Pediatri in prima linea contro il Covid. L’intervista a Mattia Doria

Il sovvertimento totale per i pediatri delle loro abitudini assistenziali e cliniche. Le reazioni inaspettate dei bambini che, comunque, sembrano ammalarsi di meno. La presa di coscienza, forse altrettanto inaspettata, dei genitori. Il bisogno di analizzare meglio i dati, scorporandoli. Ma anche la necessaria maggiore attenzione, e forse una nuova riorganizzazione, per le cure primarie e la medicina del territorio, destinando risorse opportune e facendole diventare protagoniste anche sui tavoli che contano.
In prima linea contro la pandemia da Covid-19 ci sono anche i pediatri di libera scelta, che hanno visto rivoluzionata la loro attività, ma che, come i medici di famiglia, non si sono tirati indietro, ad esempio, quando è stato loro chiesto di rendersi disponibili per i tamponi rapidi. Nonostante le difficoltà.
Di tutto questo abbiamo parlato con Mattia Doria, pediatra a Chioggia, ma anche coordinatore delle attività del Centro Studi Veneto per la Formazione e la Ricerca in Pediatria Territoriale (CESPER) – che progetta e realizza attività formative per pediatri, medici di medicina generale, infermieri, farmacisti e ricerche di tipo epidemiologico nell’ambito delle cure primarie pediatriche – e soprattutto segretario nazionale alle Attività Scientifiche ed Etiche della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), ruolo che lo ha portato a coordinare il gruppo di lavoro che ha predisposto lo scorso maggio il Vademecum del pediatra di famiglia contro il Covid.

Dottor Doria, come è cambiato, se è cambiato, il lavoro quotidiano dei pediatri in tempo di pandemia?
C’è stato un vero sovvertimento delle abitudini assistenziali e cliniche del pediatra di famiglia, che, soprattutto nella prima fase della pandemia, ha dovuto modificare molte sue attività. L’accesso allo studio, ad esempio, molto più limitato. La necessità, inoltre, per ridurre i rischi, che ad accompagnare il bambino sia sempre un solo genitore. Ancora: l’organizzazione stessa dell’ambulatorio. E poi il rapporto con il telefono che per il pediatra è sempre stato un elemento importante di contatto con le famiglie, per dare consigli di pratica quotidiana, ma che in questo periodo si è ulteriormente intensificato e allargato all’intera giornata.

Anche voi, immagino, vi bardate dalla testa ai piedi per ricevere i pazienti… Come reagiscono i più piccoli a questa novità?
Io ero abituato a visitare addirittura senza camice, perché è un potenziale veicolo di infezione se non viene cambiato quotidianamente. Sono rimasto molto sorpreso dall’approccio positivo dei bambini. Nei bilanci di salute, soprattutto con i più piccoli, una delle prime cose che si valuta è la sua capacità di interazione, mettendo in atto strategie di richiamo come sorrisi, parole scandite, piccole smorfie. Cose oggi limitate… Beh, la capacità del bambino molto piccolo di cogliere il sorriso dagli occhi del pediatra mi ha sorpreso parecchio. Non ho avuto un bimbo che abbia pianto più di quanto non facesse prima. Poi è importante anche come i bambini vengono accompagnati alla visita in studio: se vivono un clima sereno e tranquillo a casa e il genitore non enfatizza la visita dal dottore, è tutto più semplice.

I genitori, invece, sono cambiati? Come hanno preso la pandemia e come la stanno vivendo?
I genitori finalmente si sono resi conto di ciò che da sempre dicono i pediatri: le frequenti infezioni, soprattutto alle vie respiratorie, che i bambini prendono nei primi 4-6 anni di vita, sono legate alla frequenza della comunità infantile, non a problemi del bambino. Infatti durante il primo lockdown, con le scuole chiuse, noi abbiamo visto svuotarsi i nostri studi: certo perché non ci si poteva muovere, ma anche perché i bambini, soprattutto i più piccolini, si sono ammalati di meno, e i pediatri di famiglia hanno messo in campo un’ininterrotta attività di supporto telefonico con attività di triage strutturato e di gestione a distanza (anche con strumenti di telemedicina) dei più frequenti problemi di salute dei bambini. Tali azioni hanno favorito, inoltre, una significativa riduzione degli accessi all’ospedale.
C’è però anche un altro aspetto: la fatica del genitore durante la fase di lockdown di non poter contare sulla presenza, se non prevalentemente telefonica, del pediatra a cui spesso prima si rivolgeva anche per le cose più semplici e non urgenti. Anche in questo, però, c’è una funzione educativa: ha ridimensionato l’approccio all’utilizzo dei servizi, ora orientati più al necessario.
Molte difficoltà, comunque, sono state superate dalla sensibilità dei colleghi che subito hanno attivato strumenti di contatto a distanza: telemedicina, messaggistica, e-mail facilitano i contatti.

