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Data di inserimento: Venerdì, 07/06/19 - Segreteria OMCeO Ve
La crisi della professione va inserita in un contesto più ampio: è con la società che bisogna fare i conti. E il medico, solo in quanto medico, non può pensare di risolverla: deve avere uno sguardo che va oltre, che ragiona sulla complessità delle cose, perché è inserito in un gioco di cui rischia di non capire le regole.
Lo ha spiegato chiaramente il filosofo Luigi Vero Tarca sabato scorso al convegno Verso gli Stati Generali... Medicina Meccanica 2.0: il medico e il suo non tempo, tappa veneziana della riflessione sugli Stati Generali voluta dalla FNOMCeO, organizzato alla Scuola Grande di San Marco dall’OMCeO lagunare attraverso il suo braccio operativo culturale, la Fondazione Ars Medica. Una mattinata di riflessioni e analisi, frutto di un lungo percorso di approfondimento – iniziato a febbraio con il primo di 4 mercoledì filosofici e passato attraverso la serata Ghost Wednesday (qui un resoconto e il video di sintesi) – delle 100 tesi sulla questione medica, scritte dal sociologo Ivan Cavicchi, ospite anche lui in laguna, e rilanciate dalla Federazione nazionale.
«Siamo qui oggi – ha spiegato il presidente dell’Ordine e vice della FNOMCeO Giovanni Leoni accogliendo i partecipanti – per parlare dei tanti problemi che affliggono la nostra professione, che poi si estrinsecano sul rapporto tra il medico e il paziente: la solitudine del medico, questo nostro caos amministrativo quotidiano… Oggi a Venezia viviamo una tappa del lungo, articolato e complesso percorso degli Stati Generali, fortemente voluto dal presidente Filippo Anelli e da tutto il direttivo della Federazione, e partito a Roma con analisi approfondite proprio in queste settimane».
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I saluti delle autorità
A testimoniare il sostegno totale all’iniziativa da parte della FNOMCeO, la presenza in sala del segretario Roberto Monaco, del tesoriere Gianluigi D’Agostino e del direttore generale Enrico De Pascale. «Venezia per noi è fondamentale – ha sottolineato il dottor Monaco – perché già da molto tempo affronta questo percorso sulla professione. Gli Stati Generali nascono perché abbiamo capito che c’è una crisi. La crisi esiste perché il mondo cambia. Noi non vogliamo subire il cambiamento, ma governarlo e condividerlo: con i colleghi, con la società civile, soprattutto con i cittadini… Vogliamo aprire la riflessione a tutti ed è per questo che agli Stati Generali abbiamo chiamato grandi esperti di professioni, sanitarie e non, i filosofi, i teologi, i costituzionalisti, i giuristi. Stiamo parlando del medico del futuro, quello che ci sarà tra 20 anni. Noi siamo i custodi dei diritti dei cittadini, in particolare di quello fondamentale alla tutela della salute. È per tenere fede a questa missione che, nonostante tutto, nel nostro lavoro continuiamo a metterci passione, voglia, cuore. Cambiare le cose è un percorso difficile che, a volte, fa anche paura. Ma se non lo facciamo ora, non lo faremo più». Tra le criticità accennate dal segretario FNOMCeO: i contratti fermi ormai da 10 anni, la burocrazia che attanaglia la professione, l’organizzazione farraginosa del lavoro, la scarsa attrattività del servizio sanitario nazionale, la fuga dei colleghi verso l’estero o il privato, le difficoltà dei giovani.
Ha portato il suo saluto ai partecipanti anche Giuseppe Dal Ben, guida dell’Ulss 3 Serenissima, che ha sottolineato come sia importante per un direttore generale ascoltare ciò che i suoi principali collaboratori vogliono dire. «L’Ordine da tempo – ha aggiunto – sta sviluppando un percorso di attenzione alla professione medica e di crescita che non ha eguali. Qui si cerca di dare contenuti profondi a una professione che si trova all’interno di un contesto sociale non facile da interpretare. Il medico è il protagonista del vivere civile perché la salute dei cittadini è uno dei valori più importanti. Oggi si parlerà del non tempo: il non tempo dell’accoglienza, il non tempo dell’ascolto… Come medici dobbiamo avere la possibilità di accogliere la persona, di ascoltarla e di accompagnarla nel percorso di cura. Questo tempo va ritrovato».
