Uso appropriato dei marcatori: il corso FAD fa il pieno di iscrizioni

Ben 9mila medici italiani iscritti nel giro di due mesi al corso di formazione a distanza (FAD) sui biomarcatori in oncologia, organizzato dalla FNOMCeO. Con una previsione che, nell’anno in cui il corso rimarrà disponibile on-line, salgano addirittura a 30mila, grosso modo il 10% dei camici bianchi attivi in Italia. Se si pensa poi che l’indice di gradimento positivo supera il 97% e che l’argomento è considerato “di nicchia”, si può senza dubbio parlare di successo senza precedenti per questa occasione di formazione, la cui regia è tutta veneziana.
Il progetto formativo, infatti, nasce proprio in laguna con un aggiornamento organizzato il 17 maggio 2017 dall’OMCeO veneziano con il dottor Massimo Gion, direttore del Centro Regionale Biomarcatori Diagnostici, Prognostici e Predittivi​ (CRIBT) dell’Ulss 3 Serenissima (clicca qui per leggere la presentazione e il resoconto della serata). Una serata che aveva suscitato il grande interesse dei vertici dell’Ordine, dal presidente Giovanni Leoni all’allora vicepresidente della FNOMCeO Maurizio Scassola, sostituito poi a Roma proprio da Leoni.
Da Venezia, dunque, parte l’idea di progettare un corso formativo per illustrare sinteticamente le raccomandazioni delle diverse linee guida messe a confronto fra loro, sulla base di un lungo lavoro di analisi pubblicato in un numero dedicato de I Quaderni di Monitor di AGENAS, prodotto grazie alla collaborazione tra il CRIBT, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), l'Associazione Italiana di Oncologia medica (AIOM), la Società Italiana di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica (SIBioC) e altre società scientifiche, che è stato poi trasformato nel corso FAD dai ricercatori del CRIBT. 
«Tutto sommato – spiega proprio Massimo Gion – mi aspettavo che l’argomento fosse di grande interesse. È vero che nel sentire comune i marcatori tumorali sono percepiti a volte come un argomento “di nicchia”, in quanto rappresentano solo uno degli aspetti del problema “oncologia”; tuttavia, studiando i marcatori da oltre 30 anni, ho potuto maturare la consapevolezza dell’importanza “trasversale” di questi esami nell’iter diagnostico- terapeutico complessivo del paziente affetto da una malattia tumorale. Forse non mi aspettavo un successo di queste dimensioni, ma interesse certamente sì».

Come è costruito il corso?
Il corso, che assegna 10 crediti ECM, è costruito su casi clinici tipo, sulla base di casi reali, presentati nello stile della clinicommedia (chi non ricorda la rubrica Circuito interno di Tempo Medico!), in cui sono indicati degli snodi di comportamento sui marcatori. Ogni snodo rappresenta una domanda del corso, da cui, una volta risposto, si può accedere al caso e alla domanda successiva. Un percorso molto interattivo e coinvolgente, che trasporta il medico dentro la storia del paziente.
Il nostro ruolo è stato strutturare il contenuto del corso: io e le dottoresse Chiara Trevisiol e Aline S.C. Fabricio abbiamo sintetizzato le informazioni del manuale e preparato i casi clinici, che poi il dottor Pietro Dri e la dottoressa Maria Rosa Valetto (di Zadig Editore, Milano) hanno trasformato in “clinicommedia”, costruendo su essi la FAD. C’è anche un dossier d’accompagnamento di una quarantina di pagine, Quesiti clinici, che permette al medico di approfondire singoli temi e casi e fugare eventuali dubbi.

