Consenso e informazione: quell’etica che qualifica il professionista

«Oggi parliamo di bioetica in medicina e in odontoiatria. E ne parliamo perché se ne parla ancora troppo poco. Consenso e informazione sanitaria sono temi caldi, di cui si legge di continuo sui giornali. Oggi cercheremo di spiegare come farne buon uso. E non solo in ottica di medicina difensiva, ma perché sono segno della nostra professionalità».
Con queste parole Giuliano Nicolin, presidente della Commissione Albo Odontoiatri (CAO) dell’OMCeO veneziano, ha accolto i partecipanti del convegno sul consenso e l’informazione sanitaria che si è svolto lo scorso 18 maggio nella sede dell’Ordine. «Il collega che parla con il paziente – ha proseguito – che lo informa nel modo corretto e che poi, eticamente, redige il consenso, dà un’immagine di sé più professionale, dà qualcosa in più: è come eseguire una tecnica al massimo delle proprie conoscenze e capacità. Dalla mia esperienza, poi, vi posso assicurare che poter dimostrare di essere stato alla poltrona con il paziente, di avergli parlato, di averlo ascoltato, cercando di trasferire ciò che serve, è molto apprezzato anche in fase di un eventuale contenzioso».

Un tema d’attualità che, proprio il giorno precedente al convegno, Nicolin e il presidente dell’Ordine e vice nazionale Giovanni Leoni avevano affrontato a Roma durante la prima sessione degli Stati Generali, «dedicata – ha sottolineato Leoni – proprio agli errori medici, al consenso e alla responsabilità professionale, argomenti che abbiamo affrontato con gli esperti». Subito dopo ha lanciato un accorato appello ai partecipanti a controllare il proprio status relativo all’aggiornamento professionale. «Su questo fronte – ha aggiunto – siamo oggetto di attenzione da parte dei media e lo saremo per tutto l’anno. La stampa rimbalza e amplifica i dati che riguardano chi non è in regola con i crediti ECM: è una situazione reale con cui dobbiamo confrontarci. C’è tempo fino al 31 dicembre per mettersi in regola. Fatelo».

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Dopo i saluti istituzionali, la giornata di studio è entrata subito nel vivo con i due esperti – già più volte ospiti dell’OMCeO veneziano in passato – chiamati ad analizzare le questioni più complesse: il professor Antonio G. Spagnolo, medico legale e direttore dell’Istituto di Bioetica e Medical Humanities alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, e la bioeticista Giovanna Zanini, presidente del Comitato Etico per la Pratica Clinica dell’Ulss 3 Serenissima.
«L’aspetto etico – ha chiarito subito il professore – non è opzionale o complementare all’atto medico: agire in modo medicalmente corretto è già etico ed è difficile ipotizzare che ci siano cose fatte bene dal punto di vista medico che non siano etiche». Quattro le aree in cui si muove l’attività professionale: la competenza e la preparazione tecnica, già un primo punto di partenza sotto il profilo etico, la deontologia, che governa le attività mediche, il diritto e, appunto, l’etica.
«Nelle situazioni di difficoltà – ha aggiunto – ci sono esperti che possono dare consulenze, offrire un supporto e facilitare le decisioni. Proprio per preparare queste persone, è stata istituita un’associazione senza fini di lucro, il Gruppo Interdisciplinare di Bioetica e di Consulenza Etica (GIBCE), inserito all’interno della Società Italiana di Medicina Legale».

