Venezia in Salute 2021: è l’ora del cambiamento per la professione medica

La promessa, dal presidente della FNOMCeO Filippo Anelli, arriva alla fine del convegno: portare a livello nazionale le istanze di cambiamento per la professione emerse a Venezia. «Dal filmato che abbiamo visto – ha sottolineato chiudendo i lavori – viene fuori la necessità di una riflessione sul ruolo del medico dopo il Covid. È quello che dovremmo fare anche noi nel prossimo consiglio nazionale. Un altro messaggio forte che esce da qui è nei confronti della politica che dovrebbe fare un passo indietro sulla gestione della sanità e pensare di dare più ruolo ai professionisti e ai cittadini. Le testimonianze del filmato sono indirizzate tutte verso un unico obiettivo: migliorare la tutela della salute. Cosa ho imparato e cosa riesco ora a fare è un meccanismo intrinseco all’essere medico e porta la professione a mettere in moto processi e modalità organizzative che diano risposte adeguate. La professione si aspetta questo coinvolgimento importante».
Stimolare l’analisi e la riflessione: obiettivo centrato, dunque, per l’undicesima edizione di Venezia in Salute, #VIS2021, dal titolo C.O.V.I.D. – Cambiare Oggi Verso Il Domani che si è svolta sabato 16 ottobre al Padiglione Rama di Mestre, organizzata – purtroppo anche quest’anno, causa pandemia, senza il tradizionale incontro di piazza con i cittadini – dall’OMCeO veneziano con la sua Fondazione Ars Medica, e con il patrocinio di FNOMCeO, ENPAM, Comune di Venezia, Ulss 3 Serenissima e Ulss 4 Veneto Orientale.
Una mattinata di studi per capire come può la pandemia trasformarsi in una grande occasione per ripensare davvero la professione medica, in tutte le sue declinazioni, e, partendo dalle criticità latenti emerse in modo prepotente durante il Covid, attuare quei cambiamenti ormai indispensabili alla sanità.

Il video reportage, la voce dei medici
Il filmato di cui parla il presidente Anelli è il video reportage, presentato durante il convegno e che ne porta lo stesso titolo, smontando l’acronimo COVID e dandogli una nuova dimensione, realizzato da Dojo Studio, con la regia di Enrico Arrighi e le riprese di Marco Pieretto, su ispirazione e coordinamento di Gabriele Gasparini, presidente dell’Ars Medica, e di Chiara Semenzato, giornalista dell’Ordine.
Protagonisti medici, di diverse specialità, e odontoiatri veneziani che raccontano lo shock, la capacità istintiva di reagire e la presa di consapevolezza che il Covid ha regalato loro in questi anni di pandemia: il medico di famiglia Luca Barbacane, gli ospedalieri Lucio Brollo, Paolo Toffoletto, Maria Rosaria Calabrò e Giovanni Leoni, le odontoiatre Sara Brouwers e Giulia Nardin, il pediatra di libera scelta Mattia Doria, il medico e psicoterapeuta Marco Ballico.
«Quest’opera – ha spiegato proprio Ballico, coordinatore del Comitato scientifico dell’Ars Medica – raccoglie la testimonianza della vita dei medici, la loro voce, la loro parola, ma si inserisce in un filo rosso che lega le iniziative della Fondazione e dell’Ordine, iniziative pensate per i medici. Perché noi pensiamo che in un periodo come questo nulla come l’associazionismo e lo stare insieme nella nostra casa comune, che è l’Ordine, sia importante per lavorare meglio e resistere, per diluire le ansie, rafforzare la volontà, rinsaldare la vocazione e sostenere. Esattamente come abbiamo fatto con l’esperienza di P.E.S.C.O. La grande sfida del medico sarà coniugare la parola con la tecnica».

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La dimensione nazionale
«Quella che ci siamo trovati ad affrontare – ha spiegato il presidente dell’Ordine veneziano e vice nazionale Giovanni Leoni aprendo i lavori del convegno – è la prima pandemia dell’era mediatica, con tutte le problematiche che questo comporta: dalle informazioni scientifiche diffuse continuamente alla tanta disinformazione che ha caratterizzato un clima sociale e politico che noi viviamo anche nei suoi eccessi in quest’ultimo periodo. Da una violenza verbale si è passati a una fisica: è ben strano che una problematica di tipo sanitario abbia questi risvolti sulla socialità ed è strano che i rimedi offerti dalla scienza vengano accolti con diffidenza».