In rappresentanza dell’Ulss 4 Veneto Orientale, è salita invece sul palco Maria Grazia Carraro, direttore sanitario, che ha sottolineato come la questione medica sia un tema che sta a cuore a tutte le aziende sanitarie e come negli ultimi anni la professione abbia dovuto affrontare diverse sfide, «un cambiamento – ha spiegato – che ha portato con sé attese, vincoli e aspettative. La sfida da cui non possiamo tirarci indietro è riuscire a far quadrare tutto: dobbiamo, ad esempio, trovare il modo di far crescere le nuove leve in un contesto oggi molto diverso. La professione è molto cambiata e non solo per le tecnologie, che hanno dato comunque tante potenzialità. Dobbiamo cercare di dare una risposta umana ai pazienti, recuperare quei valori che ci hanno sempre contraddistinto».
Vicinanza e solidarietà alla categoria, infine, sono state espresse anche da Simone Venturini, assessore alla Coesione sociale del Comune di Venezia, che ha sottolineato come il lavoro dell’Ordine e dell’Ars Medica cresca ogni anno in termini di qualità. «Voi – ha aggiunto – uscite dall’autoreferenzialità per parlare alla città, per capire l’importanza del medico per la collettività e il territorio. Oggi in questo paese ci si guarda l’ombelico: si parla del presente, del passato, mai del futuro. Voi, per fortuna, gettate la palla un po’ più in là: vi chiedete dove stiamo camminando, verso quale strada ci stiamo inoltrando. Parlare di nuove tecnologie, di rischio di disumanizzazione, di perdere la dimensione umana, è un tema importante da affrontare. Il perdere ciò che abbiamo oggi è un rischio che i nostri ospedali corrono per la carenza di medici, per le scarse risorse, per la sempre più pressante domanda di prestazioni sanitarie, per la cronicità sempre più diffusa di alcune malattie. Mantenere il medico al centro di questa umanità è la sfida più grande che oggi la medicina ha».
Il sondaggio sulla questione medica
L’apertura dei lavori del convegno è stata dedicata alla presentazione di un sondaggio scientifico sulla questione medica, uno dei pochissimi condotti in Italia, proposto dalla CGIA di Mestre su indicazione dell’Ordine veneziano tra la metà di aprile e i primi di maggio a tutti i medici e gli odontoiatri iscritti. Questionario che ha riscosso da subito un enorme successo: ben 498, il 10% del totale, i colleghi che in pochissimi giorni lo hanno compilato. Adesione e risultati che hanno confermato la crisi profonda che sta vivendo la professione.
«Il sondaggio – ha spiegato Ornella Mancin, presidente dell’Ars Medica dando il via ai lavori – dimostra la stanchezza di noi medici. Siamo stanchi della burocrazia, stanchi di essere assillati da problemi di tipo amministrativo, stanchi di avere meno autonomia decisionale. Ci sentiamo sempre “meno medici”. Molti di noi lavorano sempre di più, vengono pagati sempre di meno con i contratti fermi ormai da 10 anni e questi problemi ci stanno facendo perdere il gusto a questa professione. Abbiamo bisogno che qualcuno prenda in mano questa situazione e ci dia delle risposte». Il rischio concretissimo – dato che, come confermano anche i dati del sondaggio, è già in atto – è che sempre più medici anticipino la pensione o scelgano il privato e sempre più giovani colleghi decidano di espatriare all’estero.
«C’è davvero la sensazione – ha aggiunto la dottoressa Mancin – che non ce la facciamo più, che abbiamo bisogno di aiuto per uscire da una situazione davvero difficile. Gli Stati Generali lanciati dalla Federazione sono un momento di riflessione a cui tutta la professione deve partecipare, un momento di studio per trovare soluzioni».
Come illustrato da Alberto Cestari, dell’ufficio studi della CGIA con il commento del vice dell’Ars Medica Gabriele Gasparini, al sondaggio proposto hanno risposto 498 medici e odontoiatri veneziani, il 64% maschi, il 36% femmine, per lo più dipendenti (il 35%), ma anche convenzionati il 29% e liberi professionisti il 24%. Adesione massiccia degli over 55, il 60%, al di sotto dei 40 anni il 18% di chi ha risposto.
