Tutta la verità sulle allergie alimentari

Un argomento, quello delle allergie alimentari, di grande interesse, che suscita tante domande, su cui c’è molto da dire e su cui bisogna fare chiarezza. Con queste parole la presidente della Fondazione Ars Medica Ornella Mancin ha accolto sabato 16 novembre i numerosi partecipanti al convegno Allergicamente – L’allergia alimentare tra falsi miti e difficili verità organizzato dall’OMCeO lagunare con la collaborazione di Maurizio Franchini, coordinatore della sezione Triveneto dell’Associazione Allergologi e Immunologi Italiani Territoriali ed Ospedalieri (AAIITO) e il patrocinio delle due aziende sanitarie veneziane, Ulss 3 Serenissima e 4 Veneto Orientale.
«L’allergologia – ha esordito il dottor Franchini, anche responsabile dell’ambulatorio allergologico dell’Ulss 4, accennando ad alcune delibere confuse emanate dall’Aifa negli ultimi anni – sta vivendo un momento difficile. Non sappiamo bene dove stanno andando la diagnostica allergologica e soprattutto la terapia specifica. La specializzazione, poi, vive in questo periodo una sorta di banalizzazione: sono tutti allergologi, prima di tutto i pazienti».
Nel sentire comune l’allergologia è la specialità dei pomfi e ha test per tutto, anche se sono decine, forse centinaia ha spiegato Franchini, quelli fasulli, senza alcuna evidenza scientifica, in particolare nel campo delle allergie alimentari. La specialità delle fake news, insomma. «La verità, invece, - ha sottolineato il medico – è che solo 4 pazienti su 10 escono dall’ambulatorio con una diagnosi definitiva di allergia». Un numero che denuncia un enorme spreco di risorse, tanta inappropriatezza prescrittiva, la difficoltà di gestire un paziente sempre più esigente, come spiegherà di lì a poco nella sua relazione proprio la dottoressa Mancin.
Primo consiglio allora: scaricare dal sito dell’AAIITO – www.aaiito.it lo si trova in home page nelle notizie in evidenza – il fascicolo Appropriatezza prescrittiva della diagnostica allergologica: bisogni, sogni ed incubi che può aiutare medici di famiglia e pediatri, ad esempio, a indirizzare i propri sospetti.

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In allegato il pdf di sintesi messo a disposizione dal dottor Maurizio Franchini.

La mattinata si è aperta, allora, con la prima sessione – moderata da Andrea Zancanaro, responsabile ambulatorio di Allergologia, Oc Mestre, ed Emanuela Blundetto, medico di famiglia e segretaria dell’Ars – proprio con Ornella Mancin, medico di famiglia a Cavarzere, che prima ha illustrato come il paziente sia cambiato nel corso degli ultimi anni, diventando un cittadino consapevole dei propri diritti e deciso a contrattare le cure di cui ha bisogno, poi ha analizzato i fattori socio-culturali-economici che hanno favorito questa trasformazione: dall’autodeterminazione del malato al desiderio/promessa di immortalità, dallo sviluppo tecnologico all’accesso incondizionato alla conoscenza attraverso internet e i social, dalla perdita di autorevolezza da parte dei camici bianchi al loro essere impreparati a una nuova, diversa comunicazione con il paziente. «Noi oggi – ha sottolineato – possiamo solo fare delle proposte ai nostri pazienti. Loro, poi, fanno responsabilmente le loro scelte, che noi dobbiamo accettare, anche se facciamo fatica e magari non le condividiamo».
Le esigenze del paziente tendono così ad espandersi all’infinito e si scontrano con l’autonomia del medico che, fondandosi su scienza e coscienza e sulla propria preparazione, dovrebbe decidere le cure più appropriate. In questa situazione di stallo «è necessario allora – ha aggiunto la dottoressa Mancin – un nuovo patto sociale tra medico e paziente, in cui quest’ultimo abbia non solo diritti, ma anche doveri e responsabilità. Dal canto suo, invece, il medico deve informare il paziente in maniera esaustiva, condividere il percorso di cura, accettare che il paziente diventi coautore della propria cura e accettarne anche il diritto all'autodeterminazione». Un nuovo patto, insomma, che richiede una corresponsabilizzazione, cioè una condivisone dei rischi, degli errori e delle possibilità.

