattie, dunque, ha parlato dei tre rischi che si corrono:
- rischio fisico, legato cioè all’anatomia degli animali e agli attrezzi usati dall’uomo per la cattura o la conservazione: la tracina e il pesce ragno, ad esempio, sono traumatizzanti per le spine, ma anche per ghiandole velenifere o ancora le bocche, armate di denti, «che non sono da scherzare» della rana pescatrice, del merluzzo o del dentice;
- quello chimico, cioè la presenza di sostanze chimiche – anche metalli pesanti come il mercurio, il piombo e il cadmio – estranee alla biologia dell’animale, che il pesce può accumulare lungo la sua vita o nel suo habitat: il rischio chimico acuto è ormai un evento molto raro dal verificarsi, la tossicità cronica, provocata dal lento accumulo di questi metalli, è abbastanza controllata perché sono stati emessi limiti rigorosi e si eseguono attività di monitoraggi;
- quello biologico, cioè i parassiti e le biotossine.
«Non vi parlerò di tutto – ha spiegato il veterinario – perché vorrei porre l’accento soprattutto sui pericoli emergenti legati proprio alla moda di mangiare i prodotti ittici crudi, moda che aumenta la possibilità di patologie».
Il dottor Antonetti si è così soffermato sul rischio biologico nel mangiare, ad esempio, i molluschi bivalvi vivi (MBV) – ostriche, vongole, mitili, tartufi – che sono animali sedentari e hanno una grande capacità di filtrare e conservare a lungo al loro interno le sostanze tossiche. Animali in cui possono essere presenti tutti i pericoli: virus e batteri, tossine, derivanti dalle alghe, e metalli pesanti. «La contaminazione biologica, però – ha sottolineato il dottor Antonetti – spesso più che diretta, dovuta cioè alla dispersione in mare di contaminanti, deriva in realtà dalle attività secondarie dell’uomo, le manipolazioni che il prodotto subisce dopo, quando esce dai centri di depurazione e viene confezionato. Trasporto, distribuzione, commercializzazione, ristorazione sono attività in cui aumenta la possibilità del prodotto di essere contaminato da cattiva manipolazione o da sbalzi di temperatura».
Altro tema sotto la lente di ingrandimento quello delle tossine con una lunga rassegna di pesci – pesce luna, pesce palla, pesce istrice – considerati tossici e, perciò, tolti dai banchi del mercato e dalle tavole. «Il rischio, però – ha spiegato il relatore – non è remoto perché queste specie si stanno diffondendo anche nel Mediterraneo che si sta tropicalizzando. Alcuni tipi, poi, possono essere scambiati involontariamente o fraudolentemente, e quindi venduti, per la rana pescatrice e la coda di rospo».
Tanti i rischi biochimici e le parassitosi analizzati durante la relazione: l’istamina e la sindrome sgombroide, legata ad esempio alla cattiva manipolazione del tonno e che ha fatto registrare casi ripetuti a livello di ristorazione; la pennella, crostaceo parassita del tonno o del pesce spada; la typanorhinca, larva che vive nell’intestino degli squali; i microsporidi, protozoi che danno origine a cisti nell’animale; il dyphyllobopthrium, parassita che riguarda i pesci d’acqua dolce come lucci, carpe e trote; l’anisakis, che colpisce merluzzi, aringhe e pesce azzurro, il cui unico rimedio è l’abbattitore perché resiste alla cottura.
Rischi tanti, dunque, indispensabili, quindi, i controlli. A Piero Vio, già presidente dell’Ordine dei Veterinari in due precedenti mandati e oggi direttore dell’Unità complessa area B Distretto del Veneziano dell’Ulss 3 Serenissima, il compito di illustrarli.
«I servizi veterinari dell’azienda sanitaria – ha esordito – non fanno più un’attività di controllo puntuale, ma un’attività di controllo su un sistema. Questa è la grande novità introdotta dal 2006 dall’Unione Europea. I controlli, insomma, devono essere sviluppati sulla filiera produttiva: dal campo o dall’acqua alla tavola. Questo deriva dalle valutazioni fatte dopo le emergenze sanitarie di questi anni, dall’influenza aviaria alla mucca pazza: non avendo certezza di cosa si consumava, si preferiva buttar via tutto. Con costi, però, pesantissimi. L’Unione europea non ha cambiato la mission del nostro lavoro, che è e resta la tutela della salute umana, ha cambiato l’approccio».