Ma se, come ha detto, la sua è considerata una materia di nicchia, da dove nasce tutto questo interesse?
Dico che questo settore viene percepito come “di nicchia” perché il marcatore non viene mai utilizzato da solo nel processo diagnostico terapeutico; il significato del marcatore, certamente importante per il paziente, non può infatti essere estrapolato al di fuori di un contesto generale. Un marcatore può servire per la diagnosi, per stabilire la prognosi, per prevedere la risposta a un dato farmaco o per monitorare la terapia, ma va usato e interpretato all’interno di un percorso che comprende la diagnostica per immagini, il riscontro bioptico, altri esami e, naturalmente, la valutazione clinica. Come molti esami di laboratorio, il marcatore è una parte, importante, di un percorso diagnostico-terapeutico nel quale si integrano numerosi altri elementi.
Che l’argomento non sia poi così di nicchia, lo dimostra l’uso diffuso di questi test: in Italia, a fronte di 56 milioni di abitanti, si prescrivono ogni anno circa 13 milioni di marcatori, 221 marcatori ogni mille abitanti. Nonostante la richiesta di marcatori sia largamente inappropriata, questo dato testimonia quanto sia elevata l’aspettativa che medici e pazienti pongono su questi test. I bisogni per i quali ci si attende una risposta dai marcatori tumorali sono evidenti: disporre di un test capace di chiarire un quesito clinico cruciale (diagnosi, prognosi, risposta alla terapia…) in modo semplice, a basso costo e con un impegno minimo per il paziente, è molto importante. Per questo, a fronte di un’offerta ancora limitata di test di provata utilità clinica, persiste una grande richiesta di conoscenze sui marcatori. Da un lato, dunque, la necessità di integrare il marcatore in un percorso diagnostico terapeutico appropriato, dall’altro il sentire comune che si tratti di test semplici, ma che danno informazioni importanti. In questa ottica si comprende il successo del corso: il medico vuole capire davvero cosa deve fare, e cioè quali marcatori usare e quali no, e quando usarli in un dato paziente.

Ed è qui, però, che entra in gioco l’appropriatezza…
Questo corso è finalizzato proprio ad aumentare l’appropriatezza nell’utilizzo dei marcatori. Per preparare il manuale pubblicato nell’ottobre 2016 da AGENAS con un team di 70 esperti di 9 tra società scientifiche e istituzioni diverse, abbiamo analizzato circa 8mila documenti relativi alle linee guida pubblicate nel mondo nei 5 anni precedenti, ne abbiamo individuate circa 500 e selezionate per pertinenza e qualità 240. Le linee guida dovrebbero essere preparate partendo da una revisione della letteratura “sistematica”, basata cioè su una metodologia esplicita che permetta al lettore di verificare come sono stati cercati, scelti e valutati i lavori utilizzati per preparare la linea guida stessa. Se non c’è evidenza di revisione sistematica, non si può definire un documento come “linea guida”, perché manca un requisito essenziale per consentire ad altri di verificare quello che è stato fatto.
Beh, le linee guida esaminate sono risultate per il 25% preparate con ricerca sistematica, ma per il 75% no. Inoltre, alcune linee guida danno raccomandazioni in parte diverse per lo stesso problema. Con il manuale prima e il corso oggi, abbiamo voluto superare il problema della qualità delle linee guida, creando uno strumento che può essere definito “buona pratica”: una sintesi cioè di tutte le informazioni disponibili sui marcatori tumorali per 21 tipi di neoplasia, raccolte, valutate e diffuse con una metodologia formalizzata, cui si abbina un metodo per il monitoraggio dei risultati sull’appropriatezza di utilizzo dei marcatori stessi. Le “buone pratiche” sono uno strumento essenziale per il medico in assenza di linee guida o in presenza di linee guida di qualità non adeguata o discordanti. Offriamo quindi al medico la possibilità di scegliere in modo autonomo e critico fra tutte le opzioni, mostrando nel contempo la possibile variabilità del processo decisionale in relazione a ogni singolo problema.