Quattro le macro aree affrontate dalle 15 domande del sondaggio: il disagio della professione medica, l’educazione continua in medicina, il ruolo dell’Ordine, l’attività professionale oggi e domani. Molto chiara la risposta alla domanda: la professione medica oggi è in crisi? «Il 53% - ha sottolineato Cestari – ha detto “molto”, il 39% “abbastanza”. Sommando i due dati risulta che il 92% degli intervistati registra una condizione di sofferenza. Sono soprattutto le donne, gli under 40 e chi si trova all’apice della carriera, chi ha tra i 41 e i 55 anni, a percepire la crisi».
«Chi è molto in crisi, – ha sottolineato il dottor Gasparini – e qui vediamo che sono il 92%, lavora male, cura male la gente. Siamo in crisi? Sì. Ma è in crisi soprattutto il nostro futuro, non solo come medici, ma proprio come società».
Tanti i fattori che hanno determinato la crisi: innanzitutto l’eccessiva burocratizzazione del lavoro (68%), seguita dal troppo potere dell’amministrazione sulla clinica (59%) e dagli eccessivi vincoli di bilancio (54%). Tra gli under 40 spicca un dato: il 34%, più di un terzo, individua nella difficoltà di relazione con il paziente una delle cause della crisi. Inadeguata, dunque, la formazione sotto questo profilo.
I dati, poi, dicono anche che il carico lavorativo e i modelli organizzativi hanno messo molto (55%) o abbastanza (36%) in crisi la vita privata del professionista: il 91% del totale, in pratica 9 camici bianchi su 10. Vita privata in crisi soprattutto per le donne (93% sommando “molto” e “abbastanza”) e per chi è tra i 41 e i 55 anni (94%). «Il riposo – ha commentato il dottor Gasparini – è un diritto del professionista, ma anche del paziente, che ha il diritto di essere curato da una persona riposata».
Due focus del sondaggio sono stati dedicati poi alla formazione continua in medicina e al ruolo giocato dall’Ordine provinciale. L’offerta ECM è stata ritenuta inadeguata da oltre la metà (53%) dei colleghi, soprattutto al di sopra dei 40 anni: secondo gli iscritti veneziani si dovrebbe puntare di più sulle competenze tecnico-scientifiche (60%). Promosso, invece, il lavoro dell’Ordine: molto o abbastanza soddisfatto l’80% dei colleghi, soprattutto le donne (87%). La maggior parte, però (71%) vorrebbe più servizi a sostegno della professione.
Ben 5 le domande del questionario dedicate alla macro area “l’attività professionale oggi e domani”. «Tre medici e odontoiatri su quattro (76%) – ha sottolineato Cestari – non condividono la tendenza del “task shifting”, cioè del passaggio di competenze ad altri operatori sanitari, in medicina. Il giudizio negativo è maggiore tra gli over 55 e i maschi, mentre l’orientamento è meno temuto dai medici più giovani: lo “accetta” il 34% di chi non supera i 40 anni.
«La multidisciplinarietà – ha commentato il vice dell’Ars Medica – fa parte ormai del nostro modo di lavorare. È giusto che anche le altre figure sanitarie si emancipino, è un bene per tutti, ma non possono corrodere le competenze dei medici e degli odontoiatri. D’altro canto la delega è necessaria perché siamo in pochi per poter far tutto».
Il dato più eclatante del sondaggio è quello che riguarda la possibilità di andare a lavorare all’estero, un’opportunità che soprattutto i più giovani, gli under 40, stanno valutando concretamente: il 47% di loro, quasi la metà, sta prendendo in considerazione l’idea, il 14%, cioè 1 su 4, sta concretamente valutando un trasferimento all’estero. «Abbiamo a rischio 3 medici su 4 – il commento del dottor Gasparini, che ha illustrato i dati sugli stipendi nell’Unione europea, in molti paesi ben più alti che in Italia, ma che indicano comunque uno “sfruttamento” dei professionisti italiani all’estero – che a breve potrebbero trasferirsi in altri Paesi. Vanno a Dubai, in Germania… Io ne conosco una trentina che hanno fatto questa scelta. Il motivo economico è l’ultimo a spingere i medici ad andarsene. A contare è soprattutto una qualità di vita migliore. Questa è una battaglia da combattere perché rischia di minare la società».