Si è poi entrati nel vivo dell’argomento, sottolineando ripetutamente la differenza tra allergie alimentari e intolleranze, con gli esperti che ne hanno illustrato le caratteristiche sia per il paziente adulto – Alessandro Scarpa, dirigente medico UOSD Dermatologia, OC Mirano, e Moira Busa, dirigente medico SAI in Allergologia – sia nel bambino – Silvia Callegaro e Rossella Semenzato, UOC Pediatria, OC Mestre, che ha portato come esempio anche alcuni casi clinici pratici.
I relatori si sono soffermati in particolare:

  • sulle reazioni avverse provocate dagli alimenti, quelle tossiche e quelle non tossiche;
  • sul fatto che se le orticarie durano più di 24 ore non solo di origine alimentare;
  • sulla gravità dei sintomi dopo l’ingestione dell’alimento e sulla rapidità con cui si presentano;
  • sui cofattori e sulle comorbilità che possono incidere sulle reazioni;
  • sugli alimenti più legati alle allergie: latte, uova, crostacei, frutta in guscio, arachidi e frumento;
  • sull’anamnesi e sulla decisione di chi inviare o meno il paziente all’ambulatorio specialistico;
  • sulla capacità di interpretare i test allergologici sempre correlandoli alla storia clinica del paziente;
  • sul trial di eliminazione dalla dieta dell’alimento sospetto e sul test di provocazione orale per fare una diagnosi corretta;
  • sull’illustrazione e l’interpretazione dei test a disposizione, in particolare quelli per la ricerca dell’IgE spceifico e quelli con le molecole ricombinanti. «Dal punto di vista pratico – hanno aggiunto il dottor Scarpa e la dottoressa Callegaro – la diagnostica molecolare ci serve per valutare i rischi che corre un paziente che sospettiamo allergico a qualcosa, uno strumento per definire il potenziale di gravità delle reazioni».

Soffermandosi sulle intolleranze alimentari, diverse dalle allergie perché non legate al sistema immunitario, la dottoressa Busa ha anche illustrato quelle più comuni, gli alimenti che le provocano, il tipo di reazione e un’ipotesi di percorso diagnostico: l’intolleranza al lattosio, al fruttosio, quella dettata da sostanze farmacologiche presenti in alcuni alimenti (dall’istamina alla serotonina al glutammato), la sindrome sgombroide, le intolleranze da meccanismi non definiti, i nitriti nei salumi, ad esempio, o i solfati nei liquori e nei crostacei.

Illustrate le linee generali, la seconda parte della mattinata ha avuto un profilo diverso, si potrebbe definire quasi interattivo: gli esperti – a cui si è aggiunto Ruggero Dittali, biologo laboratorista dell’Ospedale dell’Angelo – hanno infatti raccolto le domande più diffuse in tema di allergie alimentari, dando uno a uno le risposte di loro competenza.
Questi i dubbi che si è tentato di chiarire:

  • Quando l’allergologo nega l’allergia: quale validità dei test alternativi?
  • Conservanti, coloranti, additivi, solfiti, lieviti: sono veleni o allergeni?
  • Dermatite atopica: ma quanto «atopica»?
  • Orticaria cronica: è allergia alimentare?
  • Il prurigo sine materia. «Mi gratto, quindi sono allergico, vero?»
  • Il «mal di pancia» (dell’allergico e dell’allergologo)
  • Le allergie alimentari sono pericolose tutte allo stesso modo? C’è differenza tra alimenti cotti e alimenti crudi?
  • Nuovi strumenti diagnostici in vitro, gli IgE sono ancora utili?
  • I test di screening sono utili?
  • L’allergia alimentare nel bambino deve considerarsi «per tutta la vita»?
  • La prevenzione in gravidanza ha ancora senso?
  • Big 5 o 8: quali sono gli alimenti principali che provocano le allergie?
  • L’alimento sospettato va sempre eliminato dalla dieta?
  • Allergia al nickel: cosa posso mangiare?
  • Le diete prive di nickel, glutine e stamina hanno un’efficacia provata?
  • Quando sospettare un’allergia alimentare?

Fugati molti dubbi, il dottor Maurizio Franchini e il dottor Andrea Zancanaro hanno prima cercato di dare una definizione di anafilassi e poi fatto una dimostrazione pratica sull’uso dell’adrenalina autoiniettabile.

Tanta carne al fuoco, insomma, e un tema che, pur non essendo stato esaurito, è stato scandagliato nel modo più ampio possibile. Ed alcuni messaggi i partecipanti se li sono portati a casa:

  • cercare di capire bene davanti a un paziente se si tratti di allergia o di intolleranza alimentare;
  • i test allergologici positivi non significano sempre reazione allergica – allergia e sensibilizzazione non sono sinonimi – e vanno interpretati solo sulla base della storia clinica del paziente;
  • i test allergologici negativi non escludono l’allergia alimentare;
  • i big 8, il ridotto numero di alimenti responsabile di oltre il 90% delle reazioni allergiche: latte, uova, soia, grano, arachide, frutta secca, pesce e crostacei;
  • le terapie per le allergie alimentari, con le immunoterapie orali che possono rappresentare una prima possibilità di trattamento per bambini affetti da allergie IgE immediata;
  • l’utilità clinica della diagnosi molecolare nella pratica quotidiana.

I test, insomma, aiutano ma non sono risolutivi. Per fare una buona diagnosi di allergia alimentare, il consiglio più volte ripetuto durante il convegno dai vari relatori è stato uno solo: fate sì che si accenda in testa una lampadina e pensate.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

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