Il Veneto è stata regione capofila in questo ambito. Continua ad esserlo?
In questo caso si può parlare di lungimiranza della politica. In particolare è stato lungimirante l’assessore Luca Coletto quando, qualche anno fa, ha accolto la mia proposta di avviare un Tavolo di lavoro interregionale per il ‘Miglioramento della Pratica Clinica per l’Utilizzo dei Biomarcatori in Oncologia’, afferente alla Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni, cui partecipano 14 fra Regioni e pubbliche amministrazioni. La Regione Veneto ha sempre sostenuto il Centro Regionale per i Biomarcatori, riconoscendolo anche come Programma Regionale, e ne ha facilitato l’attività e la legittimazione a livello nazionale. Noi lavoriamo soprattutto grazie all’Ulss 3 Serenissima, diretta dal dottor Giuseppe Dal Ben, che consente l’operatività logistica e amministrativa del Centro Regionale. Grazie alla posizione assunta dalle Istituzioni, in questo settore il Veneto è capofila riconosciuto.

Quali sono oggi le prospettive della ricerca sui marcatori?
Le prospettive sono sostanzialmente due: mettere ordine nell’armamentario diagnostico di cui già disponiamo e proseguire la ricerca, consolidando le conoscenze. Questo vuol dire innanzitutto fare studi che ancora mancano per capire, ad esempio, se i marcatori servono nel follow-up del tumore della mammella o nella diagnosi precoce del cancro della prostata o dell’ovaio, e risolvere quesiti ancora senza risposta in numerosi altri tumori. Dobbiamo quindi, con priorità, coprire quegli spazi di incertezza che ancora esistono nell’utilizzo dei marcatori e che sono una causa primaria di prescrizione inappropriata.
Poi, la grande scommessa della medicina “personalizzata” o “di precisione”, nella quale i marcatori hanno un ruolo essenziale perché permettono di definire le caratteristiche della malattia nel singolo paziente, consentendo così un trattamento individualizzato. In questa prospettiva i marcatori hanno uno spazio di sviluppo veramente considerevole per il miglioramento della salute.
Tuttavia, proprio in questo campo è necessaria una grande prudenza nel comunicare i risultati preliminari promettenti della ricerca: non possiamo correre il rischio di indurre le persone a credere che la soluzione di tutti i problemi dell’oncologia sia ormai a portata di mano. Il progressivo, enorme, incremento delle conoscenze e delle possibilità tecnologiche offre sì opportunità impensabili solo un paio di decenni fa, ma aumenta anche di molto il livello di complessità con cui ci dobbiamo confrontare: complessità biologica, tecnologica, di interpretazione dei risultati ed etica.
La nostra missione nella ricerca è quindi “reinventare la ruota”, perché oggi l’innovazione (incremento delle conoscenze, disponibilità di nuovi test diagnostici, di nuovi farmaci…) procede più rapidamente della nostra capacità di valutazione e gli abituali approcci metodologici sembrano in parte inadeguati. Nuove metodologie e modelli di ricerca sono infatti allo studio per ottimizzare il trasferimento dell’innovazione alla pratica clinica.

Qual è, in conclusione, l’obiettivo finale di tutto questo enorme lavoro sui marcatori?
Dobbiamo evitare un uso sconsiderato dei marcatori per obiettivi inappropriati, come ad esempio a scopo di screening nella popolazione generale senza sintomi, o per quesiti clinici per i quali sappiamo che i marcatori non sono indicati. E dobbiamo anche fare il massimo sforzo per indurre i medici ad usare i marcatori nelle situazioni nelle quali essi devono essere usati per il bene del paziente; dobbiamo quindi ridurre anche il sotto utilizzo di questi test. La priorità è quindi mettere ordine in quell’importante settore diagnostico che sono i marcatori in oncologia. Riaggiustare il tiro è fondamentale anche per la sostenibilità del sistema, per convogliare risorse economiche, logistiche e umane verso nuovi obiettivi di ricerca che portino, attraverso i marcatori, ulteriori risposte a quesiti cruciali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei tumori.

Massimo Gion, direttore del Centro Regionale Biomarcatori (CRIBT) dell’Ulss 3 Serenissima
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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