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Salutati gli ospiti arrivati da altri territori – Enrico De Pascale dell’esecutivo nazionale, Roberta Chersevani, presidente di OMCeO Gorizia, Domenico Crisarà presidente dell’Ordine di Padova, e Stefano Capelli, alla guida di medici e odontoiatri di Belluno – è scattata la prima parte del convegno in cui si è fatto il punto della pandemia sia a livello nazionale, con la relazione introduttiva del presidente FNOMCeO, sia sul territorio veneziano, con gli interventi di Gabriele Gasparini, di Simone Venturini, assessore alla Coesione sociale del Comune, di Edgardo Contato e Mauro Filippi, direttori generali rispettivamente dell’Ulss 3 Serenissima e dell’Ulss 4 Veneto Orientale.
A Filippo Anelli il compito di spiegare come la professione sia cambiata e dove stia andando. «Alla pandemia – ha sottolineato facendo un’analisi ad ampio spettro – siamo arrivati impreparati. E abbiamo pagato un prezzo altissimo: 364 morti sono tanti per una professione. Una vera e propria strage. Per guardare la futuro e ripartire dobbiamo capire cosa non ha funzionato, bisogna fare un’operazione di verità».
Indispensabile, allora, allontanarsi dalla politica fatta di tagli, dalla medicina amministrata, dall’aziendalizzazione del sistema, dal blocco del turnover. «Non ha funzionato – ha aggiunto – la programmazione, non c’è stata solidarietà tra le Regioni». E se nessuno vuole mettere in discussione il concetto di autonomia, non si può però nascondere che un corto circuito c’è stato. «È ancora troppo alta – ha spiegato il presidente nazionale – la distanza tra cittadini e governatori. Il tema della governance va posto. E nel Servizio Sanitario Nazionale, al di là del pareggio di bilancio, bisogna tornare a fissare gli obiettivi di salute».

Il forte ruolo giocato dall’ENPAM, l’ente previdenziale di medici e odontoiatri, durante la pandemia è stato poi illustrato dal presidente Alberto Oliveti, che ha passato in rassegna tutte le azioni solidali attivate, quei provvedimenti adottati nei confronti dei colleghi in difficoltà e delle famiglie di chi ha perso la vita a causa del Covid.
«Durante la pandemia – ha spiegato – abbiamo, ad esempio, fatto slittare tutte le scadenze per sollevare gli iscritti da questo peso durante un momento di difficoltà. Poi siamo riusciti a far estendere il reddito di sostegno anche al mondo medico, in un primo tempo escluso dai provvedimenti del Governo». Un beneficio per 43mila iscritti da 90 milioni di euro.
E ancora: l’erogazione dei Bonus ENPAM e Bonus Plus, che hanno interessato 65mila iscritti per 145 milioni di euro e 15mila colleghi per altri 27 milioni di euro; il sussidio per i liberi professionisti contagiati e per gli immunodepressi convenzionati che non potevano esercitare la professione; un bonus per gli eredi dei colleghi deceduti.
«Oggi – ha spiegato – ci stiamo interrogando sul futuro e stiamo ripensando le strategie di sostegno agli iscritti: per tutelare il lavoro interverremo sulla formazione degli iscritti, continueremo a dare la possibilità agli studenti del quarto e quinto anno di medicina di iscriversi all’ente, investiremo sulla sanità digitale e sul welfare familiare, in particolare per agevolare il lavoro delle donne. Decliniamo il concetto di sicurezza con tre parole: vogliamo essere sostenibili nel tempo, di sostegno immediato al bisogno e solvibili».