Uno sguardo, infine, anche al rapporto con la tecnica: quasi il 60% degli iscritti giudica positivo l’impatto delle tecnologie in medicina, il 32%, in particolare i più anziani, ritiene che la tecnologia migliori la professione sotto il profilo intellettuale, mentre il 26% (soprattutto gli under 40) pensa possa apportare vantaggi per i pazienti. L’uso sempre maggiore di soluzioni tecniche e tecnologiche in medicina, poi, non porterà ad un’eventuale sostituzione del medico, secondo gli iscritti veneziani. La preoccupazione, semmai, (27%) è che possa influire sul processo di allontanamento del paziente. «La tecnologia – ha sottolineato il vice dell’Ars Medica – ha migliorato in modo innegabile la medicina, ma sta diventando sempre più potente, sempre più ingombrante».
Ultime domande del sondaggio, infine, dedicate al futuro che si va delineando:
- nonostante tutti i problemi e le criticità analizzate, ben il 78% dei professionisti veneziani non ha dubbi: rifarebbe tutto da capo, tornerebbe di nuovo a fare il medico;
- il prepensionamento è un’idea che si potrebbe concretizzare a breve per quasi il 23% degli iscritti over 55, ma è un’ipotesi lontanissima tra le donne ( (51%);
- contrastante, invece, il giudizio sul grado di soddisfazione dell’attuale posizione lavorativa: ben il 18% di chi ha risposto non è stato in grado di dire se vorrebbe passare alla libera professione o viceversa; appena il 53% dichiara di non voler cambiare la propria posizione lavorativa, con una quota alta, più della metà, tra gli over 55; maggiore insoddisfazione emerge tra i dipendenti che nel 37% dei casi cambierebbe posizione lavorativa; soddisfatti, infine, i liberi professionisti che nel 65% dei casi non cambierebbero la loro condizione.
«Questa volontà di cambiare – il commento finale di Gabriele Gasparini – c’è sempre stata, ma oggi molto di più. Cambiare implica che ci sia un futuro, implica il mettersi in gioco e questo è un bene per la professione».
Il sociologo: il medico del futuro
La prima sessione del convegno, moderata da Giancarlo Pizza, presidente dell’OMCeO Bologna, e da Tiziana Mattiazzi, componente dell’Associazione LAI e partecipante ai mercoledì filosofici dell’Ordine, è stata aperta dal sociologo Ivan Cavicchi, autore delle 100 tesi rilanciate dalla FNOMCeO per gli Stati Generali, che ha tracciato il quadro per il medico e la medicina del futuro.
«Le tesi – ha spiegato – sono state scritte non per dare verità compiute, ma per aprire una discussione. Ripensare il medico non è una passeggiata, non ci vogliono tre giorni, è un processo lungo».
Il sociologo ha sottolineato come i risultati del sondaggio illustrino tutti gli aspetti della crisi: quello economico, quello burocratico, quello etico. «Dobbiamo capire – ha aggiunto – se il cambiamento ci va bene oppure no. Dobbiamo mettere in campo una controprospettiva: stiamo andando a sbattere contro il muro. Cosa facciamo per non sbatterci?».
Cavicchi ha anche spiegato come da lungo tempo ormai sia in atto un processo di negazione del medico tradizionale che passa attraverso la perdita di autonomia, un rapporto complicato con la società e la delegittimazione dei professionisti. «Alla lunga – ha ammonito – questo porterà ad avere un non-medico, altro che non-tempo».
Ha poi passato in rassegna alcuni dei temi forti proposti nelle sue 100 tesi: la necessità di un cambio di paradigma della professione, le trasformazioni della società che hanno portato il paziente a non essere più tale, ma a essere un esigente, l’eccessiva inadeguatezza della medicina, scienza comunque potente, rispetto alla società, la complessità in cui si vive e in cui anche la medicina è inserita. «Oggi – si è chiesto – c’è solo la malattia o c’è anche il malato? Se considero il malato, allora la medicina diventa anche scienza dei soggetti. Non bisogna buttare via qualcosa, bisogna aggiungere: c’è il fatto, la malattia, e c’è la relazione; c’è l’evidenza scientifica e c’è la rilevanza sociale. La complessità è una realtà piena di variabili che devi collegare tra loro. La mia medicina del futuro, allora, è una medicina della complessità. Il mio medico del futuro è uno capace di costruire ponti».
