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Responsabilità professionale: la nuova figura del CTU
Data di inserimento: Giovedì, 30/05/19 - Segreteria OMCeO Ve
Analizzare il ruolo dei periti e dei consulenti tecnici d’ufficio alla luce della legge sulla responsabilità professionale (la legge Bianco-Gelli, n° 24 del 2017) e del nuovo protocollo siglato dalla FNOMCeO con il CSM, il Consiglio Superiore della Magistratura, e il Consiglio Nazionale Forense. Questo l’obiettivo del convegno Il Medico nel Processo, organizzato sabato scorso, 25 maggio, alla Scuola Grande di San Marco dall’OMCeO veneziano, che ha visto insieme medici, odontoiatri, magistrati e avvocati per analizzare punti di forza e criticità sulla scelta dei professionisti che affiancano i giudici quando a processo ci sono gli operatori sanitari.
«Quello che oggi celebriamo – ha spiegato il presidente dell’Ordine e vice nazionale Govanni Leoni accogliendo i partecipanti – è un percorso che dovrebbe portare anche a un innalzamento del livello qualitativo del consulente, l’intellettualità che c’è dietro a un medico accusato. Perché non bisogna dimenticare che dietro a un medico accusato, c’è sempre un altro medico che lo accusa. E da qui tutta l’evoluzione».
Reduce da un altro appuntamento, il giorno prima a Zelarino dedicato proprio alle questioni medico-legali, il presidente della CAO lagunare Giuliano Nicolin ha sottolineato l’importanza degli incontri tra professionisti di discipline diverse che devono lavorare insieme, «purtroppo però – ha aggiunto subito dopo – spesso rileviamo che i colleghi non hanno la preparazione e la competenza giuste per affrontare i contenziosi. Più ci confrontiamo tra mondi diversi e più innalziamo il livello professionale, meglio sarà per tutti».
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Sempre attento alle iniziative dell’Ordine e spesso schierato al suo fianco, ha portato il suo saluto ai partecipanti il direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima Giuseppe Dal Ben che ha voluto ricordare gli altri momenti di incontro e confronto organizzati in passato a Venezia sul tema della responsabilità professionale. «Il tema – ha detto – è importantissimo: oggi si parla di consulenza tecnica. È giusto, come vuole la legge, arrivare ad avere un collegio di persone che dia un parere perché poi il giudice si affida molto a questa perizia tecnica. Siamo qui oggi per capire meglio come si sviluppa questo percorso».
A portare i saluti di Carlo Bramezza e dell’intera Ulss 4 Veneto Orientale è stata invece il direttore sanitario Maria Grazia Carraro, anche moderatrice della prima sessione di lavori con Andrea Bonanome, direttore del Dipartimento Medico dell’Ulss 3 Serenissima. «L’Ordine veneziano – ha sottolineato la dottoressa Carraro – supporta le nostre organizzazioni nell’affrontare tematiche molto complesse. È noto a tutti, infatti, come il contenzioso medico-legale sia ormai un grosso problema per i professionisti e per le aziende, che si lega in qualche modo anche al tema della carenza dei medici».
Altro partner spesso al fianco dell’Ordine, il Comune di Venezia, rappresentato in questa occasione da Paolo Romor, assessore all’Avvocatura Civica, nonché prosindaco del Lido, avvocato lui stesso e quindi particolarmente interessato al tema. «Questo convegno – ha spiegato – pone l’accento su un tema molto delicato. Il ruolo del consulente tecnico in questo tipo di contenziosi è doppiamente importante: da un lato perché spesso determina la soluzione della controversia, dall’altro perché molto spesso questi contenziosi portano con loro un grande carico emotivo e psicologico per tutte le parti coinvolte. Contribuire in qualche modo a migliorare il funzionamento della giustizia è uno dei migliori servizi che possiamo fare ai cittadini».