C’è un altro aspetto da analizzare di questa “prima pandemia dell’era mediatica”, come l’ha definita il presidente Leoni all’apertura del convegno: il ruolo dell’informazione. Compito affidato a Gerardo D’Amico, Caporedattore della redazione approfondimenti di Rai News, che ha analizzato il tema Complotti, negazioni e fake news: un fenomeno sociale.
La riflessione del giornalista è partita dall’analfabetismo funzionale. «Il dramma vero – ha spiegato – non è tanto che la persona priva di strumenti culturali possa non comprendere, è che ci sono tanti laureati, medici e giornalisti compresi, veri analfabeti funzionali. Quando uno sostiene che il vaccino a mRNA messaggero è mutageno, cioè incide sul DNA, vuol dire che quando è andato all’università si è distratto. Poi ci sono gli ignoranti veri: un po’ perché non capiscono, un po’ perché fa comodo la notizia eclatante, fuori dal coro, un po’ per qualche tipo di interesse».
Il problema più importante da affrontare, però, in campo mediatico è, secondo il giornalista, la percezione che si crea e lo fa portando una serie di esempi: il “boom” di certificati medici di malattia nei primi giorni di obbligo di Green Pass sul posto di lavoro, che poi, a ben guardare i dati, davvero boom in realtà non è. Ma la percezione che ci siano milioni di persone in malattia, e non le reali 47mila, si è creata.
O ancora: l’altissimo numero di vaccini anti Covid somministrati in Italia, tra i primi paesi al mondo, ma che si trasforma in un paese di no-vax, se si butta un occhio alle cronache; le cure domiciliari precoci; il virus clinicamente morto; le mirabolanti capacità della lattoferrina e dell’idrossiclorichina. «E allora – si è chiesto D’Amico – quando anche gli scienziati, i ricercatori e le riviste più prestigiosi si lanciano in questi studi e noi li ospitiamo in tv, che percezione diamo ai cittadini?».
La soluzione per invertire la tendenza è una comunicazione più seria e rigorosa che torni ai fondamentali, la verifica delle fonti, ad esempio. Per questo, a inizio pandemia, per «districarsi in un parterre di sciocchezze e verosimiglianze», la Rai ha istituito una task force contro le bufale e per l’approfondimento scientifico, coordinata proprio da D’Amico. «Una struttura interna – ha spiegato – a cui si rivolgono i colleghi che parlano del Covid per trovare riscontri e fondatezza delle notizie, per chiarire dubbi, per approfondire gli studi più rilevanti».
Il rischio reale è che la medicina ne esca ulteriormente screditata. «Questa pandemia – ha concluso il giornalista chiedendo agli Ordini una più efficace azione di controllo sui loro iscritti – passerà. Ma l’eredità, il lascito di questo delirio peseranno sulla credibilità delle professioni sanitarie. La gente non si fiderà più quando gli proporrete la nuova cura per il cancro o contro il diabete. Vorrà sentire l’alternativa, si farà abbindolare da chi gli propone l’olio di serpente… Essere seri, rigidi e presenti è un tornaconto per tutti, se teniamo alla salute delle persone».

La dimensione lagunare
L’ampia pagina dedicata al territorio lagunare – dal titolo emblematico La pandemia e la realtà in cambiamento a Venezia, la più antica città del futuro – è stata aperta da Gabriele Gasparini, neuroradiologo e presidente dell’Ars Medica, che, dopo aver letto la lettera di ringraziamento per l’iniziativa inviata dal presidente del Veneto Luca Zaia, si è soffermato sulla Venezia, spettrale e bellissima, del lockdown, sulla natura che si riprendeva i suoi spazi, sui dati della pandemia, citando Haruki Murakami e la sua riflessione sul muro alto e solido e sull’uovo che si rompe contro di esso.
«Da quello che noi facciamo oggi – ha sottolineato – dipende il nostro futuro e non abbiamo tanto tempo per decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Lo dirà la storia. Noi abbiamo delle responsabilità che dobbiamo affrontare oggi perché da questo oggi dipenderà il domani di tutti»
*La parola è poi passata a Simone Venturini, assessore alla Coesione sociale del Comune di Venezia, da sempre al fianco dell’Ordine per Venezia in Salute e per molte altre iniziative. «Attraverso la mia presenza qui – ha spiegato Venturini - vorrei che arrivasse a tutti voi e ai medici di tutta Italia il ringraziamento della città di Venezia per lo straordinario lavoro che state svolgendo. La pandemia, a tutti i livelli, ci lascia insegnamenti che non dobbiamo dimenticare. Abbiamo toccato con mano quanto sia necessario avere strutture sanitarie adeguate, quanto importante sia la medicina territoriale e quanto sia fondamentale, anche a livello europeo, investire sulla ricerca. Queste occasioni servono a prendere appunti, a riflettere e a capire cosa dobbiamo valorizzare di un’esperienza che ci ha formati e cambiati. E che ci deve far tornare a vivere non come, ma meglio di prima».
Si è soffermato, invece, nel suo intervento sull’analisi del percorso vissuto nei due anni di pandemia Edgardo Contato, dg dell’Ulss 3 Serenissima, partendo da prima del Covid, dalle sofferenze della sanità, dalle preoccupazioni legate alla mancanza di risorse e di personale. Passando poi per la data spartiacque del contagio in Italia, il 21 febbraio 2020 – «quando all’improvviso ci si è accorti che per curare le persone servivano i medici e gli infermieri», ha sottolineato – per la battaglia condotta dalla scienza con armi spuntate, per la caccia ai dispositivi di protezione, per il grande senso di responsabilità dimostrato dagli operatori sanitari, per il sogno regalato dai tamponi rapidi.
«E poi finalmente – ha aggiunto – è arrivato il vaccino: noi sappiamo il valore di questo strumento che ha salvato milioni di persone e che potrebbe eradicare la malattia. Eppure c’è ancora qualcuno che anche oggi ne mette in dubbio la validità. La pandemia è stata una prova di solidarietà e responsabilità enorme: oggi la città ricomincia a vivere, oggi il territorio riprende fiducia nel domani».
Parlando di cambiamento, ha passato in rassegna punti di forza e criticità emersi con la pandemia Mauro Filippi, dg dell’Ulss 4 Veneto Orientale. Tra i primi, cambiamento assai significativo, la capacità di passare da un processo decisionale lungo e farraginoso a uno più rapido e snello. Ma anche, ad esempio, la possibilità da parte delle aziende sanitarie di entrare nelle strutture per anziani per migliorarne l’organizzazione, più vicina ai bisogni di salute degli ospiti. E ancora l’eroismo della medicina territoriale e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, dai Comuni al mondo del volontariato agli imprenditori privati, «in una catena di solidarietà impressionate».
Un percorso di cambiamento, però, che è stato segnato anche da alcuni elementi di criticità, «a partire – ha spiegato il dg – dai molti che hanno messo in discussione l’autorevolezza della comunità scientifica, e questo è davvero preoccupante. E poi la carenza di professionisti, sia in ospedale sia sul territorio, legata a una programmazione sbagliata e a un sistema contrattualistico vecchio, superato e poco vantaggioso, che non riesce ad attrarre a lavorare nel pubblico». Con una chiosa, infine, sul personale sanitario: «La differenza vera – ha concluso Filippi – l’hanno fatta le persone, uomini e donne che si sono presi a cuore la salute pubblica e a cui dobbiamo dire grazie».