Se, come si auspica, lo scopo degli Stati Generali è pragmatico, trovare cioè una soluzione per la questione medica, il rischio da evitare è «di tirar fuori una proposta piccola piccola. La cosa giusta è la cosa che funziona. Qui ci stiamo giocando il futuro. La parola paradigma spaventa, ma da un po’ di tempo ormai le evidenze scientifiche non bastano più: i medici devono essere convincenti. Con chi non la pensa come me, i no vax ad esempio, io devo parlarci».
Il medico, insomma, va ricontestualizzato, il concetto di medico va ridefinito perché è cambiato il contesto di sfondo. «La sfida con il non-medico – ha tuonato in conclusione – la vinciamo solo se siamo in grado di pensare un medico più capace: che sappia, ad esempio, convivere con il vincolo economico, che sappia agire con economicità e acquisire nuove competenze. Con una formazione che non va solo aggiornata, va profondamente ripensata. Io vedo una sorta di super medico, un autore, una figura adeguata ai tempi. Una grande scienza capace di dialogare con la società con cui dobbiamo fare i conti».
Il contributo della filosofia
«Quella che stiamo vivendo – ha spiegato subito il professor Luigi Vero Tarca del Dipartimento di Filosofia di Ca’ Foscari – è una crisi totale, una crisi straordinaria. La filosofia può dare un contributo perché mette in questione proprio la nozione di totalità, la nozione stessa di crisi. Il percorso sarebbe: negare le cose che non vanno bene, sostituirle con altre che vanno bene e ricomporre il sistema. Ma, dato che la filosofia ci insegna a pensare la crisi nella totalità, qui vediamo che ogni cosa è a posto, ogni cosa è perfetta, ma tutto va male».
Al problema, dunque, si può dare una risposta solo accedendo a una logica diversa: quando la crisi è di sistema, non c’è un colpevole. «Questa crisi inoltre – ha aggiunto – è straordinaria perché è la crisi delle crisi ordinarie: non è solo pensare di aver sbagliato a imboccare la strada positivistica, tornare indietro e imboccarne un’altra. Dobbiamo passare dall’idea di una crisi che riconduce a una situazione ordinaria, ma siamo ormai da un pezzo in una crisi permanente, definitiva, irreversibile, crescente».
È la realtà, dunque, a essere travolta dallo tsunami che è cominciato, uno tsunami che non è una questione medica, una cosa alla quale il medico, in quanto tale, possa dare delle risposte. «Non c’è una figura – ha proseguito – che possa dare una risposta perché la risposta non c’è. Noi vogliamo dare una risposta positiva universale, ma se intendiamo il positivo come qualcosa che nega il negativo, facciamo a nostra volta qualcosa di negativo».
Per entrare nel concreto, il filosofo ha fatto riferimento alla medicina della scelta, indicata da Cavicchi nelle sue tesi, che porta il paziente a scegliere, in modo ragionato e consensuale, con il medico il percorso di cure più adatto. «Qual è – si è chiesto il professor Tarca – in questo caso il problema? La vera scelta riguarda il significato di medicina, cosa significa curare l’uomo e l’umano. Io parlerei di medicina della scelta del tipo di medicina. Io posso scegliere tra farmaci diversi, ma qui si tratta di scegliere cosa si intende per medicina, cosa si intende per cura dell’uomo».
In quest’ottica non può più essere il medico da solo a decidere, deve dialogare con il paziente, ma deve anche ascoltare gli altri umani, che arrivano da altre esperienze. «Nei nostri mercoledì filosofici – ha aggiunto – si è parlato di medicina della mediazione, non nel senso di una contrattazione tra i soggetti, ma nel senso di un lavoro per definire insieme, medico e paziente in quanto uomini, cosa si intende per cura».
Dopo essersi soffermato anche sulla necessità di passare dalla medicina al malato, da qualcosa di astratto, che isola, la malattia, al malato-uomo, il filosofo è passato alle proposizioni concrete. «Le esperienze che contano – ha concluso – sono quelle che aprono spazi liberi, il cui esito non è pre-regolato, in cui si mettono insieme tutte le competenze economiche, fisiche, filosofiche che sanino rispetto all’isolamento specialistico. Penso alla figura del guaritore, del terapeuta, una figura che abbia cura dell’umano in quanto tale, un medico che abbia cura degli umani e delle loro malattie, ma con uno sguardo più ampio».