Il dottor Vio ha poi spiegato quali siano le responsabilità dell’operatore e quali quelle del controllore, come si stilino ogni anno graduatorie per l’analisi del rischio, andando a fare controlli in particolare nelle strutture considerate più pericolose, come il lavoro delle aziende sanitarie – monitoraggio, audit, ispezioni, campionamenti – si basi sulla programmazione annuale dei controlli, legata alle risorse disponibili e alle attività presenti sul territorio.
«La nostra – ha aggiunto con una nota vagamente polemica – è un’attività costante, metodica, silenziosa. Non andiamo sulla stampa, sui media, ma i controlli in Italia sono adeguati e rigorosi. L’apporto dei carabinieri dei NAS, della guardia di finanza e delle capitanerie di porto è fondamentale per l’approccio investigativo. Il nostro, invece, è un approccio di prevenzione: le due cose insieme portano risultati, se ce n’è una sola il tutto è più difficile e costoso. La differenza è che i nostri risultati si vedono nel lungo periodo, i loro sull’immediato e sono più d’impatto nell’opinione pubblica. Ma per riuscire a far cambiare un’abitudine malsana, scorretta, pericolosa ci vuole molto più tempo».
Dopo i veterinari, la parte conclusiva della serata è toccata a un medico, Stefano Grandesso, da qualche giorno responsabile del Laboratorio Analisi Chimico-Cliniche e Microbiologia del Distretto di Dolo-Mirano, dopo aver ricoperto a lungo lo stesso ruolo all’Ospedale dell’Angelo di Mestre.
Parlando del pesce pericoloso per l’uomo, il medico ha analizzato tutti i batteri, le tossine, i parassiti che ne mettono a rischio la salute, individuandone l’origine e i sintomi che provocano, gli apparati che colpiscono, le terapie da attuare, raccontando i casi concreti e la loro localizzazione geografica. Gastroenteriti, inappettenza, diarrea, vomito, dolori addominali i tratti comuni a quasi tutte le patologie. Tra i consigli più utili: conoscere bene il pesce, cuocerlo a 65 gradi, congelarlo a -20 gradi per una settimana, lavarsi spesso le mani per evitare la diffusione dei batteri.
Il dottor Grandesso si è soffermato, ad esempio, sul vibrio parahaemolyticus, batterio abbastanza frequente – 45mila casi all’anno tutti di origine alimentare: ostriche crude e calamari, ad esempio – che colpisce soprattutto gli immuno-compromessi, i bambini e gli anziani, e chi consuma pesce crudo o cotto impropriamente.
Ma anche il plesiomonas, l’aeromonas, la shigella, germe ben conosciuto, il batterio del colera, di cui esistono 140 tipi: 139 producono una tossina che provoca epidemia e pandemia. Quella registrata nei primi anni Novanta in 16 paesi ha provocato 5mila morti, l’ultima ad Haiti nel 2010 – 2011 ha visto 250mila casi e, anche qui, quasi 5mila morti.
Tra i parassiti, il medico ha parlato poi di opistorchidosi – un verme che vive nel fegato dell’uomo, che arriva dal Sud Est asiatico e dalla Cina e che in Europa è diffuso nei paesi con tanti laghi e fiumi – di difillobotriasi e plerocercosi, pericolosi per il consumo di pesce crudo d’acqua dolce, come il persico o la trota, di clinostomosi – malattia particolare che parte dagli uccelli che mettono il becco in acqua liberando le uova dei parassiti e che, stranamente, nell’uomo si localizza nella gola con tosse, laringite e faringite – l’heterophidosi e l’anisakis che, per fortuna, è abbastanza facile da vedere. «Nessuna area destinata a pesca – ha sottolineato il dottor Grandesso – può essere considerata totalmente salva da parassiti di anisakis. A rischio, insomma, sono anche la coda di rospo, la rana pescatrice, il merluzzo, l’acciuga, il pesce sciabola, le aringhe, le ricciole, il branzino».
Fondamentale per il medico diventa allora l’anamnesi del paziente, che deve essere accurata. Tre le domande da fare assolutamente: da dove viene il paziente, cosa ha mangiato e dove lo ha mangiato. «Un altro problema – ha concluso – è la richiesta di analisi: quando il medico di base sospetta qualcosa cosa può chiedere? Se chiede solo l’analisi delle feci, andiamo a cercare salmonella, shigella e campylobacter, ma non tutto quello di cui abbiamo parlato finora. Per cercare vibrio o yersinia ci sono voci a parte. La cosa più importante, però, è che creiamo un contatto: se avete un dubbio alzate il telefono e chiamateci».
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia
Segreteria OMCeO Ve
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