Le relazioni scientifiche
La dimensione strettamente scientifica del convegno è stata approfondita dall’epidemiologo Marco Geddes da Filicaia, già Direttore Sanitario dell’Istituto Nazionale Tumori di Genova e tra il 1997 e il 2003 Vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità, e dal professor Giorgio Palù, virologo e Presidente dell’AIFA, che ha illustrato la tecnologia dei vaccini anti Covid e la loro valenza sociale, soffermandosi sulla vaccinologia, sulla biologia sintetica – cercare nel genoma le possibili strutture per creare il vaccino – sui modelli animali esistenti per il Coronavirus, sugli step per l’approvazione dei vaccini. «Servono – ha sottolineato il professore – l’industria, la tecnologia, le piattaforme, i soldi e i soggetti di tipo diverso per la sperimentazione».
Ben 29 le patologie prevenibili oggi con i vaccini, con più di 2 milioni di decessi scongiurati. Si stima l’uso di 3 milioni di dosi al giorno con una copertura globale dell’83%, scesa però nel 2020 dal precedente 86%. E poi i più piccoli ancora senza immunizzazioni, quasi 3 milioni e mezzo l’anno scorso.
A ricevere almeno una dose di vaccino anti Covid è stato al momento il 47,6% della popolazione mondiale, con un ritmo di oltre 23 milioni di dosi al giorno, ma solo il 2,5% degli abitanti dei Paesi meno sviluppati si è sottoposto ad almeno una somministrazione. «Oggi – ha concluso il dottor Palù – non si dovrebbe più parlare di immunità di gregge. Ma i vaccini producono un aumento notevole di salute, di benefici economici e sociali che vanno dalla riduzione della gravità della patologia al calo delle ospedalizzazioni, dalla ripresa delle attività sanitarie “saltate” a causa della pandemia alla maggiore disponibilità di forza lavoro, dalla ripartenza dei settori economici alla ripresa degli scambi internazionali». Tra le lezioni da imparare un cambio delle modalità di politica internazionale, anche in Europa, e maggiori investimenti in ricerca e innovazione.

«Bisogna stare attenti – ha ammonito subito Marco Geddes da Filicaia – perché non sempre da queste esperienze si esce in avanti. Dobbiamo pensare che ci sono orizzonti diversi che dovremmo esplorare». L’epidemiologo ha sviluppato la sua riflessione partendo dalla sanità all’emergere del Covid, il “come eravamo” e la possibilità di una pandemia virale ampiamente prevista, passando per come il sistema sanitario ha reagito in questo biennio, l’oggi, e ipotizzando poi un futuro sia prossimo, il quinquennio che ci aspetta, sia remoto, i diversi scenari verso cui si può avviare il servizio sanitario.
Tra i temi affrontati:

  • i punti di forza e di debolezza del SSN;
  • i continui tagli alle risorse del mondo sanitario;
  • il diverso orientamento del pubblico e del privato;
  • la progressiva riduzione dei posti letto, senza la copertura di strutture intermedie;
  • la carenza di medici e altro personale sanitario;
  • la qualità, assai diversa, dell’assistenza nelle diverse Regioni d’Italia;
  • la diversa organizzazione tra una Regione e l’altra della sanità territoriale e la debolezza dell’assistenza domiciliare.

