Vaccini, test e riabilitazione: una nuova fase di contrasto al Covid

L’interesse era stato da subito evidente con i 100 posti disponibili esauriti in poche ore per il nuovo webinar sull’evoluzione del Covid-19, organizzato dall’OMCeO veneziano per martedì sera, 25 maggio 2021, sotto la guida scientifica del presidente dell’Ordine e vice nazionale Giovanni Leoni. E infatti un’ottantina, in media, i medici e gli odontoiatri veneziani a seguire le tre ore di seminario on line che ha visto protagonisti il dottor Guido Sattin, direttore sanitario di ORAS, l’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione di Motta di Livenza, il professor Mario Plebani, cattedra di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare all’Università di Padova e direttore del Dipartimento Servizi di Diagnostica Integrata all’Azienda Ospedaliera universitaria, e il dottor Lucio Brollo, direttore dell’Unità complessa di Medicina Generale e Cardiologia Riabilitativa e responsabile delle Malattie Infettive Covid-19, per mesi vera anima del Covid Hospital di Jesolo.

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Dopo i saluti di rito e i ringraziamenti ai relatori «che spendono per noi parte della loro professionalità e del loro tempo» del presidente Leoni, il webinar si è aperto – come già nella prima serata di aggiornamento dedicata al Covid lo scorso 23 febbraio (clicca qui per un resoconto) – con i dati della John Hopkins University, aggiornati a domenica 23 maggio, e le relative mappe realizzate da Guido Sattin per spiegare l’andamento nella pandemia nel mondo: quasi 167 milioni di casi, quasi 3 milioni e mezzo di decessi, più di un miliardo e 600 milioni di dosi di vaccino somministrate.
Dal globale, poi, lo sguardo è tornato al locale con l’andamento dei decessi nel comune di Venezia che ha visto nel 2020 un incremento rispetto agli anni precedenti, ma in modo diverso a seconda dei settori della città. «In media – ha sottolineato il dottor Sattin – la crescita della mortalità è stata del 19% con punte però fino al 35%, ad esempio, a Favaro. Molto meno in centro storico».
Ripercorrendo le tappe della pandemia, a partire dalla dichiarazione dell’OMS dell’11 marzo 2020, e raccontando gli strani casi di Tanzania, Turchia, Turkmenistan, Israele, Corea del Nord e Africa – «bacino ancora poco conosciuto del contagio» ha detto Sattin – il direttore sanitario di ORAS ha illustrato poi le mappe aggiornate della pandemia con il record dei nuovi contagi toccato il 26 aprile scorso e con il calo netto registrato nelle ultime settimane in Europa e Italia, anticipato da Gran Bretagna e Stati Uniti, paesi che “schiariscono” prima degli altri, produttori – guarda caso – dei vaccini.
«Attenzione, però – ammonisce il dottor Sattin nelle sue conclusioni – la curva dei contagi in Europa è ancora in crescita, non in discesa come succede, invece, in Asia. Se non riusciamo a distribuire i vaccini e ad agire in maniera unitaria, il mondo è tondo, il virus non conosce frontiere e ritorna».

Un accurato approfondimento dedicato ai test disponibili per individuare e monitorare il contagio è stato poi proposto dal professor Mario Plebani dell’Università di Padova che ha sottolineato come «proprio la pandemia da SARS CoV 2 nella sua drammatica manifestazione abbia portato finalmente alla luce il valore e la centralità della medicina di laboratorio. Il messaggio dell’importanza della diagnostica è arrivato forte e chiaro quando, nel corso della prima fase, alcuni lavori scientifici hanno dimostrato che anche gli asintomatici potevano essere contagiosi».
Il docente è quindi passato a illustrare le fasi dell’infezione; i contributi che la diagnostica può offrire nella diagnosi eziologica, nel monitoraggio del paziente e nella sorveglianza dell’epidemia; i test a disposizione – molecolari, sierologici, biochimici ed ematologici – e le ragioni dei falsi negativi, sottolineando come «nessun test possa essere affidabile al 100%».
«Il test antigenico – ha aggiunto il professor Plebani – quando la carica virale è elevata senza dubbio funziona meglio di altri. Ma nel caso di carica virale bassa, la sensibilità viene molto ridotta. Noi, allora, ci siamo indirizzati sui test salivari, su cui lavoravamo da anni, come campione alternativo perché nelle ghiandole salivari nei primi giorni dell’infezione c’è una carica virale interessante che può diventare applicabile nella pratica clinica. L’approccio, inoltre, è non invasivo, non crea dolore, né ansietà in chi deve fare il test».
Evidenze che supportano la loro applicazione anche per i test anticorpali da utilizzare in particolare per il contact racing, per identificare i donatori di plasma e per gli studi di prevalenza.
Alla fine della sua relazione, il docente si è soffermato anche sulla presenza degli anticorpi dopo l’infezione e sull’efficacia dei vaccini che danno una copertura per 8/9 mesi.
«L’indicazione data dall’OMS – ha concluso il professor Plebani ammonendo i partecipanti – “Test, test, test” è di sicuro da seguire, ma mi sono convinto che dare rapidamente un risultato sbagliato è peggiore che non fare il test. L’accuratezza è importante».