L’esperienza dei mercoledì filosofici
La seconda sessione del convegno è stata dedicata, invece, ad alcune delle riflessioni emerse durante i 4 mercoledì filosofici che si sono svolti all’Ordine tra febbraio e aprile su alcuni dei temi più caldi: la formazione, il paradigma, il rapporto con la tecnica e la dimensione etica e deontologica.
Sul tema La formazione di oggi guarda al domani? Si sono interrogate le due giovani dottoresse, neolaureate, Brenda Menegazzo e Gaia Zagolin, che subito hanno spiegato come i giovani medici non siano preparati dal punto di vista pratico a rapportarsi con il paziente. «Sostanzialmente – ha spiegato la dottoressa Menegazzo – dobbiamo imparare da soli. Un problema forte che abbiamo sentito è la profonda spaccatura tra la società e la scienza: uno dei motivi è che la medicina amministrata e le difficoltà tecniche del lavoro del medico impediscono di sviluppare un rapporto completo con il paziente». Il nuovo medico del futuro, allora, deve tornare a creare un’alleanza con il paziente: deve comunicare con lui, informarlo non solo sulle sue condizioni, ma anche, ad esempio, sul fatto che la medicina sia una scienza fallibile, fare da moderatore tra la scienza e la società.
Altro aspetto quotidiano con cui i giovani professionisti si ritrovano a fare i conti è la flessibilità: la capacità, cioè, di adeguare al singolo malato, diverso dagli altri e unico, diagnosi e terapia, di trovare in qualche modo una cura personalizzata, affrontando la complessità della persona per arrivare a fare la scelta di cura più idonea.
Tra gli ostacoli pratici, come ha spiegato Gaia Zagolin, che i giovani neolaureati si ritrovano ad affrontare le 500 borse di specialità perse ogni anno e l’imbuto formativo, nonostante l’aumento delle borse per quest’anno. «Purtroppo – ha sottolineato – essendoci pochi specializzandi, il loro carico di lavoro aumenta tantissimo e, allo stesso tempo, proprio per le troppe ore di lavoro, vengono privati della possibilità di formarsi in modo adeguato. Abbiamo bisogno di mettere in pratica le tante conoscenze teoriche acquisite, di approfondire di più l’approccio clinico al malato e l’aspetto deontologico. Siamo convinte di aver scelto il mestiere più bello del mondo, ma ci rendiamo anche conto di doverci reinventare, adattare alle esigenze dei pazienti che verranno».
Sulla necessità di cambiare il paradigma positivista, tema già sfiorato da Ivan Cavicchi, si è soffermato, invece, uno dei motori di tutta la riflessione filosofica degli ultimi anni all’Ordine, passata anche attraverso esperienze di letteratura, cinema e teatro: il medico, psicoterapeuta e docente allo Iusve, Marco Ballico, coordinatore del comitato scientifico della Fondazione Ars Medica.
Dopo aver accennato a come la filosofia classica si sia sempre dotata di un metodo per cercare di classificare la complessità della natura e a come la scienza si sia data il compito di indagare la natura, il dottor Ballico ha parlato della medicina di oggi come figlia della logica positivista, della pragmatica esperienziale e delle evidenze scientifiche. «Noi – ha detto – per essere credibili dobbiamo portare prove e non possiamo criticare linee guida e protocolli perché sono fatti per portare risultati. Quindi dobbiamo accettarli».
Il medico, però, ha iniziato proprio da qui il ribaltamento per spiegare come questa, forse, non sia l’unica strada giusta per ottenere un risultato accettabile. E l’ha fatto suggerendo un sospetto: il metodo positivista, condiviso dalla comunità scientifica, non sarà soprattutto un’area protettiva, consolatoria sia per il medico sia per il paziente? «È certamente – ha aggiunto – una situazione che mi mette al sicuro, ma potrebbe farsi strada la possibilità che venga strumentalizzata per provare o indurre a provare situazioni che rimarrebbero solo in potenza e non in atto».
