Violenza domestica e sugli animali: la correlazione c’è e va indagata

Ha avuto un taglio tutto nuovo e davvero particolare l’ultima serata, che si è svolta lo scorso 24 ottobre, organizzata dalla Fondazione Ars Medica per conto dell’OMCeO veneziano in collaborazione con l’Ordine dei Medici Veterinari, una sinergia che continua da tempo e che è diventata ormai una tradizione.
Sempre nel rispetto dell’ottica “One Health” – che vuole la salute degli esseri umani strettamente legata a quella degli animali e dell’ambiente, tanto da essere necessarie politiche di prevenzione attraverso collaborazioni intersettoriali – questa volta non si è parlato di temi clinici come in passato – gli antibiotici o le malattie che si trasmettono dagli animali all’uomo o i rischi legati all’alimentazione – bensì di maltrattamenti.
Medici e veterinari insieme per interrogarsi sulla possibilità che esista una correlazione tra gli abusi subiti dagli amici a 4 zampe e quelli che avvengono all’interno delle mura domestiche. La correlazione c’è, si è concluso, ma si nasconde, bisogna andare a scovarla facendosi venire qualche dubbio in più.

Ad aprire i lavori è stato il presidente dell’Ordine dei Veterinari Sandro Zucchetta, che tanto ha voluto questa serata: per prima cosa ha tracciato una storia del rapporto tra l’uomo e l’animale a partire dal XVIII secolo, sottolineando i passaggi, anche di legge a livello internazionale, che hanno portato a chiedersi dapprima se gli animali potessero soffrire per individuarli, poi, siamo ormai nel XX secolo, come soggetti portatori di interessi propri, “esseri senzienti” – come li definisce il Trattato di Amsterdam del 1997 – a cui bisogna garantire un benessere e che hanno il diritto di non soffrire.
Un cambio di passo culturale avvenuto nei secoli: dall’antropocentrismo, che voleva l’animale come “una cosa” finalizzata unicamente al benessere dell’uomo, una sua proprietà, all’ecologismo, la protezione delle catene alimentari, per passare poi allo specismo, la condanna dell’atteggiamento discriminatorio sugli animali in quanto specie non umana, all’animalismo, con il superamento della centralità dell’uomo a favore di un maggior rispetto per le altre forme di vita, e approdare infine al biocentrismo: ogni essere vivente ha diritto al vita nel quadro dell’equilibrio naturale.
Anche se nella Dichiarazione universale dei diritti degli animali del 1978 non c’è un obbligo esplicito a non uccidere, la morte, almeno per gli animali destinati all’alimentazione, deve essere senza dolore. Per gli animali da compagnia, invece, in alcune condizioni è consentita anche l’eutanasia, quando il dolore non è più controllabile farmacologicamente.
«Le violenze sugli animali – ha sottolineato poi il dottor Zucchetta – sono l’espressione di qualcosa di distorto che c’è nella nostra società. A queste, perso, si contrappongono tante iniziative di segno opposto: nel comune sentire delle persone nascono un’infinità di associazioni animaliste o in difesa del benessere animale… Questa è la risposta civile al comportamento brutale di cui vediamo spesso le immagini».
Il veterinario ha poi passato in rassegna anche tutte le norme italiane e regionali dedicate agli animali: dal Codice Zanardelli del 1889 agli articoli del Codice Penale sul maltrattamento e l’abbandono, alla legge quadro del 1991, la 281, che mette ordine nella materia, sottolineando come oggi, in caso di reati contro gli animali, si proceda d’ufficio e non più dopo querela. Norme che si applicano in tanti ambiti: nel campo della sperimentazione, ad esempio, o in quelli dell’allevamento e della macellazione. «Quello che può fare allora il cittadino – ha detto – è denunciare il reato al Servizio Veterinario dell’Ulss o agli organi competenti di polizia giudiziaria».
Dopo aver citato Freda Scott-Park, la prima a tracciare una relazione tra gli abusi domestici e quelli sugli animali, il dottor Zucchetta si è rivolto direttamente ai colleghi veterinari illustrando i dati di un sondaggio condotto su 460 professionisti, che ancora denunciano poco gli abusi e tendono a non mettere i proprietari di fronte alle loro responsabilità, mostrando tanti esempi di violenze, lesioni traumatiche o da sparo, e chiarendo come ci si debba sempre chiedere come l’animale si sia procurato il danno e con cosa siano compatibili le ferite.
Tante e assai varie le possibili cause dei maltrattamenti sugli amici a quattro zampe: la sottocultura, la scarsa sensibilità, la superficialità, i problemi psicologici, il disagio esistenziale, lo scontro tra vita reale e realtà virtuale, lo scarso valore che si dà alla vita e, non ultimo, la vendetta coniugale o familiare.
«Per noi – ha concluso – è importante guarire gli animali, ma anche garantire il loro benessere. C’è una correlazione tra abusi su animali e umani? Sì. Quando gli animali vengono maltrattati, le persone sono a rischio, soprattutto quelle più deboli. E viceversa. Non si possono sottovalutare i segnali che indicano un possibile abuso».