Ci sono differenze tra la prima e questa seconda ondata di pandemia?
Durante la prima fase c’era un po’ la preoccupazione anche nostra perché i dati che arrivavano sul riflesso della malattia sull’età pediatrica non erano chiari. I bambini, restando a casa, non hanno avuto occasione di ammalarsi, se non attraverso i contatti familiari.
In questa seconda ondata è rilevante l’aumento della diffusione del virus anche in età pediatrica. I dati dicono che fino a giugno fatto 100 il numero dei casi positivi nell’età 0-19 anni avevamo il 2,5%, un numero molto basso. Da settembre in poi, invece, c’è stato un aumento esponenziale e ora siamo arrivati al 12,5%. Tra queste positività, però, gli ammalati e soprattutto gli ammalati gravi sono davvero molto pochi.
Il problema, però, resta: il bambino è un diffusore del virus non tanto inferiore a un adulto, quindi, se si ammala, può diffonderlo a soggetti più a rischio, come ad esempio i nonni.

Altre differenze?
C’è un’altra differenza importante tra la prima e la seconda ondata, che abbiamo vissuto in particolare alla riapertura delle scuole: la sovrapposizione dei sintomi da Covid a quelli di altri virus delle vie respiratorie ha determinato la necessità di verificare molto più di prima il tipo di infezione, sottoponendo una marea di bambini al tampone per escludere la presenza del coronavirus. Nell’adulto il problema è relativo perché non si prende un virus alla settimana, il bambino, invece, per sua natura e per l’immaturità del suo sistema immunitario sì.
Noi eravamo preparati a questo, ma il sistema no: all’inizio l’accesso all’esecuzione dei tamponi è stata difficoltosa. Nel nostro territorio, però, siamo stati più fortunati: il Veneto in generale e la provincia di Venezia in particolare si sono sempre dimostrati molto più efficienti di altre realtà.

Un problema che si riproporrà anche nelle prossime settimane con l’arrivo dell’influenza stagionale?
Stiamo tutti “tremando” per il periodo dopo le feste di Natale con l’arrivo anche dell’influenza stagionale. Però, dal punto di vista epidemiologico, basandoci solo sui nostri dati empirici, posso dire che in questo periodo stiamo vedendo una bassissima patologia, rispetto al numero di visite per bambini ammalati che facevamo negli anni scorsi. Vedo pochi bambini ammalati e principalmente quelli più piccoli che non riescono a portare la mascherina: le misure di protezione generali – la mascherina, il lavarsi spesso le mani – sono estremamente efficaci per favorire una bassa circolazione dei virus.
Speriamo che questa riduzione funzioni anche per il virus influenzale e che, combinata alla campagna vaccinale, faccia avere un impatto meno importante all’epidemia influenzale. Raccomandiamo, però, sempre grande responsabilità anche nel periodo natalizio, dove si passa più tempo a casa.

Voi pediatri vi siete resi disponibili anche per fare i tamponi rapidi nei vostri ambulatori. Qual è oggi la situazione?
È stato sottoscritto un accordo collettivo nazionale che permette al pediatra di famiglia di fare i tamponi nel proprio studio ma con un’accezione particolare: gli ambulatori devono rimanere Covid free. I nostri studi sono pensati e strutturati per le cure primarie: spesso c’è un solo accesso o non ci sono sale dedicate all’isolamento dei potenziali infetti. Per questo l’accordo prevede che possiamo fare i tamponi per i contatti asintomatici, non per gli ammalati, o anche per i controlli di fine quarantena, non di fine isolamento per malattia.
A livello regionale è stato sottoscritto un protocollo di attuazione di questa direttiva che in questi giorni stiamo declinando nelle varie aziende sanitarie. Anche con l’Ulss 3 Serenissima e l’Ulss 4 Veneto Orientale siamo in fase di chiusura della trattativa: in questo contesto come pediatri abbiamo offerto la nostra disponibilità a supportare le attività del SISP contribuendo all’esecuzione dei tamponi a livello di asili nido e scuole materne dei bambini contatti di positivi all’interno della classe.