Un concetto che il dottor Ballico ha spiegato ricordando paventate pandemie del passato, le diete protettive per l’osteoporosi, l’efficacia preventiva di sostanze poi assolutamente smentita, e raccontando due studi sulla correlazione tra l’appendicite e il morbo di Parkinson, condotti su migliaia di pazienti operati, studi – evidenze scientifiche – che portano a conclusioni assolutamente opposte. «Se una persona – si è chiesto – volesse sottoporsi a un’operazione di appendicectomia preventiva per evitare il rischio di Parkinson, cosa gli direbbe la medicina delle evidenze scientifiche condivise?».
Sul fronte del paradigma, dunque, bisognerebbe cercare di essere più rivoluzionari, considerando ormai superato il modello positivista, in particolare in medicina, perché «partendo da territori esplorati difficilmente si riuscirebbe, con lo stesso metodo, a scoprire qualcosa di nuovo. Merita una riflessione – ha concluso – l’idea di sapere condiviso dalla comunità scientifica: quanto nel nostro essere medici c’è la possibilità reale di partecipare a questa condivisione? Io non so chi abbia inventato la TAC, ma la applico, mi fido. Così come pure per alcuni farmaci che prescriviamo senza avere il minimo controllo. Non abbiamo la conoscenza, ma abbiamo il consenso della comunità scientifica». Per riappropriarsi della medicina, allora, con una connotazione culturale adeguata, la proposta che arriva da Marco Ballico è quella della medicina dialogica, che recupera la sua radice filosofica e la declina come interconnessione della complessità e delle diversità di ambiti.
Roberto Valle, direttore medico della Cardiologia di Chioggia, si è dedicato invece al tema del rapporto tra il medico e la tecnica, partendo dalle definizioni di scienza, di tecnica e di umanesimo. «La visione antropocentrica – ha sottolineato – a me, come medico, convince poco. Faccio fatica a concepire questo super uomo, questo oltre l’uomo, perché nella nostra professione si ha la piena e continua percezione della nostra caducità. È assolutamente fallace il tentativo di portare gli uomini a dei. L’homo sapiens è solo il bulletto del quartiere».
Il cardiologo ha poi mostrato i grafici sulla crescita della popolazione mondiale, chiedendosi dove mai si potranno mettere questi uomini che vivono fino a 90 anni e tracciando molti parallelismi con la sostenibilità dell’intero sistema e con la scarsità delle risorse disponibili, non solo economiche. «La garanzia – ha aggiunto – che la tecnologia ci lascia intravedere può produrre scenari apocalittici. L’esaltazione della tecnologia oscura lati nascosti ben più preoccupanti».
Il dottor Valle ha spiegato anche come l’uomo medio pensi di possedere un senso di giustizia e di morale che in realtà non ha, e come si stia delineando una tribalizzazione della società, su cui si getta il marketing. «Sono i commenti che leggiamo sui social – ha sottolineato – è l’opinione pubblica che protesta, gli articoli e i titoli di stampa assurdi. Bisogna investire sull’educazione, questa è la cosa più importante: è fondamentale educare le masse, partendo dal presupposto che pensare che le persone siano buone a priori è fallace».
È ottimista, però, il cardiologo sul futuro del medico, che non potrà essere sostituito: «Dobbiamo aggrapparci – ha concluso parlando delle professioni destinate a scomparire per colpa della tecnologia – a tutte le nostre risorse, culturali e di conoscenza innanzitutto. Il medico, più che empatico, dovrà essere soprattutto bravo. Il paziente si aspetta che il chirurgo sia tecnicamente bravo. Il positivismo sarà anche superato, ma intanto ha fatto crollare negli ultimi anni la mortalità cardiovascolare o quella per cancro. Questo approccio, insomma, ha cambiato la vita dei pazienti».
L’ultimo tema affrontato durante la mattinata di studi è stato quello dell’importanza dell’etica e della deontologia nella medicina del futuro. Fabrizio Turoldo, professore di filosofia di Ca’ Foscari, ha sottolineato subito come la medicina abbia effettivamente compiuto grandi progressi nel tempo, consentendo di eliminare alcune malattie, ma anche di vivere più a lungo con certe patologie. «Questa vittoria della medicina sulla malattia – ha detto – paradossalmente si è trasformata anche in una sconfitta: oggi la malattia è più presente, le persone anziane sono quelle che più soffrono di varie malattie. Oggi la malattia non è accompagnata da quelle risorse culturali, filosofiche, anche religiose per dare ragione alla malattia e al dolore che, sotto il profilo scientifico, è qualcosa di misurabile a cui si può rispondere. Ma che rapporto c’è tra questo dolore e la sofferenza, che è qualcosa che non può essere catturato dalle categorie scientifiche? La sofferenza è il significato che io dò al dolore».