«Tanti – ha aggiunto il dottor Geddes da Filicaia – gli effetti dovuti alla pandemia: la crisi economica, l’aumento delle disuguaglianze, la difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, i ritardi nelle diagnosi e nell’assistenza, un aumento della mortalità generale, l’effetto demografico e il pesante impatto sulle altre patologie».
Il domani più prossimo è caratterizzato dai fondi che il PNRR, Piano nazionale di ripresa e resilienza, mette in campo anche per la sanità: più di 15 miliardi e mezzo di euro, sui 191 e mezzo totali disponibili, da impiegare per riformare l’assistenza primaria e territoriale (7 miliardi) e per la digitalizzazione del sistema sanitario.
Tra gli scenari a lungo termine ipotizzati, invece, il potenziamento del SSN, attraverso ad esempio l’adeguamento della spesa corrente, l’assunzione di personale e una nuova convenzione per i medici di famiglia, o, al contrario, un potenziamento del sistema privato. Recuperando un articolo di Massimo Recalcati «non si tratta di recuperare quello che c’era – ha concluso l’epidemiologo – di ritornare a come era prima. Perché come era prima non è affatto estraneo a quanto è accaduto. Abbiamo smarrito l’importanza di una sanità pubblica a misura d’uomo. Abbiamo alimentato il culto del profitto a scapito dell’etica del lavoro, fondamento della nostra professione».

Tirare le fila
Se, insomma, a una prova così complessa e dolorosa come quella della pandemia, il SSN ha retto ed «è riuscito – ha detto il presidente nazionale Anelli – a garantire standard e risposte importanti sul tema della tutela della salute, il processo organizzativo può e deve migliorarsi».
«Cambiare Oggi Verso Il Domani – ha aggiunto il segretario FNOMCeO Roberto Monaco – è un titolo bellissimo che dà la sensazione di vivere ancora una realtà difficile, ma di guardare anche un po’ più in là, verso il domani, verso un cambiamento che porti a una situazione migliore». Cambiare, dunque, l’impotenza che tutti i medici hanno vissuto, soprattutto all’inizio della pandemia, combattendola senza armi. «Cambiare – ha aggiunto – la dignità delle persone e della professione, ponendo al centro la questione medica. La sanità non deve essere il bancomat della politica: bisogna investirci. Il PNRR deve essere un’opportunità per costruire davvero un sistema sanitario di grande valore e spessore».

Il lavorare insieme tra professionisti e l’importanza della relazione medico-medico, per una reale sicurezza delle cure, al centro delle conclusioni tirate dal vicepresidente dell’Ordine Maurizio Scassola. «Dobbiamo avere fiducia – ha sottolineato – nella categoria medica, dobbiamo puntare sulla compattezza della nostra categoria perché la nostra comunità può ripartire solo se noi siamo coesi e convinti della nostra autorevolezza e del nostro ruolo sociale. Siamo punti di riferimento importanti per la popolazione, abbiamo un ruolo delicato».
Poi anche un passaggio sulla politica «che in questo momento – ha aggiunto Scassola – ha bisogno di essere contrastata, di un contraddittorio fondato su dati oggettivi, non sugli aneddoti. Alla politica dobbiamo chiedere il perché di certe scelte, quale ne sia il valore aggiunto».

E la voce della politica è arrivata proprio alla fine del convegno con la presenza dell’assessore regionale alla Salute Manuela Lanzarin che ha voluto portare il suo saluto ai partecipanti. «Oggi – ha spiegato – serve un confronto sulle sfide che dovremo affrontare per il futuro. Usciamo da una situazione che ci ha molto provato, che ha davvero stressato il sistema, ma ci ha permesso anche di maturare esperienza e una visione sui punti di forza e di debolezza, sui passi da fare, su come e dove investire, a partire dall’assistenza territoriale. L’organizzazione e la programmazione devono avere più attori, ma questi attori devono viaggiare tutti insieme, all’unisono. Dobbiamo avere una visione che dia delle risposte, mettendo al centro l’umanizzazione delle cure».

A tutti, allora, l’appuntamento a Venezia in Salute 2022 con – si spera – la pandemia finalmente alle spalle e il ritorno in piazza per l’incontro con i cittadini.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Venezia

Qui la registrazione integrale del convegno (dalla diretta Facebook):

 

Segreteria OMCeO Ve
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