Lei ha coordinato per la FIMP il gruppo di lavoro che ha prodotto a maggio un Vademecum destinato ai colleghi per affrontare la pandemia…
Fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, il 24-25 febbraio, ci siamo attivati per seguire l’infezione e per dare ai pediatri di famiglia degli strumenti operativi man mano che arrivavano conoscenze e indicazioni delle istituzioni sanitarie. Questo per tradurre in “pediatrichese” ciò che purtroppo viene definito in modo uniforme per tutte le età. C’è poca attenzione, infatti, al mondo pediatrico quando si emanano circolare e direttive.
Ma il Covid nel bambino non è uguale a quello nell’adulto… E infatti i dati andrebbero elaborati per capire di più cosa succede nel mondo pediatrico. Il raggruppamento dei dati ufficiali in un range d’età 0-19 anni è incredibile: il bambino di 2 non è come quello di 6. All’interno del mondo pediatrico ci sono specificità fisiche, immunitarie, neuorpsicologiche che non possono far rientrare tutti in un’unica categoria.
Pian piano, comunque, abbiamo creato documenti di supporto, inviandoli ai colleghi. Alla fine abbiamo strutturato e messo a sistema tutto questo lavoro realizzando il Vademecum, apprezzato non solo dai pediatri ma anche dal professor Brusaferro dell’Istituto Superiore di Sanità. Noi non lavoriamo per la nostra categoria, lavoriamo per la salute dei bambini.
Recentemente, infine, non tanto come FIMP ma proprio come Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, abbiamo contribuito alla stesura della Nota Tecnica dell’ISS, rilasciata l’8 novembre, sull’operatività del MMG e del PLS in relazione agli agli standard organizzativi necessari per eseguire i tamponi in sicurezza.

Questa pandemia, secondo lei, cambierà l’organizzazione delle cure primarie e della medicina del territorio?
Uno degli auspici dal confronto continuo con il ministro Speranza è di poter dotare tutti gli ambulatori dei pediatri di famiglia di personale di studio (infermiera) sia per le attività della pandemia, sia per ottimizzare quelle assistenziali post pandemia. Speriamo che finalmente si forniscano alle cure primarie tutte quelle dotazioni organizzative e di supporto indispensabili per realizzare davvero la medicina del territorio di cui oggi i cittadini hanno bisogno.
Tutti parlano di territorio, ma al territorio non è mai arrivato “un euro”. Ora forse si muove qualcosa, con la dotazione, ad esempio, degli studi dei pediatri di famiglia della diagnostica di primo livello (self help) prevista dal nuovo ACN stralcio sottoscritto a fine ottobre. Le cure primarie devono adattarsi a come si è modificata la salute, ma servono risorse e una riflessione profonda sul rimodellamento dell’assistenza.
Una rivendicazione però la facciamo: coinvolgiamo di più le cure primarie nei tavoli decisionali. Se è vero che la battaglia contro il Covid si vince sul territorio, è incredibile che sui tavoli decisionali, nei comitati tecnico-scientifici nazionali e regionali non siedano la medicina generale e la pediatria di famiglia. Sono sicuro che, se questo fosse avvenuto, alcuni errori, alcune sbavature, alcuni ritardi si sarebbero evitati. Ma non è mai troppo tardi. Noi ci siamo e siamo sempre a disposizione.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Per il sito della FIMP clicca qui: www.fimp.pro

Per scaricare il Vademecum e gli altri materiali informativi sul Covid-19 della FIMP clicca qui: www.fimp.pro/materiale-informativo-coronavirus

Segreteria OMCeO Ve
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