Riflessioni a conclusione dei Mercoledì filosofici dell’Ordine.

Riflessioni a conclusione dei  Mercoledì filosofici dell’Ordine: nuove  prospettive per ripensare l’agire medico e ridare significato alla nostra professione.

E’ arrivata a conclusione la serie dei mercoledì filosofici dell’Ordine dei Medici; appare a questo punto opportuno tentare di tracciarne una possibile mappa.

La collaborazione Medicina-Filosofia partita un paio d’anni fa poneva domande un po’ indirette, tanto che sembrava che il nodo fosse di carattere comunicativo, appariva che le istanze emergenti dalla rottura di vecchi schemi avessero bisogno di un canale più aperto e di codici più appropriati.

Il convegno del settembre scorso affrontava la riflessione scendendo nella profondità della scelta professionale alla ricerca del centro magmatico creativo e vocazionale intenzionati come eravamo a recuperare motivazione per imprimere nuova energia all’azione di una classe medica un po’ in difficoltà, visibilmente bisognosa di cura. Ma ancora una volta il centro del problema non si era palesato.

Avevamo bisogno degli appuntamenti del mercoledì e del conclusivo simposio guidato dal nostro simposiarca preferito prof. Luigi Vero Tarca, per portare a maturazione un'idea, per aiutarci socraticamente a mettere al mondo una verità.

Condotti e guidati nella lettura di Camus e Fanon ci siamo mossi nei territori delle pestilenze del corpo e dell’anima, per metterci nei panni di quei medici eticamente monumentali, per misurare la realtà con il racconto, per sciogliere i nodi del quotidiano nello squarcio aperto dalla narrazione, per comprendere attraverso la metafora il reale.

L’evidenza della necessità scaturita dai brevi scritti personali prodotti nei laboratori del mercoledì, e pure negli incerti (e forse un po’ increduli), ma numerosi, interventi, e più marcatamente negli articolati e composti “compiti per casa”, ha trovato una sintesi piuttosto complessa che chi scrive interpreta così:

E' necessario che il medico, l'uomo e il tecnico senza separazione, ritrovi lo spazio, sottratto o perduto, dell'applicazione etica della propria professionalità e umanità. La questione è squisitamente politica.

Il campo aperto dell'applicazione etica della professione medica è stato via via modificato, costretto entro confini sempre più angusti, addirittura tracciato come un sentiero obbligato ed è evidente come il medico provi in simili condizioni un senso di imminente asfissia. Com'è possibile una azione etica se non c'è spazio alcuno per la scelta su cui l'etica appunto si realizza? Si è gradualmente sacrificato lo spazio dell'umano, quello dell'intuizione luminosa, della visione d'insieme che permette di cogliere ciò che nei libri di medicina  non è possibile scrivere. Di sicuro una immane perdita.

Qual è il punto in cui il medico passa dall'essere professionista del prendersi cura,  a vestire i panni (e troppo spesso a gestire i pensieri) del burocrate? Quando il compositore di sinfonie si ritrova strumento?

La consapevolezza o l'intuizione di tale condizione crea molta sofferenza, come di un tradimento, come un'amputazione.

Diceva il dottor Frantz Fannon nella sua Lettera al Ministro residente: “Gli attacchi continui ai valori più elementari non si accordano con gli intenti che informano l'esistenza individuale. Da molti mesi la mia coscienza si dibatte in conflitti senza via d'uscita. La conclusione è la volontà di non disperare dell'uomo, vale a dire di me stesso.”

Di certo la nostra attuale situazione politico-sociale non è quella dell'Algeria degli anni cinquanta del dott. Fanon, ma non sottovalutiamo il disagio di chi in corsia o in ambulatorio si sente “in guerra” con grandi quantità di munizioni e di armi altamente sofisticate, ma senza , o con pochissima, possibilità strategica.

I nostri medici probabilmente non hanno bisogno di dimettersi davanti al Ministro della Salute come fece il dott. Fanon, ma potrebbero far giungere una voce forte e chiara perché la riapertura di quello spazio o il suo ri-conoscimento potrà ridare equilibrio all'agire medico, lo motiverà e gli restituirà senso. L'arte che ha completamente rapito il giovane studente di medicina, che ha motivato il suo studio e la sua dedizione ha bisogno di ridefinizione, di restituzione.

Credo che il ripensare l'agire medico significhi contemporaneamente rivedere la figura del medico, perché in quel luogo non ci sarà separazione tra il medico e la sua azione, egli non avrà bisogno di tornare a dividersi dal suo agire per salvarsi dallo sbranamento o, peggio, dalla dispersione; egli sarà la sua arte e anche altro, un sovrappiù che si nutrirà e renderà nutrimento. 

Quel luogo sarà riservato, dedicato, pacifico e creativo.

D.ssa Tiziana Mattiazzi

(Libera Associazione d’Idee)                                                                                

Segreteria OMCeO Ve
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