Le esperienze maturate nelle due ondate di pandemia al Covid Hospital di Jesolo sono state, invece, al centro della relazione del dottor Lucio Brollo, che all’improvviso, da internista, si è ritrovato a fare i conti con il Covid da molto vicino: 197 i pazienti ricoverati tra marzo e maggio 2020 nella struttura sul litorale, di cui 20 deceduti, 997 tra ottobre 2020 e maggio 2021, di cui 151 non ce l’hanno fatta.
«All’inizio – ha raccontato mostrando le lastre dei pazienti con polmonite da Covid – il nostro problema principale era non portare gli anziani a essere intubati. I pazienti con prognosi più severa erano quelli con comorbilità. L’obesità in particolare creava situazioni drammatiche». Poi, nella seconda ondata del contagio, l’età dei pazienti si è notevolmente abbassata con l’arrivo in ospedale di molte persone intorno ai 40-50 anni.
Ricoveri molto lunghi, più di una ventina di giorni in media, per i pazienti più gravi, segnati poi da una sarcopenia “mostruosa”, come l’ha definita il dottor Brollo, e da un’enorme fatica a recuperare un minimo di movimento.
Dopo aver passato in rassegna i dati sul numero di decessi nell’ultimo anno e mezzo, confrontato con quello del biennio 2017 – 2019 – drammatico il +72% di dicembre – il relatore ha approfondito le modalità con cui i pazienti sono stati trattati nella sua struttura, a seconda dello stadio della loro infezione; i farmaci a disposizione, con la spiccata efficacia in particolare del cortisone e dell’eparina; l’entusiasmo per i buoni risultati raggiunti fin qui per i pazienti trattati con gli anticorpi monoclonali. «Una terapia che sembra funzionare veramente bene. Ma non dimentichiamo – ha concluso il dottor Brollo mostrando le cifre per le singole aziende sanitarie venete – l’apporto dei vaccini: contagi crollati tra gli operatori sanitari dopo le somministrazioni».

L’ultima parte del seminario è stata dedicata a un tema di cui, forse, si parla ancora troppo poco: le lunghe conseguenze del Covid, con gli strascichi che lascia nel corpo e nella mente dei pazienti, non solo di chi l’ha subito in forma grave. La parola è tornata al dottor Guido Sattin che ha raccontato l’esperienza messa in campo praticamente da subito, con l’aiuto dello pneumologo Giorgio Santelli, nella struttura che dirige, l’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione di Motta di Livenza.
«Chiamiamola – ha sottolineato – sindrome Covid o sindrome post Covid. Ma anche nelle linee guida più recenti si parla solo di fase acuta dell’infezione: nessuno si è soffermato a pensare a tutte le altre conseguenze».
Il programma di riabilitazione, insomma, se lo sono dovuto inventare, progettando un’équipe multidisciplinare per una presa in carico unitaria e globale del paziente: al centro la figura dell’internista «perché quella da trattare – ha spiegato – è una malattia sistemica, multiorgano». Poi spazio al nutrizionista per i seri problemi nutrizionali che i lunghi periodi in terapia intensiva determinano. Ruoli centrali, infine,anche per lo pneumologo e il cardiologo riabilitatore, il neurologo e lo psicologo.
«Il peso assistenziale di questi pazienti – ha aggiunto il dottor Sattin – è di difficile gestione. E non parliamo solo di quelli con distress respiratori gravi, con quadro respiratorio compromesso, varie complicazioni, spesso dovute anche ad altre patologie in corso. Sono tanti anche i pazienti con quella che abbiamo definito sindrome post Covid sfumata». In sostanza persone intorno ai 40 anni d’età che non hanno vissuto la terapia intensiva, pur se ospedalizzati, o che sono stati trattati a domicilio. Pazienti che, però, continuano a lamentare astenia, fatica, dispnea… «Sintomi – ha sottolineato il medico – senza un corrispettivo funzionale, come la spirometria, emogasanalitico o radiologico compromesso, che però condizionano le loro normali attività, in particolare quella lavorativa, con forti ripercussioni psicologiche».

Sono questi, ora, i pazienti a cui dare risposte. Vaccini su larghissima scala per limitare il contagio, test sempre più accurati per monitorarlo e percorsi riabilitativi che tengano conto dei diversi stadi e gradi di infezione subita, insomma, sono le armi da mettere a punto al più presto per continuare la battaglia contro la pandemia. Una sorta di nuova fase, dopo l’emergenza sanitaria, per contrastare un virus con cui, a detta di molti, bisognerà imparare a convivere. E allora meglio cominciare subito.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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