All’insegna della sinergia tra professioni, obiettivo da sempre molto caro all’OMCeO veneziano, la presenza in sala di tanti avvocati e del presidente dell’Ordine lagunare Giuseppe Sacco. «Sono ormai passati due anni – ha sottolineato – dal varo della nuova normativa. Già allora pensavamo che la legge avrebbe risolto qualche problema, ma ne avrebbe creati molti altri. Quei problemi sono ancora tutti sul tappeto e il CTU è uno di questi: oggi vedremo se si potrà trovare rapidamente una soluzione».
Prima di entrare nel vivo delle relazioni, la parola è passata anche a Gianluca Amadori, cronista giudiziario e presidente dell’Ordine veneto dei Giornalisti, che ha parlato brevemente dei rapporti tra la stampa e i contenziosi medico-legali e del ruolo dei giornalisti di fronte a notizie di carattere sanitario e interesse pubblico. «Come i medici – ha spiegato – anche l’informazione è spesso nel mirino. È in una fase di trasformazione epocale, viaggia attraverso i canali più diversi, si tende ormai a saltare la mediazione giornalistica. Io condivido la preoccupazione e anche un certo fastidio che le professioni mediche hanno nei confronti della stampa e di come tratta le notizie sanitarie: perché, è vero, c’è una tendenza a gridare sempre più forte. Ma viviamo in una società in cui tutti vogliono avere ragione e non sempre le colpe sono solo della stampa».
Il giornalista ha anche sottolineato come, di fronte alle notizie sanitarie e ai presunti casi di malasanità, il tema sia come scrivere queste informazioni, con che parole, con che approfondimento. «Parliamo di processi – ha concluso – di inchieste… Dobbiamo innalzare il livello della conoscenza e delle competenze: questa è la vera sfida per noi giornalisti per far crescere nei cittadini una sensibilità diversa dal titolo gridato. Auspico che, come già fatto con altre professioni, anche con i medici si possano fare percorsi comuni, si possano mettere insieme le esperienze».
Fiducia, trasparenza, rotazione, indipendenza e autonomia i principi, secondo Adelchi D’Ippolito, consigliere procuratore vicario della Repubblica di Venezia, che devono regolare la nomina del consulente d’ufficio, così come l’ha pensata la legge sulla responsabilità professionale. «È necessario – ha spiegato – che la perizia sia fatta bene perché spesso mettere la parola fine a una controversia. Deve essere svolta da un professionista che goda della fiducia del magistrato, ma sono necessarie anche altre esigenze: la trasparenza e la rotazione».
La rotazione soprattutto dà al consulente la garanzia di libertà, autonomia e indipendenza necessarie. «Il consulente – ha aggiunto il procuratore – non deve preoccuparsi di capire da che parte vuole andare il magistrato o di compiacerlo, ma solo di cercare la verità e di condurlo proprio lì, anche di correggerlo se necessario, se si accorge che è stata presa una strada sbagliata».
La consulenza, poi, secondo la normativa, deve essere collegiale. «È una cosa indispensabile – ha spiegato D’Ippolito – nella mia carriera ho visto responsabilità professionali del cardiochirurgo valutate dal dermatologo: è una cosa fuori dal mondo. Il legislatore, allora, è intervenuto: ora i consulenti devono essere almeno due, di cui uno esperto della materia del contenzioso».
Secondo la sua visione, insomma, il CTU – necessario perché il giudice non può avere tutte le competenze – deve rivendicare l’orgoglio di essere indipendente e incorruttibile, per cercare la verità da qualunque parte sia.
Al vicepresidente dell’OMCeO veneziano Maurizio Scassola, che ne ha seguito l’iter fin dall’inizio, il compito, invece, di illustrare il nuovo protocollo in materia siglato dalla FNOMCeO, dal Consiglio Superiore della Magistratura e dal Consiglio Nazionale Forenze. Medici, odontoiatri, giudici e magistrati tutti seduti a un tavolo per individuare una strada percorribile nella nomina dei CTU.
«La cosa straordinaria successa in questi ultimi anni – ha sottolineato in apertura della sua relazione – è che, proprio su iniziativa della magistratura con la sua settima commissione, si sono aperti un dialogo e un’alleanza fortissimi nell’ambito della legge sulla responsabilità professionale medica. La legge 24 del 2017 introduce parametri qualitativamente elevati per la revisione degli albi. Il modulo, che tra poco vi illustrerò, permette ai professionisti di acquisire consapevolezza e responsabilità di ruolo e di esprimere la capacità professionale, l’esperienza».