La prima parte della mattinata è stata dedicata all’approfondimento sul consenso informato, «cardine della relazione tra medico e paziente – ha spiegato la dottoressa Zanini – un atto che deve essere volontario e libero», a partire dalle importanti evoluzioni recepite dal Codice Deontologico, che si svincola e supera la visione paternalistica della professione, e dalla nuova normativa, la legge 219 del 2017, comunemente conosciuta come la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (le DAT), ma che in realtà si occupa molto proprio del consenso, regolato in Italia per la prima volta proprio da questa norma, legandolo a stretto filo con l’informazione sanitaria.
«Quante volte – si è chiesta entrando subito nel concreto della quotidianità – il consenso che io ottengo è davvero un atto consapevole del paziente? Che tipo di informazioni devo dare al mio assistito? Devo parlare dei rischi, ma di quali rischi? Devo dire che questo intervento è la quarta volta che lo faccio? E poi, il paziente, cosa davvero vuole sentirsi dire? Cosa è pronto ad accogliere? Oggi è cambiato tutto, è cambiata la relazione tra paziente e medico: oggi dobbiamo ascoltare i desideri del paziente, dobbiamo prenderli in considerazione».
Tra i concetti cardine che regolano le norme: il superamento del paternalismo, il riconoscimento dell’autodeterminazione e dell’autonomia del paziente e il passaggio dal concetto di paziente a quello di cittadino. «L’edizione 2014 del Codice – ha aggiunto – introduce nuovi elementi: lega l’informazione alla comunicazione, e dunque alla relazione, parla di consenso ma anche di dissenso e di rinuncia, introduce la figura del legale rappresentante, di qualcuno che decida al posto del paziente in caso lui non possa farlo».
Giovanna Zanini ha poi passato in rassegna alcuni aspetti della normativa: la delega che il paziente può dare a un familiare per il consenso, il ruolo del minore, l’obbligo del medico a raccogliere il consenso, la possibilità che, invece, il paziente non accetti gli accertamenti diagnostici, le scelte terapeutiche o il trattamento sanitario che il medico decide. «Nella norma che si basa sul consenso informato – ha sottolineato – si valorizza la relazione di cura in cui si incontrano la competenza professionale del medico, che ha la responsabilità di informare adeguatamente il suo assistito, e l’autonomia decisionale del paziente».
Un esempio pratico: il caso di un intervento chirurgico che deve essere seguito dalla chemioterapia. Il paziente dice sì all’operazione ma dice no alla chemio. «Lo può fare – ha aggiunto la bioeticista – per il chirurgo, però, così l’intervento diventa inappropriato. E allora come ci si comporta? Ha senso farlo?».
Per arrivare a un consenso davvero consapevole, l’informazione deve avere alcune caratteristiche: deve essere completa, aggiornata, comprensibile al paziente e chiarire anche le conseguenze di un possibile rifiuto o di una rinuncia. «Ma – si è chiesta ancora la dottoressa Zanini – cosa significa completa? Su un singolo trattamento ognuno di voi darà informazioni diverse... E poi: aggiornata rispetto a cosa? Se chiedo il consenso alla nutrizione, a che tipo di nutrizione? La chiedo per tutto l’iter o di volta in volta ogni singolo passaggio? Come vedete i problemi sono molti...».
Fondamentale capire che nella nuova ottica il consenso è un processo e che il paziente può dire basta in qualsiasi momento «e il medico – ha sottolineato – è tenuto a rispettarne la volontà, a meno che l’assistito non chieda trattamenti contrari alle leggi, alle buone pratiche e al Codice Deontologico. Una buona riflessione etica sul tipo di informazione che voglio dare, mi permette di creare un consenso vero».
La riflessione etica, insomma, è qualcosa di razionale, qualcosa che aiuta nella pratica, che sostiene nelle decisioni per capire, ad esempio, se un certo tipo di intervento è giusto o meno in quel singolo caso e per quel singolo paziente, cosa sia giusto o non giusto fare e soprattutto perché.
«La consulenza etica in ambito sanitario – ha concluso Giovanna Zanini – serve a rispondere alle questioni, aiuta ad affrontare i dubbi e i conflitti che emergono nella pratica clinica, ne facilita la soluzione, tenendo conto di tutti i soggetti coinvolti. È un supporto esterno al processo decisionale: la consulenza etica non decide cosa fare e non deresponsabilizza il medico o l’operatore sanitario, sostiene loro, i pazienti e i familiari durante il percorso».

Una sola obiezione è arrivata dalla platea alla fine della relazione della dottoressa Zanini: tutte cose giuste e sacrosante, «parlare con il paziente, ascoltarlo, dare tutte le informazioni necessarie… Tutte cose però – è stato detto – per cui manca un elemento fondamentale: il tempo».