Dopo il veterinario, il punto di vista medico: la parola è passata alla professoressa Paola Facchin, docente di pediatria all’Università di Padova, che ha spiegato ai partecipanti come sospettare le violenze domestiche e, in caso, come intervenire. Partendo dalla concretezza di alcuni casi clinici attraversati durante il suo percorso professionale, ha parlato soprattutto della violenza assistita, quella che subiscono i minori quando sono testimoni di maltrattamenti e abusi, compiuti attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, nei confronti di figure di riferimento o significative per loro.
Ha raccontato, ad esempio, di una donna picchiata dal marito davanti al figlio 15enne, esente, lui, dalle botte. «Ma quel 15enne – ha spiegato – presentava aspetti di isolamento, terrore, depressione, Era come “congelato in frigo”. Aveva ritardi della crescita, della maturazione ossea, era obeso. Segni fisici e psichici legati alla violenza assistita. Un giorno, come nulla fosse, ci ha detto: se c’è una casa, ci si adatta a tutto».
E ancora: il caso di una donna nigeriana che arriva in Pronto Soccorso con segni evidenti di percosse, ha 4 figli, due con sé, gli altri a casa con il marito “violentissimo”. Sui due che vengono visitati si scoprono segni di ferite pregresse e carie dentali diffuse, neglect dentale: anche per loro, dunque, maltrattamenti fisici, abusi psico-emozionali, ritardo della maturazione ossea e grave trascuratezza. «Come vedete – ha aggiunto la professoressa – più sindromi, con i codici specifici della classificazione delle patologie, si associano insieme nello stesso soggetto».
Ultimo caso, quello di una mamma che ha subito un tentativo di strangolamento e di defenestrazione con la figlia di due anni e mezzo in braccio. All’intervento della volante chiamata dai vicini, l’uomo in preda all’ira ha tentato di defenestrare anche un poliziotto. E per questo è finito per direttissima in carcere. Ma la bambina? Ha segni fisici seppur non gravi, è spaventata, parla poco, non ha ricordi completi, ma soprattutto ecchimosi sottocongiuntivali. A cosa sono dovute? A un tentativo di strangolamento.
«La violenza a cui assistono i minori – ha spiegato allora la professoressa – non è solo contro la madre: può essere anche contro un fratello, un’altra persona amica, o anche contro l’animale domestico del bambino, maltrattato proprio per fargli un dispetto, per fargli del male. Anche se il bambino non subisce la violenza, ma la vede solo, questa è una forma di maltrattamento. Ricordate: dove c’è una mamma maltrattata, c’è un figlio testimone». Minori che vanno assistiti e aiutati a guarire.
Dopo aver spiegato che quando c’è un sospetto la violenza è quasi sempre confermata e che gli abusi domestici riguardano sia gli italiani, il 45%, sia gli stranieri, il 55%, la dottoressa Facchin si è soffermata sui maltrattamenti – che sono di varia natura, fisica, psico-emozionale, sessuale, economica, ma anche sfruttamento commerciale o assenza di cure, e che sono tali quando c’è danno, cioè sofferenza – sottolineando come il danno talvolta non sia necessariamente fisico, e quindi evidente.
«Il medico – ha detto – si deve occupare dei maltrattamenti perché generano sofferenza. È questa la ragione del nostro lavoro: occuparci di questa sofferenza, cercare di ridurla, di contenerla. La domanda non è: di questo bambino mi devo occupare io? Ma: questo bambino sta male? Se la risposta è sì, è nostro dovere occuparcene. Il danno non sono solo le fratture e gli ematomi: sono anche i danni evolutivi, che in quel bambino provocheranno alterazioni nel tempo. Non è solo il danno attuale reale, ma anche quello potenziale».
Tra gli altri casi pratici portati all’attenzione dell’uditorio anche quello di un bambino che veniva punito lasciandolo per ore sul davanzale di una finestra (maltrattamento psico emozionale) e i casi in aumento di bambini “shakerati”, piccoli sotto l’anno di vita che vengono scossi dai genitori, frustrati, per farli stare tranquilli e che riportano poi danni difficilmente recuperabili.
Tra i tanti disturbi registrati dai bambini ci sono: il disturbo post traumatico da stress, l’alterazione del sonno o dell’alimentazione, il cambio repentino d’umore, l’essere poco centrati rispetto alla realtà. Ma anche il disturbo oppositivo provocatorio, il ritiro, l’isolamento, il non farsi sentire, i disturbi della condotta – la ricerca continua, ad esempio, di situazioni di rischio – gli aspetti depressivi, il ritardo dello sviluppo. Le conseguenze emotive e relazionali possono essere a breve, medio o lungo termine: la paura, la rabbia, il diventare presto adulti, fino alla depressione.
Tra i sintomi da tenere sotto controllo, nel lattante ad esempio, la scarsa crescita, le difficoltà nell’alimentazione, l’aumento improvviso della circonferenza cranica, le anomalie dei sintomi, la depressione materna. Nel bambino le alterazioni dei ritmi e l’aggressività.
«Se vedete una donna maltrattata – ha concluso allora Paola Facchin – chiedetevi se ci sono dei bambini. E se ci sono dei bambini, guardateli con attenzione. Perché nessun bambino vi dirà “sto male” o “ho visto questa cosa”. Negheranno, ma lo diranno in altri modi. Nei maltrattamenti dobbiamo sapere cosa guardare, cosa fare e quando farlo: dobbiamo avere un’attitudine diagnostica. Mettere nelle nostre categorie mentali il fatto che esistono sindromi da maltrattamento. Queste sono malattie ed è il nostro preciso dovere di medici diagnosticarle. La vita di questi bambini è nelle nostre mani».

La violenza, insomma, prende di mira sempre le persone più fragile: i bambini e gli animali, ad esempio. Saranno gli studi scientifici a provare se davvero esiste una correlazione tra abusi domestici e maltrattamenti agli amici a 4 zampe. Ciò, però, che è apparso chiaro ed evidente dal convegno è che i medici, siano essi dedicati agli uomini o agli animali, devono sempre più essere sentinelle sul territorio, saper intercettare i segnali, farsi venire un dubbio e approfondirlo, non fermarsi al sintomo, ma cercarne la causa. Come auspicato dalla dottoressa Facchin, medici e veterinari devono saper guardare con occhi aperti per vedere davvero e orecchie aperte per ascoltare davvero.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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