Il dottor Scassola è entrato poi nel dettaglio dei requisiti necessari per compilare il modulo che serve all’iscrizione agli albi, i titoli, la specializzazione, il diploma di Medicina Generale, i master, il curriculum vitae specifico, l’essere in regola con i crediti formativi, le competenze nella mediazione e nella conciliazione, l’appartenenza alle società scientifiche, l’attività svolta attuale e specifica. «Dobbiamo essere attenti – ha aggiunto – a ciò che scriviamo perché si entra in un’area di eccellenza e non si può essere superficiali».
Dopo aver spiegato che gli albi vengono revisionati ogni tre anni, che i protocolli locali devono recepire i suggerimenti a livello nazionale e che è necessario fare riflessioni approfondite per limitare il numero infinito di categorie, specializzazioni e branche, il relatore si è anche soffermato sul nuovo ruolo che gli Ordini dei medici devono giocare in questa partita. «Devono trovare gli strumenti – ha concluso Scassola – per garantire la qualità della formazione continua: un collega preparato è ben orientato, sbaglia di meno. Questa è anche un’occasione per rilanciare il rapporto, spesso a singhiozzo, con l’avvocatura e la magistratura».
Delle competenze specifiche richieste e del ruolo del medico legale si è occupato, invece, Enrico Pedoja, segretario della Società Medico Legale del Triveneto, che, come Scassola, ha seguito l’intero percorso del nuovo protocollo. «Abbiamo bisogno – ha spiegato – che siano i colleghi migliori a iscriversi agli albi. Dobbiamo sapere, ad esempio, quante operazioni ha fatto un chirurgo consulente perché il medico che subisce il contenzioso ha il diritto di essere valutato da un soggetto che abbia almeno analoghe competenze, che abbia svolto le stesse attività, che abbia le stesse capacità proprio sotto l’aspetto pratico».
Condizione necessaria per una buona nomina, comunque, resta la conoscenza da parte del magistrato dei presupposti che la regolano, la categoria, ad esempio, a cui appartiene il professionista, se è un chirurgo, un odontoiatra, un medico di famiglia… Due le figure a cui il giudice può fare ricorso: lo specialista medico-legale e lo specialista per materia. Il primo, attraverso la verifica tecnica degli elementi probatori specifici e certi, referti e consenso ad esempio, valuta se ci sia un nesso di causa tra l’evento avverso e la condotta medica; il secondo interviene, invece, sulla valutazione clinico-chirurgica del percorso diagnostico-terapeutico e del trattamento sanitario, spiegando, ad esempio, se sono state seguite le linee guida e osservate le buone pratiche.
Il dottor Pedoja ha illustrato, infine, anche il tentativo di conciliazione, «che – ha spiegato – ha due aspetti: quello tecnico e quello risarcitorio. La conciliazione tecnica è il riconoscimento dell’errore medico che ha determinato una conseguenza avversa, riconducibile a qualcosa di incongruo, connesso al trattamento sanitario. Solo il medico legale, poi, potrà dare i parametri che servono alla valutazione della stima del danno e convocare le parti per tentare una conciliazione risarcitoria».
Manca, però, il tempo per lo specialista attivo nel suo ambito – e questa è una delle criticità più evidenti – di dedicarsi anche alle consulenze d’ufficio che lo distolgono dalla propria attività lavorativa, facendogli perdere spesso intere mattinate tra tribunali e scartoffie. «Stiamo lavorando – ha concluso Enrico Pedoja – per facilitare l’accesso, rendere più snelle le procedure e fare una revisione degli onorari del CTU, che spesso non incentivano affatto ad assumersi l’incarico».
Tutta la seconda parte della mattinata di studio è stata dedicata a un’affollata tavola rotonda per riflettere sulla nuova figura dal CTU, moderata da due medici legali: Cristina Mazzarolo, anche consigliere dell’Ordine di Venezia, e Daniele Carraro dell’Ulss 4 Veneto Orientale.