Il professor Turoldo ha poi spiegato come, pur essendo meno convincenti e poco fondate, le medicine alternative offrano ai pazienti ciò che un tempo riuscivano ad offrire i medici tradizionali: i ciarlatani sono abili a rapportarsi con le persone, toccano corde sensibili sul piano psicologico, è questo il loro segreto.
«Se c’è un futuro per l’etica in campo medico – ha aggiunto – è nel ricordare al medico che la malattia rappresenta sempre per la persona un momento di crisi, che il corpo malato è il corpo vissuto, va inserito in un contesto. Alla medicina basata sulle evidenze bisogna sempre affiancare la medicina narrativa: l’ascolto è importante per far emergere il vissuto della malattia. Il Codice Deontologico dice che anche le diagnosi infauste vanno comunicate, che bisogna dire la verità, ma senza mai escludere elementi di speranza perché questo significa dare una prospettiva. La crisi nasce dall’incapacità di trovare un senso a ciò che capita».
Se, insomma, conta la dimensione del vissuto e della malattia, allora tanto più importanti sono l’etica e la deontologia, che aiutano il medico a rispettare la dignità del paziente. «L’etica, infine – ha concluso il professor Turoldo – è importante per il medico stesso perché coltivare questa dimensione aiuta il medico a superare la sua stessa crisi».
La discussione
L’ultima parte del convegno è stata dedicata alla discussione tra i partecipanti. Tanti i temi emersi:
- la presa di coscienza della crisi da parte della categoria, la sofferenza diffusa che la classe medica sta vivendo e la perdita di autorevolezza – «che è anche colpa nostra» – ma anche la straordinaria occasione offerta dagli Stati Generali e la consapevolezza del percorso lungo da compiere (Maurizio Scassola, vicepresidente OMCeO Venezia);
- la difficoltà per gli odontoiatri, di capire i tanti problemi sollevati dato che, come liberi professionisti, vengono scelti proprio dal paziente e già da tempo hanno dovuto cambiare il loro atteggiamento e il loro approccio per trovare soluzioni (Giuliano Nicolin, presidente CAO OMCeO Venezia);
- il peggioramento delle condizioni lavorative che i medici non sono riusciti a governare perché evidentemente «negli ultimi anni abbiamo sbagliato i rappresentanti sindacali della nostra categoria», ha detto il presidente Giovanni Leoni;
- la necessità di far arrivare all’esterno, alla gente, le sofferenze del medico, spiegando alle persone perché non si riesce più a soddisfare i loro bisogni, e la necessità del tempo per il dialogo e sviluppare l’empatia (Leoni);
- la difficoltà, in particolare negli ospedali, di instaurare il rapporto di fiducia con i pazienti e anche con i loro familiari;
- l’idea che oggi non si giudichino più gli errori medici, ma le scelte;
- la necessità di trasformare la crisi in una lettura positiva del bisogno;
- l’idea, ormai diffusa, che il futuro della professione medica sia donna e che sulle necessità delle donne vada declinata la medicina, che della complessità vada tenuto conto in futuro e che una possibile via d’uscita dalla crisi sia rappresentata dal lavoro in équipe (Alessandra Cecchetto, coordinatrice Commissione Pari Opportunità OMCeO Venezia);
- l’idea che l’unica soluzione possibile sia mettere in crisi l’idea di crisi (Luigi Vero Tarca).
Delineato il quadro complesso di questa crisi, ora è tempo di fare delle scelte, di arrivare a proposte concrete, su cui l’Ordine veneziano ragionerà in questi e nei prossimi mesi. Intanto però un punto fermo c’è e lo declina Ivan Cavicchi: «Questa crisi – ha concluso – non può trovare sbocco con la logica del problem risolving. Serve un pensiero riformatore, una piattaforma in cui ognuno faccia la sua parte».
Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia
Segreteria OMCeO Ve
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