Dopo il consenso informato, l’attenzione si è spostata sull’informazione e sulla comunicazione sanitaria, con il professor Antonio G. Spagnolo, che ha analizzato il contesto in cui si trovano a confronto medico e paziente: da una parte qualcuno che ha bisogno, dall’altra qualcuno che, grazie alle sue competenze, può aiutarlo. «Non è – ha spiegato – un incontro di interesse, è un incontro tra due libere autonomie. Quindi ci sono dei presupposti per questa comunicazione: il primo è la natura della condizione del malato, che implica uno stato di dipendenza, di vulnerabilità e di ansietà di cui bisogna tener conto. Poi c’è l’ineguaglianza, l’asimmetria delle competenze, nonostante oggi le persone si informino tanto su internet prima di andare dal medico. Infine ci sono le aspettative del paziente».
È stato ha approfondito il cambiamento dal modello paternalistico di trasmissione dell’informazione al nuovo modello deliberativo, quello in cui l’operatore sanitario non si limita più solo a trasmettere informazioni tecniche, ma tiene conto anche dei valori in gioco, i propri e quelli del paziente. «Medico e paziente – ha aggiunto – intraprendono un cammino per arrivare insieme a una decisione. In questo senso abbiamo due autonomie che interagiscono tra loro e concordano un piano: l’autonomia stessa del paziente può così auto-realizzarsi». Tra gli strumenti, infatti, che la legge mette a disposizione proprio in questa direzione c’è, ad esempio, la pianificazione condivisa delle cure. «Comunicare – ha sottolineato – implica come prima cosa anche l’ascoltare: il medico, per capire ciò che il paziente gli dice, deve ascoltare in silenzio. Un silenzio comprensivo».
Il professor Spagnolo si è affidato, poi, al Giuramento di Ippocrate e al Codice Deontologico per tracciare i binari su cui deve muoversi la comunicazione tra il medico e il suo assistito, citando i vari articoli che ne parlano: l’articolo 5 sulla promozione della salute, degli stili di vita sani e delle situazioni di rischio, il 14 sugli eventi avversi e la sicurezza delle cure, il 15 sulle terapie non convenzionali, il 20 sulla relazione di cura, il 22 sull’autonomia e la responsabilità diagnostico-terapeutica, sulla possibilità dunque del medico di rifiutare la prestazione. «Anche in questo caso però – ha aggiunto – il paziente non va abbandonato, gli va dato ogni chiarimento possibile. Il tempo della comunicazione è già tempo di cura: ditelo a chi organizza la vostra sanità, altrimenti questo principio resta lettera morta».
Tanti gli aspetti analizzati:

  • la necessità di una corretta documentazione sanitaria e di avere una cartella clinica in ordine;
  • l’obbligo per il medico di adeguare i contenuti informativi alla persona che ha davanti, accertandosi che abbia davvero capito ciò che gli è stato detto;
  • la riservatezza dell’informazione e il diritto del paziente a non sapere con tutte le implicazioni che da questo possono ricadere proprio sotto il profilo etico, si pensi, ad esempio, a chi ha una malattia genetica, non lo vuole sapere, ma vuole procreare;
  • le DAT che hanno valore solo dopo che la persona ha acquisito adeguate informazioni sulle conseguenze delle proprie scelte. Ma si fa carico di questo controllo?
  • Il segreto professionale, il trattamento dei dati sensibili e, soprattutto, il dovere di informazione in caso di donazione di organi e tessuti, di trapianti, di procreazione assistita, di interventi sul genoma e di sperimentazione umana.

«Osservando i dati – ha concluso il dottor Spagnolo – sulla comprensione dell’informazione sanitaria si scopre che il 78% dei pazienti afferma di aver capito tutto. Poi, però, quando si va nel dettaglio e si chiede qualcosa di specifico, questa comprensione si riduce al 28%. La comunicazione, dunque, è molto importante: l’obiettivo deve essere quello di convincere le persone attraverso ragioni che loro stesse scoprono attraverso una comunicazione corretta».

Tanta concretezza, infine, nell’ultima parte della mattinata in cui si è aperto il dibattito tra partecipanti e relatori sui casi clinici concreti. Sono stati mostrati, ad esempio, alcuni moduli di consenso informato, redatti dai dentisti con molte lacune. O ancora si è avanzata l’ipotesi di videoregistrare il consenso, per avere prova certa di quanto detto, ma come si stabilisce, anche in questo caso, cosa davvero abbia capito il paziente? Si sono illustrati, poi, anche i casi di un marito che ha chiesto al medico di ignorare la volontà della moglie a non essere rianimata in caso di complicazioni durante un intervento chirurgico e di un dentista alle prese con l’archiviazione elettronica delle informazioni sui pazienti, sulla catena della riservatezza, da garantire, e sull’uso delle nuove tecnologie.

Per un consenso realmente informato e un’informazione sanitaria corretta, insomma, serve tempo, che spesso non si ha. Bisogna spendersi, mettersi in gioco, entrare in relazione con l’altro, non solo trasmettere note tecniche. Lo devono fare i medici e lo devono fare i dentisti. «Perché – ha ribadito il numero uno della CAO lagunare Giuliano Nicolin chiudendo l’incontro – un consenso fatto bene dà anche l’idea del tipo di professionista che si ha davanti».

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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