Ospiti attivi del dibattito: l’avvocato Paolo Maria Chersevani, il medico legale Gianni Barbuti, il presidente della CAO veneziana Giuliano Nicolin, Roberto Merenda, direttore del Dipartimento Chirurgico dell’Ulss 3 Serenissima, avvocato di Padova Fabrizio Scagliotti e Salvatore Ventura, dirigente medico del Servizio di Medicina Legale dell’Ulss 3 Serenissima.
Tante le criticità emerse durante il dibattito:
- la discrezionalità con cui il giudice ancora oggi difficilmente nomina un collegio di periti, affidandosi, invece, a uno solo consulente. Ma se, per esempio, il medico legale non c’è, chi fa la quantificazione del danno? (Fabrizio Scagliotti);
- il dubbio se, come vorrebbe il procuratore D’Ippolito, il consulente del PM sia davvero un consulente terzo e non di una parte. «Oggi invece – ha sottolineato il legale Paolo Maria Chersevani – c’è una propensione a seguire il quesito posto all’inizio»;
- il buco enorme “in cui sprofondare” che rappresenta, per i medici e gli odontoiatri, il consenso informato, per cui, secondo i legali, nessuno riesce a difendere questi professionisti;
- la scarsa chiarezza del protocollo in merito alle “speciali competenze” che il CTU deve dimostrare: l’anzianità? Il numero di incarichi o di interventi? La rotazione in base a che criteri? (Cristina Mazzarolo);
- il fallimento, secondo il medico legale Gianni Barbuti, dell’obiettivo di depenalizzare l’attività medico-chirurgica perseguito dalla legge Bianco-Gelli. «Il concetto di gradazione della colpa – ha spiegato – non è insito nel nostro ordine penale. In Inghilterra tra il 1990 e il 2005 ci sono stati 38 processi penali; in Italia la sola Cassazione ne gestisce 60 all’anno. C’è qualcosa che non funziona»;
- l’eccessiva e rigorosa richiesta, da parte della legge, sempre secondo Barbuti, dell’applicazione delle linee guida e dell’affidamento alle buone pratiche clinico-assistenziali che, però, non hanno forza e valore di legge, dato che ne esistono di vari tipi;
- la subalternità, di fatto, dello specialista di materia rispetto al medico legale chiamato proprio a fare da tramite tra il collega e il giudice, che spesso non lo capisce e che ha bisogno di veder tradotti in “legalese” i dubbi che gli sono posti dal tecnico (Roberto Merenda);
- la necessità di avere consulenti che non facciano le consulenze per mestiere, ma che continuino ad impegnarsi nella loro attività lavorativa e ad operare sui pazienti. «Solo così saranno veri specialisti della loro materia», ha sottolineato Giuliano Nicolin che poi si è chiesto anche se non siano troppi i requisiti inseriti nel protocollo e se non si debba rendere il tutto un po’ più snello;
- il problema dei compensi per i CTU, considerati risibili e assolutamente fuori mercato (Scagliotti), e la disparità economica tra il consulente di parte e quello d’ufficio che fa spostare l’asticella in un’unica direzione (Merenda);
- la necessaria multidisciplinarietà nell’approccio a queste tematiche, confermata dal vice nazionale Giovanni Leoni che ha raccontato la recente esperienza della FNOMCeO che ha fatto sedere intorno a un tavolo tutte le categorie, gli ordini e le nuove professioni della sanità;
- la necessità, al di là dei requisiti e del protocollo, che a governare i contenziosi siano soprattutto il buon senso e l’equilibrio e la possibilità per il professionista, che sa di non avere le competenze giuste, di rinunciare all’incarico (Salvatore Ventura).
I problemi, insomma, ci sono e non sono pochi, a partire dal fatto che le linee nazionali ancora non sono state recepite a livello locale. «Ma oggi – ha detto chiudendo il convegno Mario Giordano, consulente legale dell’OMCeO veneziano – abbiamo anche tante persone che se stanno occupando. E confido che, piano piano, si arrivi a trovare soluzioni equilibrate».
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia
Segreteria OMCeO Ve
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